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Le istituzioni e il modello economico della Comunità europea



Joseph H. H. Weiler



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Caffe' Europa propone un estratto dall'ampia voce Comunità europea scritta da Joseph H. H. Weiler per l'Enciclopedia delle scienze sociali. L'articolo è stato pubblicato sul numero 13 della rivista trimestrale Iter , uscito nel gennaio 2002.

Gli organi principali della Comunità sono la Commissione, il Consiglio dei ministri, con il suo sotto-organo Coreper (Comitato dei Rappresentanti Permanenti), il Parlamento e la Corte europea di giustizia. Un quinto organo, che ha giocato un ruolo decisivo, ma che solo nell’Atto unico europeo è stato formalmente integrato nella struttura del Trattato, è il Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo.

La Commissione

La Commissione stricto sensu è costituita da un collegio di 17 commissari - due per i cinque grandi Stati membri e uno per ciascuno di quelli piccoli - coadiuvati da uno staff esecutivo, organizzato in 22 direttorati generali. I commissari sono proposti dai governi e nominati dal Consiglio, e tra di essi viene nominato un presidente.

In base a quanto stabilito dal Trattato i commissari «nell’adempimento dei [loro] doveri [non] sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo né da alcun organismo». Ciascuno Stato membro s’impegna a rispettare tale principio e a non cercare di influenzare i membri della Commissione nell’esercizio del loro compito. La Commissione come organo è pertanto autonoma rispetto agli Stati membri e specificatamente libera di perseguire l’interesse della Comunità.

Le funzioni della Commissione sono varie. Essa ha il potere esclusivo di iniziativa legislativa (nel senso formale); secondo questo schema è anche l’organo amministrativo centrale della Comunità, e ha il potere di porre in atto una legislazione in via delegata; ha un ruolo ‘diplomatico’ potenzialmente importante nell’agire come mediatore tra gli Stati membri; funge da ‘agenzia federale’ in quelle sfere nelle quali la Comunità le ha riconosciuto poteri federali pienamente sviluppati (per esempio, nelle politiche relative alla concorrenza); vigila sull’applicazione dei Trattati e del diritto comunitario da parte degli Stati membri e si comporta come un ‘pubblico ministero’ sovranazionale in caso di violazione. Secondo una delle prime teorie sulla Comunità, la Commissione avrebbe dovuto essere il nucleo tecnocratico ‘funzionale’ della progettazione e della realizzazione di quel famoso spill-over che doveva portare la Comunità all’unione politica.

Il Consiglio dei ministri

Il Consiglio dei ministri è costituito da rappresentanti dei governi degli Stati membri. La composizione del Consiglio cambia a seconda dell’area in discussione: agricoltura, finanza ecc. Il principale, organo formale è il Consiglio dei ministri degli Esteri.

Il Consiglio dei ministri è il principale legislatore in senso formale - il che indica chiaramente il ruolo centrale degli Stati membri. Esso deve agire, virtualmente, in tutti i casi su proposta della Commissione, e il Trattato stabilisce regole formali circa le sue procedure di voto. In settori di particolare delicatezza il Trattato richiede l’unanimità, ma in numerosi ambiti programmatici è prevista una forma di voto a maggioranza. Sarebbe erroneo caratterizzare il Consiglio come istituzione intergovernativa. Le norme relative alle sue procedure di voto, il ruolo del Presidente e il dover far assegnamento sui progetti legislativi della Commissione lo distinguono dai classici organi intergovernativi e caratterizzato anch’esso come sovranazionale - sebbene in modo limitato.

C’è inoltre una caratteristica importante che deve essere sottolineata, se si vuole comprendere appieno il carattere sovranazionale di questo organismo. Il Consiglio può rifiutarsi di approvare qualsiasi legislazione proposta dalla Commissione anche se una determinata politica è chiaramente nell’interesse della Comunità; nel respingere tale legislazione, o nell’emendarla, il Consiglio può essere - come spesso avviene - motivato da interessi che sono contrari allo ‘spirito della Comunità’. Tuttavia gli Stati membri sono obbligati ad agire congiuntamente, anche se non necessariamente in modo unanime, nell’ambito del Consiglio dei ministri.

Questa è una delle sorprendenti interazioni tra ‘sovranazionalità’ normativa e decisionale. In ogni settore regolato dal diritto comunitario, e per il quale la competenza sia stata trasferita agli organi della Comunità, i singoli Stati non possono agire in modo unilaterale nel mettere in atto e/o modificare una determinata politica; essi devono agire congiuntamente come Consiglio dei ministri nell’ambito delle normali procedure decisionali della Comunità. Ciascuno Stato membro presiede il Consiglio e, implicitamente, la Comunità, per un periodo di sei mesi.

Sul piano teorico, quindi, l’insieme costituito dalla Commissione - incaricata dell’iniziativa politica, di una funzione legislativa secondaria e di compiti esecutivi e di sorveglianza - e dal Consiglio - incaricato delle decisioni politiche e della legislazione ‘primaria’ effettiva, e perciò rappresentante di- retto degli interessi degli Stati membri - era stato creato perché si potesse raggiungere l’equilibrio tra Comunità e Stati membri nel processo decisionale.

Il Coreper, invece, è un organo subordinato al Consiglio, composto dai rappresentanti permanenti degli Stati membri e assistito dalle burocrazie nazionali competenti nei vari settori. E il Coreper che di fatto passa al vaglio tutte le proposte della Commissione e negozia il loro contenuto. Quando si raggiunge un accordo, le proposte sono sottoposte al Consiglio per una semplice approvazione. In realtà i ministri negoziano soltanto quei temi sui quali non è stato raggiunto un tale accordo all’interno del Coreper.

Il Parlamento europeo

Il Parlamento è composto da deputati eletti direttamente a suffragio universale nei quindici Stati della Comunità. I membri del Parlamento sono organizzati in gruppi politici (partiti) trasversali rispetto alle nazionalità. Nel processo legislativo il Parlamento ha un ruolo consultivo: il Trattato specifica le aree nelle quali esso deve essere consultato prima che il Consiglio possa agire su proposta della Commissione. L’Atto unico ha dato al Parlamento maggiore autorità - sul piano della cooperazione - per quanto concerne alcune aree, e ciò rende più difficile per il Consiglio allontanarsi dall’opinione del Parlamento, soprattutto se adottata anche dalla Commissione. La legislazione comunitaria è esaminata da una serie di commissioni parlamentari che riferiscono all’assemblea plenaria, la quale adotta risoluzioni che esprimono il punto di vista formale del Parlamento, che non è tuttavia vincolante. In base all’Atto unico il consenso del Parlamento è necessario per certi tipi di trattati internazionali e per l’adesione di nuovi Stati.

Il Parlamento ha una funzione di controllo sulla vita della Comunità: esso può presentare interrogazioni alla Commissione e al Consiglio e riceve annualmente il programma e la relazione generale della Commissione. Può anche esprimere una mozione di censura che comporta lo scioglimento della Commissione. In materia di bilancio, il Parlamento deve dare atto (o, come si dice, ‘dare discarico’) alla Commissione per l’esecuzione del bilancio. Esso può anche controllare le uscite relative ad alcune voci (meno ‘critiche’) e può congelare l’intero bilancio comunitario. Infine, il Parlamento agisce come tribuna pubblica per la vita della Comunità, promuovendo dibattiti e adottando risoluzioni al di fuori del processo legislativo su ogni aspetto della vita pubblica.

La Corte europea

La Corte europea è composta da quindici giudici uno per ogni Stato membro. Essa è assistita da otto avvocati generali, il cui compito è quello di presentare conclusioni motivate sugli affari sottoposti alla Corte onde assisterla nello svolgimento dei compiti assegnatile. Il mandato di giudici e avvocati generali dura sei anni ma è rinnovabile. I giudici eleggono il loro presidente.

Il Trattato prevede un complesso sistema di confronto giudiziale che consente l’accertamento di illeciti commessi sia dagli Stati membri sia dalla Comunità stessa.

Il Consiglio europeo

Il Consiglio europeo è composto dai capi di Stato e di governo. Esso non svolge un ruolo formale nel processo legislativo della Comunità, mentre possiede una decisiva ed essenziale funzione politica. Si riunisce due volte l’anno per dirigere la vita comunitaria: è il Consiglio infatti che approva, o promuove esso stesso, nuove politiche per la Comunità, cui poi gli organi preposti conferiscono una forma più definita. Il Consiglio decide anche in via definitiva intorno alle questioni irrisolte in sede di Consiglio dei ministri.

Il modello economico

Lo schema economico originario della Comunità era basato su due premesse: a) l’impegno ad adottare il modello di economia misto come delineato nel Trattato di Roma. La Comunità doveva trarre profitto dal commercio, così come le merci e i servizi dovevano essere prodotti in modo più efficiente e venduti in modo più competitivo nel contesto di un mercato unico; b) la progressiva integrazione economica che prevedeva la necessaria evoluzione verso l’unione economica attraverso le tappe dell’unione doganale, del mercato comune e dell’unione economica finale.

Queste premesse contenevano però un vizio d’origine. In primo luogo, l’idea che si potesse raggiungere un mercato comune pienamente sviluppato nei fattori di produzione senza assegnare alla Comunità competenze monetarie e fiscali piene o almeno parziali risultò fatale. In secondo luogo, perfino lo scopo più limitato di convertire i frammentati mercati europei in un mercato unico di merci e servizi era destinato a non realizzarsi a causa delle strutture politiche, che erano un fattore di debolezza, e dell’ottimistica fiducia che gli Stati membri sarebbero riusciti a operare delle scelte razionali di lungo periodo, anziché assumere - sotto la pressione di politiche pre-elettorali - atteggiamenti protezionistici di breve periodo.

L’ostacolo più serio che impediva la realizzazione di un vero mercato unico era l’esistenza in Europa, già negli anni Cinquanta e poi negli anni Sessanta e Settanta, di una grande quantità di misure regolamentari nazionali. Negli Stati membri erano in vigore regolamenti interni per il controllo della salute e dell’ambiente come pure standard tecnici per il commercio. L’apertura delle frontiere non poteva essere assoluta: i Trattati (per esempio l’art. 36) ammettevano deroghe alla libera circolazione in aree per le quali gli Stati membri disponevano di una regolamentazione nazionale. La creazione di un mercato unico dipendeva dalla capacità di sviluppare standard comunitari omogenei o, in altre parole, di sostituire la funzione regolamentatrice degli Stati nazionali con quella comunitaria.

Poiché il potere di veto consentiva agli Stati membri di bloccare tale legislazione armonizzatrice, non si riuscì a raggiungere l’obiettivo del mercato unico. Tale fallimento fu il risultato di una combinazione di protezionismo per un verso e autentici disaccordi sugli standard comunitari auspicati per altro verso. A trent’anni dalla sua nascita, sebbene fossero stati eliminati i dazi sul commercio intracomunitario, la Comunità non era ancora riuscita a raggiungere l’obiettivo del mercato unico quale era stato realizzato, per esempio, dagli Stati Uniti o dal Canada, e restavano ancora in vigore numerosi regolamenti nazionali che ostacolavano la libera circolazione all’interno della Comunità.

Da un punto di vista empirico, è molto difficile misurare l’impatto economico dei successi ottenuti. Fino all’inizio degli anni Settanta si può osservare una crescita piuttosto rapida dei commercio intracomunitario, sia come percentuale del commercio totale, sia come percentuale del prodotto interno complessivo. A partire dagli anni Settanta solo i nuovi Stati membri hanno riscontrato tali incrementi. E difficile valutare in che misura tale crescita sia un risultato delle strutture comunitarie che non si sarebbe realizzato altrimenti.

Anche le divergenti politiche monetarie e fiscali adottate dagli Stati membri hanno contribuito alla sconfitta dei concetto di mercato unico. Similmente, nell’area di integrazione positiva la storia della Comunità è composita: la Politica Agricola Comune è stata un successo nel senso che è riuscita a imporre una disciplina comunitaria, ma pagando un caro prezzo in termini di sprechi e di sussidi per produzioni che, sulla base delle tendenze mondiali, non erano redditizie. In altri settori, come i trasporti, la politica sociale e soprattutto la politica industriale, i risultati raggiunti dalla Comunità sono stati piuttosto limitati. Nel settore del commercio internazionale la Comunità ha raggiunto un potere commerciale che non è sempre proporzionato alla sua forza effettiva.

Per un verso, l’istituzione della tariffa esterna comune e la creazione di una Politica Commerciale Comune (con la Comunità a sostituire gli Stati membri nel Gatt) resero la Comunità uno dei principali interlocutori nel commercio internazionale, ma le disparità di vedute degli Stati membri rispetto agli auspicati livelli di libero scambio internazionale hanno spesso ridotto l’influenza e il potere contrattuale che la Comunità avrebbe potuto esercitare considerando la sua forza economica interna. Tali difetti sono sfuggiti agli organi comunitari.

Il progetto del Mercato unico stabiliva che entro il 1992 la Comunità avrebbe rimosso le residue barriere al commercio intracomunitario e raggiunto così finalmente un vero mercato unico interno. Analogamente, già negli anni Settanta, il varo del Sistema Monetario Europeo, che limitava le fluttuazioni dei tassi di cambio all’interno della Comunità entro limiti prestabiliti, indicava che strumenti macroeconomici erano ritenuti essenziali per ottenere anche il limitato obiettivo di un vero mercato comune. Nel settore delle politiche di intervento attivo la Comunità ha tentato di affrontare il problema della riforma della Politica Agricola Comune tramite meccanismi come quello delle quote, pur senza riuscire a concordare alcuna riforma radicale. Ma è proprio in circostanze di questo tipo che i paradigmi politico e giuridico interagiscono con quello economico per produrre l’attuale situazione di crisi dalla quale sembra che la Comunità non riesca a districarsi.

Per un verso l’ordinamento giuridico impone una disciplina che, mentre garantisce l’osservanza delle norme, contiene elementi di rigidità che frenano la disposizione degli Stati membri a trasferire ulteriori poteri alla Comunità. Inoltre, il sistema giuridico impedisce in molte aree qualsiasi azione unilaterale degli Stati membri volta a perseguire politiche autonome. Per altro verso, il farraginoso, processo politico-istituzionale premia gli Stati membri riluttanti, che possono bloccare i progressi dell’intera organizzazione politica. La frattura emergente, all’interno della Comunità, tra Nord e Sud e l’aumento degli Stati membri rendono questo dilemma ancora più acuto.

E' possibile che solo un’autentica crisi politico-economica possa costringere la Comunità a cambiamenti strutturali del suo modo di operare che consentano di adottare le necessarie misure economiche nelle aree di competenza già esistenti all’interno della Comunità. Fino a che non si attuerà un tale mutamento qualitativo, la Comunità rimarrà un’entità politica ibrida, a cavallo tra l’integrazione federale dal punto di vista giuridico, e confederale da quello politico, con un certo grado di integrazione economica che la pone un po’ al di sopra della semplice unione doganale, con molte caratteristiche di un mercato comune ma ben lontana da una vera unione economica.

Solo il futuro dirà se la struttura tripartita dell’Unione europea darà vita a un’entità di tipo federale oppure costituirà un semplice approfondimento dell’integrazione europea, secondo la tipica forma mista che ha caratterizzato la vita e lo sviluppo della Comunità fino a oggi.

Bibliografia

Bosco G., Commentario all’Atto unico europeo, Milano 1987.
Chiti Batelli A., Il parlamento europeo, Padova 1982.
Padoa Schioppa Tommaso, Efficienza, stabilità ed equità. Una strategia per l’evoluzione del sistema economico della Comunità Europea, a cura di Michael Emerson, Jacques Delors e Tommaso Padoa Schioppa, Bologna, il Mulino, 1987.
Spinelli Altiero, Il progetto europeo, Bologna, il Mulino, 1985.

 

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