Una scrittura perturbante
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Scrittrice cruda e gelida, triste e distante, Agota Kristof, di
quelle che si conoscono per passaparola tra amanti o professionisti
della letteratura esigenti e ricercati. Caffè Europa parla
di lei con un suo lettore d’eccezione: Paolo Mauri, critico e
storico della letteratura e responsabile delle pagine culturali de La
Repubblica.
Come ha incontrato il primo libro di Agota Kristof? E qual era?
Ho un ricordo un po’ confuso, di parecchi anni fa: cominciai a
leggere in francese non ricordo quale parte della Trilogia della
città di K., se prima Il grande quaderno, La prova
o La terza menzogna. Incontrai Agota Kristof diciamo
pure per accostamento, perché mi piacque così tanto quello che
stavo leggendo, il suo stile secco e la sua capacità di prendere le
distanze dall’oggetto narrato, che cominciai a leggere La
Trilogia per intero e poi tutto quello che riuscivo a trovare di
suo.
Che cosa del suo stile la convinse
maggiormente?
La distanza, con la quale ottiene una resa stilistica molto
personalizzata che certamente non si confonde con nessun’altra. E
poi il modo di rendere nude le cose e le situazioni che diventano da
un lato universali ed emblematiche, in quanto stilizzate, ma che
dall’altro si avvertono crudelmente vere e fanno riemergere la
partecipazione sofferta della scrittrice a quanto va raccontando.
Si può affermare che lei sia uno dei primi ad avere letto o
divulgato in Italia i romanzi della Kristof?
Questi sono primati difficili da rivendicare, ma ricordo che quando
parlai di lei su Repubblica fui comunque un apripista. In
seguito mandai anche Fabio Gambaro a intervistarla perché ero
curioso di avere, sia pure per interposta persona, un referto sulla
scrittrice, su com’era; ne risultò una persona abbastanza
tormentata, come se il suo stile letterario fosse anche la sua vita
e viceversa.
Agota Kristof in letteratura come Krzysztof
Kieslowski al cinema: è d’accordo?
E’ un paragone al quale non avevo pensato ma è attendibile.
Potrebbe essere un parallelo da studiare perché in effetti in
entrambi c’è una certa purezza.
Nella letteratura occidentale la figura dello straniero ha di solito
un effetto, o una funzione, perturbante. Nella Kristof quale
funzione ha?
Premesso che Agota Kristof per certi versi è una straniera in
Svizzera, essendo ungherese di nascita, nei suoi libri il
perturbamento è la nota dominante, la cifra che si allarga a ogni
cosa, come se tutti fossimo in qualche modo stranieri e sentissimo
la necessità di percepire ciò che sono gli altri uomini.
In un’atmosfera di dilagante europeismo, come e dove può
inserirsi Agota Kristof con la sua letteratura?
Bisogna tornare indietro nel tempo per inserire Agota Kristof in un
particolare ambito letterario. Non mi pare che il nuovo europeismo,
quello che stiamo vivendo in questi giorni, con l’euro o con l’abbattimento
delle frontiere, abbia fruttato qualcosa dal punto di vista
letterario. Se c’è un’Europa della cultura, questa andrà
rimeditata in altro senso; nella Kristof invece il discorso sull’estraneità
è ancora molto vivo. Non vedrei la possibilità di un legame tra l’esperienza
che stiamo vivendo adesso e quella della scrittrice che è maturata
nel tempo e viene da lontano, dalla Seconda Guerra Mondiale.
Marco Lodoli, che ha tradotto Ieri per Einaudi, ha visto Brucio
nel vento, il film di Silvio Soldini che è stato tratto dal
romanzo breve della Kristof, e non gli è piaciuto (vd. Diario VII,
n.3/4 pp.52-3). Ha definito il finale, l’unica cosa che Soldini ha
cambiato rispetto al testo originale, “insopportabile”. Che cosa
ne pensa?
Non ho visto il film e non ho la minima idea di come gli
sceneggiatori abbiano risolto certe cose. Credo comunque che un
regista si possa consentire delle libertà, a patto che non
stravolga l’asse portante di una trama, perché altrimenti fa un’altra
opera, ne scrive una parodia, sia pure in modo serio.
Secondo lei, perché Ieri è considerato da molti, uno dei
romanzi più belli del Novecento?
Dire che Ieri sia uno dei romanzi più belli del secolo
scorso è un’iperbole. E non sono neanche sicuro che si tratti di
romanzo nel senso classico del termine. Quelle di Agota Kristof sono
delle “scritture” molto penetranti e inquietanti. Inoltre non mi
piacciono le graduatorie, mi piace invece che la Kristof sia
considerata per quello che è, una scrittrice capace ancora di
provocare e inquietare il lettore, non soltanto di renderlo felice o
acquietarlo con una trama.
Breve nota bio-bibliografica sulla scrittrice:
Agota Kristof è nata in Ungheria ma dal 1956 vive in Svizzera e
scrive in francese, per l’Editions du Seuil. In Italia, Einaudi ha
pubblicato Ieri, Trilogia della città di K. (Il
grande quaderno, La prova, La terza menzogna), e
due testi teatrali, La chiave dell’ascensore e L’ora
grigia o l’ultimo cliente.
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