“Tutti pazzi per Ruggiero”?
Ettore Colombo
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“Tutti pazzi per Ruggiero” titolava il
quotidiano di Rifondazione comunista Liberazione appena il
giorno dopo le dimissioni dell’ormai ex ministro degli Esteri del
governo di centro-destra. Neanche velatamente, ma anzi con toni
corrosivi e aggressivi, Bertinotti e i suoi - in particolare la sua
vera maitre a penser, la condirettrice del giornale comunista
Rina Gagliardi - accusavano l’Ulivo di voler trasformare un araldo
dei mercati e del liberalismo selvaggio internazionale, “l’uomo
di Agnelli”, in un eroe del centro-sinistra, un “Dini due” la
vendetta.
Non a caso, Repubblica riesumava l’ex ministro degli Esteri
dell’Ulivo, dedicandogli un’intervista in cui Lambertow, “l’amico
degli Usa”, ricordava i bei tempi in cui da ministro del Tesoro
del Berlusconi I qual’era (anno di grazia 1994) si trasformava
repentinamente e improvvisamente nel presidente del Consiglio (1995)
di un governo prima “tecnico” e poi talmente “politico” che
il Polo vi strepitò contro per il resto della legislatura.

Allora, si trattò di “baciare il Rospo”, come
titolava felicemente un altro quotidiano comunista, il manifesto,
e di favorire quelle “larghe intese” che avrebbero dovuto dar
vita, finalmente, alla Seconda Repubblica. In quel caso, a dire la
verità, persino i duri e puri alla Bertinotti e Cossutta - che all’epoca
ancora coabitavano e felicemente, dentro Rifondazione - si piegarono
alla bisogna, ma poi tutto franò, le riforme (o meglio il
famigerato “patto della crostata”, stipulato a casa Letta e
firmato da Berlusconi, D’Alema e Fini, auspice Franco Marini,
officiante Antonio Maccanico) non si fecero più e il governo Dini
si trascinò a colpi di maggioranze risicate fino alle elezioni
politiche: quelle del 1996, che segnarono la vittoria del progetto e
dell’idea dell’Ulivo (e cioè del centro che si alleava alla
sinistra, non certo di quell’unicuum indistinto e
balbettante cui aspira oggi Rutelli) che, grazie alla leadership di
Romano Prodi e al “patto di desistenza” stipulato proprio con il
Prc, assolse ad un compito che avrebbe fatto tremare le vene a
chiunque: condurre l’Italia in Europa. Dalla porta principale, non
certo da quella di servizio.
Compito, certo, che si sarebbe rivelato impossibile se non fosse
stato anticipato e preparato dall’opera di risanamento economico e
finanziario avviata dai governi Ciampi e Amato nel terribile biennio
1992-1993, ma che sarebbe stata di certo impedita o quantomeno
rallentata se alla guida del nostro Paese fosse rimasto il
Berlusconi che vinse le prime elezioni figlie del sistema
uninominale maggioritario, quelle del ’94. Non che, a guardare la
crisi politica e internazionale attuale, le opinioni in merito - all’interno
della Casa delle Libertà - siano tanto dissimili: come allora, la
Lega e il suo leader Umberto Bossi si dimostrano ferocemente e
rozzamente antieuropeisti. Come allora, i cattolici del Polo - oggi
però più forti, non foss’altro che per ragioni numeriche -
quelli che si sono raccolti dietro il Biancofiore (Ccd e Cdu) e la
stessa Alleanza nazionale di Gianfranco Fini appaiono più moderati
e intelligenti di gran parte del partito di maggioranza, Forza
Italia, in mano a uomini come Tremonti e Scajola.
Quello che invece stupisce e preoccupa è il continuo e patetico
ondeggiare della sinistra, sul tema: se, infatti, nei cinque anni di
governo persino Rifondazione aveva accettato “il quadro europeo”
e forze come Verdi e Comunisti italiani, nonostante lo strepitare di
facciata, avevano di fatto avallato operazioni internazionali
delicate e difficili come la guerra in Kosovo (governo D’Alema),
oggi - di fronte al plateale attacco del centro-destra al cuore
stesso del processo d’integrazione europea e anche al necessario
processo d’integrazione delle politiche estere e di difesa dei
Paesi della comunità, alleati responsabili nella lotta al
terrorismo ma concorrenti al sistema integrato della Nato (questione
Airbus) - l’Ulivo vacilla, tentenna, si divide.

Di Rifondazione comunista s’è detto, del
movimento “no global” e di quella che è ormai la sua proiezione
“para istituzionale” (sic), il Gsf, è anche inutile dire, visto
che la ridiscesa in campo di intellettuali come Toni Negri e Franco
Piperno lascia chiaramente capire che quel pezzo di sinistra
antagonista è ancora fermo alla lotta all’Impero (ai tempi delle
Br, negli anni Settanta, veniva detto “Sistema imperialista delle
multinazionali”…). Ma quello che più preoccupa, a dire la
verità, sono gli scricchiolii e le polemiche sorte in casa Ds, dove
a fronte di un Fassino e un Veltroni seriamente intenzionati a
difendere l’Europa (e l’Italia) ci si imbatte in una sinistra
interna, quella che si richiama al “correntone” e a Giovanni
Berlinguer, che critica apertamente la retorica europeista, la
difesa a spada tratta di Ruggiero, le manifestazioni di piazza
indette sull’onda delle sue dimissioni, le prese di posizione di
netta condanna al terrorismo e il voto favorevole e convinto dato in
Parlamento per l’impiego del nostro Esercito in Afghanistan.
Si sono distinti, nella polemica interna alla Quercia, il senatore
Cesare Salvi, leader di “Socialismo 2002”, che contro la guerra
è sceso a manifestare fianco a fianco di Canarini, Agnoletto e
Bertinotti, e gran parte degli esponenti dell’ex area dei
comunisti democratici, oggi noti come “berlingueriani”.
Addirittura, infiamma la polemica sulla stessa opportunità di
organizzare il previsto seminario interno del “correntone”
proprio nei giorni in cui la maggioranza che guida i Ds mobiliterà
il partito sui temi dell’europeismo (il prossimo 16 e 19 gennaio).
Lo spettacolo, certo, non è bello da vedere. Ma segnala una
difficoltà vera e una crisi profonda di uno schieramento che non
solo ha perso le elezioni, ma che né in Parlamento né nel Paese
riesce a trovare una leadership e idee-forza adeguate e atte a
contrastare la poderosa offensiva del governo Berlusconi sul welfare
come sulla scuola, sulla politica estera come sulla giustizia.
Ecco, appunto, la giustizia, altro tema dolente del quadro. Il
prossimo 17 febbraio, in tutt’Italia, verranno ricordati i dieci
anni di Mani Pulite con fiaccolate, cortei, manifestazioni e
dibattiti che rischiano di riportare indietro il nostro Paese all’epoca
dello scontro senza quartiere tra (presunta) società civile e
(ancora più presunta) società politica. Organizzano e sono pronti
da mesi alla mobilitazione il quotidiano L’Unità diretto
da Furio Colombo, il mensile Micromega di Paolo Flores d’Arcais,
il rinato settimanale Avvenimenti del duo Novelli-Minucci, ma
appoggiano l’iniziativa con editoriali, prese di posizione
pubbliche e comizi un pezzo di esponenti e onorevoli della Quercia
come della Margherita, specie dell’ala Democratici.
Nel frattempo, il Ppi - da tempo sotto pressione e soprattutto sotto
l’incubo del definitivo scioglimento - rischia concretamente di
spaccarsi tra chi vuole seguire Rutelli nel “partito unico” e
chi non se lo sogna nemmeno, mentre i segnali di crisi senza ritorno
delle forze minori (Verdi, Pdci) sono evidenti. Rimangono, dunque,
come al solito, i Ds. Cosa faranno? Si attendono lumi e segnali.
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