Il dolore: le ragioni del silenzio
Carlo Scirocchi
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Mentre stiamo tutti cercando di farci una ragione degli ultimi
drammatici avvenimenti, mentre si addensano nubi di incertezza sui
cieli di tutto il mondo e la nostra vita quotidiana, volenti o
nolenti, è diventata un po’ più triste e complicata, vorrei
spendere due parole su un tema che è stato per secoli appannaggio
di filosofi e poeti e, ora, anche dei mass media: il dolore umano.
Si racconta che Buddha fosse indotto alla sua radicale scelta di
vita proprio alla vista delle condizioni di vita drammatiche del
popolo della sua terra. Non c’è dubbio che l’esperienza delle
tragedie umane abbia un alto contenuto di insegnamento. Non abbiamo
più bisogno di muoverci dal nostro Palazzo, come fece il Principe
Siddharta: i drammi possono essere direttamente recapitati a
domicilio. Per fortuna non c’è servizio giornalistico che non
documenti con dovizia di immagini il dolore, la disperazione e le
lacrime per la perdita di persone care. Specialmente la TV, che
sembra sguazzare nel dolore al punto che c'è sempre meno differenza
tra polpettoni più o meno finti della serie “finalmente ti
riabbraccio” e la realtà di tragedie inimmaginabili.

Lo spettacolo può riguardare ormai ogni cosa,
dalla morte in diretta del pilota di Formula 1 alla caduta delle
bombe su Bagdad. Tutti hanno lodato la tempestività della CNN nel
trovarsi nel posto giusto al momento giusto per documentare ciò che
non era mai stato documentato prima: lo scontro tra un aereo e un
grattacielo. Per forza. La loro filosofia vincente è: noi arriviamo
dove non può arrivare nemmeno Nembo Kid. Va bene. E’ forse più
importante che la TV arrivi prima dei pompieri. Anche lo spettacolo
ha i suoi diritti. Il problema è che l’inflazione, come si sa, è
un potente strumento di perdita del valore.
Ora in un mondo dove tutti conoscono il prezzo delle cose ma molti
sono carenti nella comprensione del valore, l’ultima cosa di cui
abbiamo bisogno è la perdita del valore del dolore. Da cui la
domanda: il dolore va enfatizzato o va velato? Naturalmente è una
domanda provocatoria per il semplice motivo che il dolore umano è,
per sua stessa natura, almeno a dare retta a gente tipo Shakespeare
e Leopardi, la quintessenza del pudore, il riassunto della
condizione umana, la parte visibile dell’impotenza dell'uomo. La
notizia dei disastri e i commenti e le riflessioni sono una cosa, la
caccia alla persona piangente che deve a tutti i costi esprimere al
microfono la propria disperazione è un altro. C’è veramente
bisogno di questo altro tipo di bombardamento per condividere la
tristezza per i fatti tragici? Il nostro cuore è così drogato di
emozioni che abbiamo bisogno di continue ‘sniffate’ per sentirlo
battere di solidarietà?
Non mi stupirei che si istituisse, al punto in cui siamo, una specie
di premio Pulitzer per chi è riuscito a collezionare davanti alla
telecamera il maggior numero di lacrime. Come sempre accade per le
faccende umane è una questione di confine. Dove finisce il dovere
di informare e il diritto di essere informati e dove inizia il
cattivo gusto dell’intimità umana spiattellata ai quattro venti?
Non sembrerebbe leggermente eccentrico uno che si metta a strillare
per la perdita della propria madre sulla spiaggia di Rimini a
Ferragosto? Qualcuno, probabilmente, lo accompagnerebbe con
compassione e gentilezza verso il carro di quei signori con i camici
bianchi nel frattempo sopraggiunti.
Certo, il problema dei confini è una questione infinita, come la
giustizia di Bush. Però domando: abbiamo veramente smarrito quel
bene precipuo della specie umana che si chiama ‘buon senso’?
Veramente il valore professionale viene prima del comune senso del
pudore? Certo, il senso del pudore cambia e non abbiamo nessun
aggeggio elettronico che faccia suonare un allarme ogni volta che la
lancetta raggiunge una certa soglia. Per fortuna l’essere umano
non ne ha bisogno. Basta che interroghi la propria coscienza che,
grazie a Dio, è qualcosa che esiste e si manifesta a dispetto dei
cinismi. Chi ha detto che il silenzio non sia un potente messaggio
mediatico? Non è forse vero che, quando si vuole commemorare
qualcosa o qualcuno, si osserva ‘un minuto di silenzio’? Non è
forse vero che nella settimana Santa si legano le campane onde
evitare rumori che possano disturbare il raccoglimento e la
rimembranza?

Il silenzio è anche quello della tromba solitaria
che nella notte intona le famose note militari quando è ora, per le
reclute giovani e anziane, di dormire. E’ silenzio ogni cosa che
pone in evidenza la necessità del raccoglimento, della meditazione,
della comprensione profonda delle cose, è ciò di cui si ha maggior
bisogno nei momenti difficili della collettività e dell’individuo.
Lo sbandieramento del dolore individuale non rischia di fare da
schermo, appunto, visto che si tratta di TV, alla necessità di
analisi più profonde e meditate? Le emozioni suscitate di continuo,
oltre a rischiare di stremarsi ripiegandosi su se stesse, non sono
un ostacolo alla analisi proficua dei fatti e delle necessità?
Pensate, una settimana di musica classica su tutti i canali delle
comunicazioni per ricordare la solennità della morte, la sacralità
della vita. Pensate, una settimana senza vedere le solite facce di
‘addetti ai lavori’ che vi spiegano ‘come stanno le cose’:
quelle loro. Pensate, una settimana di astensione dalla insulsa
pubblicità. Pensate, una settimana di silenzio di tutti i
bellimbusti che vogliono incrementare la loro carriera convincendoci
della loro necessità di spiegarci come si soffre.
Pensate, una settimana di silenzio di tutti gli imbonitori e
intrallazzatori che hanno il solo scopo di portare acqua al loro
mulino. Pensate, una settimana in cui si appioppa una multa da un
milione a chi osi strombazzare e smarmittare per le vie della
città. Ricordate? Quando Giuseppe Verdi stava morendo, la strada
dove abitava fu ricoperta di paglia per impedire che il rumore delle
carrozze disturbasse l’agonia del Maestro.
Il silenzio è il modo migliore per ricordarci della morte che
incombe sempre su tutti. Potrebbe veramente esserci un lutto vissuto
più utilmente?
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