Minaccia nucleare? Sol nei titoli
italiani
Giancarlo Bosetti
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Solo la stampa italiana, per quanto sono riuscito a controllare
in una rapida ricerca, - verificando quella tedesca, francese, americana
e inglese (operazione resa possibile dal web e dai motori di ricerca)
- ha accreditato l'ipotesi della minaccia di una guerra nucleare.
Pare proprio che sia stata la stampa straniera nel giusto, e quella
italiana in errore: la minaccia nucleare americana sarebbe in realtà
assai più remota di quanto si sia letto oggi in Italia. E tutti
noi, naturalmente, lo speriamo.
Ma questo "falso allarme" nucleare impone di affrontare
un argomento che è meno nebuloso della pura speranza ed ha contorni
piuttosto netti: nonostante corrano tempi cupi non è vero che l'amministrazione
americana abbia affacciato l'ipotesi nucleare per bocca del ministro
della Difesa Donald Rumsfeld, anzi a un giornalista della Cbs tv
che gliel'ha sottoposta, ha risposto giudicando il ricorso alle
armi nucleari, in questo caso, inadatto, inutile, inefficace.
Vediamo il resoconto testuale, dalla Associated Press. Il giornalista
della trasmissione "Face the Nation" chiede: "Avete
escluso l'uso di armi nucleari?". E Rumsfeld, vecchia volpe
di Washington, (dove si aggira, tra business e politica, fin dai
tempi di Eisenhower) ex senatore di Chicago e considerato, in effetti,
un falco, risponde: "Che io sappia, gli Stati Uniti non hanno
mai escluso l'uso delle armi nucleari. Abbiamo sempre detto, se
lei pensa alla Guerra fredda, che non avremmo escluso di usare per
primi le armi nucleari perché c'era una tale schiacciante capacità
convenzionale (degli avversari, ndr ) che noi sentivamo la necessità
di aggiungere questo deterrente...
Quello che ci serve adesso riconoscere, come nazione, è quanto diversa
sia questa situazione da quella tradizionale. I deterrenti che funzionavano
nella Guerra fredda non funzionano più, siamo stati colpiti da un
attacco asimmetrico... dopo il quale il presidente Bush ha detto:
dobbiamo trasformare il nostro apparato militare. E aveva ragione".

Come vedete: esattamente il contrario. Il cambio di logica militare,
cui Rumsfeld allude, deve chiaramente muovere in direzione di una
maggiore selettività: intelligence, prevenzione, raids mirati su
singoli bersagli, liquidazione del terrorismo, magari di singoli
individui. Ma evidentemente nessuna scarica di megatoni nucleari.
Perché, sostiene Rumsfeld, non farebbe allo scopo, al di là di ogni
altra considerazione.
In base a questa e a diverse altre dichiarazioni di Colin Powell
e della Rice la giornata è stata interpretata dal Washington Post
in questo modo: "Le dichiarazioni dei rappresentanti dell'amministrazione
sono parte dello sforzo di rappresentare una risposta calma e metodica
agli assalti terroristici, guadagnando tempo al governo nei confronti
di una opinione pubblica che invoca vendetta". Secondo il WP
Rumsfeld si è limitato a "fare eco" (echoed ) a Powell,
e così anche Condoleezza.
Oppure prendiamo il Tribune che si orienta, in base agli stessi
elementi: "Non ci saranno mosse su larga scala". Powell:
"Escludo a questo punto una guerra su grande scala". E
di Rumsfeld, quello che colpisce il giornale americano, oggi nelle
edicole europee, sono tre punti: a) fin dall'inizio stiamo disponendo
le nostre forze in giro per il mondo; b) Bin Laden non può aver
agito da solo, la sua rete non può non essere appoggiata da stati,
organizzazioni non statali e da imprese; c) ci stanno appoggiando
Stati e individui che desteranno sopresa e saranno determinanti
per il risultato finale.

Potete fare dei tentativi di verificare le corrispondenze da Washington
del Guardian o della Frankfurter Allgemeine Zeitung, o persino della
superscandalistica Bild , che apre con un suo scoop basato sull'idea,
presa dai giornali russi, che Putin avrebbe in testa un nuovo intervento
militare russo in Afghanistan. Ma di armi nucleari nessuna traccia.
E allora?
Allora siamo alle prese con un tic italiano, nato da una lettura
discutibile dei testi di agenzia. Evidentemente è un tic irresistibile
perché i direttori dei giornali italiani, che hanno messo questa
ipotesi nei "catenacci" (cioè nella seconda riga, più
piccola, che c'è spesso sotto il titolo) e nei sommari, non sono
persone irresponsabili. Si capisce dal fatto che hanno appunto usato
catenacci e sommari e non la riga principale, anche se non c'erano
notizie specifiche di straordinaria importanza (il ping pong su
Bin Laden, l'imminenza di un attacco, i venti di guerra).
Si capisce dal fatto che, per esempio, Sergio Romano accompagnava
la notizia con un corsivo sul ruolo dei falchi e ne attenuava l'impatto
giudicando le parole di Rumsfeld, che "non esclude a priori..."
"generiche e non impegnative". Tuttavia, un problema c'è:
come mai, di fronte alla tentazione del titolo più clamoroso e più
drammatico, i direttori, ugualmente non irresponsabili, di giornali
inglesi, tedeschi, americani (soprattutto gli americani, notiamo,
che si rivolgono alla polazione più sensibile e più colpita in questo
caso) resistono di più alla pressione del "sensazionale"?
Credo che la spiegazione stia nella diversa stazza delle navi di
carta stampata che ammiragli e ufficiali al comando si trovano a
pilotare. Le guerre sono sempre state per i giornali una grande
occasione non solo di aumento delle vendite - il che potrebbe essere
un fattore effimero -, ma di crescita del rapporto con l'opinione
pubblica - e questo può diventare un fattore non reversibile -;
ciò è tanto vero che gli editori sono talvolta tentati di organizzarle,
le guerre (ricordate il Citizen Kane-William Hearst? "voi pensate
a mandare i soldati che alle ragioni della guerra ci penso io").
Questa crescita del rapporto con l'opinione pubblica - specialmente
una opinione poco incline alla lettura come quella italiana - è
di grande importanza non solo per le casse degli editori ma anche
e soprattutto per lo stato di salute di una società. Dunque nessuno
scandalo, se eventi mondiali di immensa portata come questa crisi,
servono ad incrementare le vendite dei giornali e ad aprire lo sguardo
sull'estero, un settore tradizionalmente sacrificato sia nella carta
stampata che nei giornali, perché si sa che "non vende".
Ma la circostanza deve metterci in guardia dalle tentazioni. Quella
più pericolosa è perdere di vista che la "notiziabilità"
di un evento, cioè il suo "valore-notizia", o, detto altrimenti,
il numero di copie che ci fa vendere di più, ha una sua pericolosa
intrinseca autonomia. Se io avessi cominciato questo articolo sostenendo
che "la guerra nucleare è imminente", cercando poi di
dimostrarvi perché; e se il caporedattore ci avesse messo sopra
il titolo: "Arriva la bomba atomica", avremmo fatto molti
contatti di più, inducendo maggiore consumo di pubblicità. Avremmo
perso anche qualche cosa (in serietà e credibilità) ma forse più
vago e fumoso da misurare del numero preciso di contatti cui abbiamo
rinunciato.
La gerarchia della "notiziabilità" dei fatti è spesso
diversa da quella della loro importanza, e può anche viaggiare separandosi
dalla attendibilità dei medesimi. Il problema è noto (e con la televisione
si è moltiplicato, vedi Giovanni Sartori, Homo videns), ma non per
questo risolto una volta per tutte. Se c'è una notizia dubbia o
"forzata", bisogna davvero essere santi anche per resistere
al pericolo di trovarla solo sui giornali degli altri? Forse è un
tipo di santità alla portata di giornali sani e forti, anche se
in dura competizione tra loro. Non può vincere sempre chi le spara
più grosse. Insomma, ce la possiamo fare anche noi. Ma bisogna volerlo.
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