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La giovane sinistra che vuole ripartire. Dal basso, s'intende.



Ettore Colombo




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“Ripartire dal basso”, “imparare a declinare e riempire di contenuto parole come globalizzazione, flessibilità, modernità. E iniziare ad ascoltare, per davvero, i giovani”. Le parole sono di Giuliano Amato, rilanciate in più interviste, nei giorni passati. La declinazione è quella degli under quaranta. Una nuova generazione che non ha bisogno di affatto di “scendere in campo” perché in campo c’è già e da un pezzo, in realtà, ma che sicuramente ha bisogno di studiare, capire, discutere, lavorare.
E che, soprattutto, oggi è stufa di stare alla finestra a guardare il (desolante) panorama. Eccola.

A Milano sembrano aver preso in parola persino Francesco Rutelli e la sua idea dei “caffé”. Luigi Bechini non è più un ragazzo di primo pelo, ma se si tratta di rimboccarsi le maniche non si tira indietro. Essendo cresciuto a forza di musica e di Internet, ha deciso di approntare una popolatisssima mailing list e ha lanciato un’idea, in Rete: “Adotta un parlamentare e non farlo sentire solo”. Sembra una boutade, ma non lo è: ha suscitato l’interesse di giovani dirigenti di partito e anche di pezzi della società civile, come quelli che s’identificano in un’altra mailing list, “Amare Milano”, che - capeggiati dall’avvocato Mario Fezzi - lavorano da un pezzo, nella sinistra cittadina, per cercare di “smuovere le acque”. Il “popolo delle Stelline” l’hanno chiamato, perché lì si sono riuniti con assemblee partecipate e riuscitissime, nei mesi passati, per cercare di far uscire il centrosinistra dall’impasse in cui si era cacciato inseguendo vanamente la chimera Massimo Moratti e che hanno deciso - anche loro - di “non mollare”, una volta chiusa la campagna elettorale. Fezzi e Bechini si sono dati appuntamento per un pizza in centro. Chissà che cosa ne potrà venire fuori. Nel frattempo, venerdì 29 giugno, per cercare di discutere di come mettere in piedi “Un’altra politica”, s’incontra, presso la Casa della Cultura, un cartello di associazioni (e di singole persone) che vuole “restituire spazio e protagonismo politico alle ragioni e al popolo della sinistra sociale” e che ha dato già una buona prova di sé come “coalizione arcobaleno” di “un’altra sinistra possibile” a Torino. Tra i promotori, molti nomi importanti del mondo dell’associazionismo e di chi lavora “nel sociale” da anni e buoni pezzi di società politica, provenienti dalla sinistra libertaria e garantista: Luigi Manconi, Vittorio Agnoletto della Lila, oggi stranoto portavoce del Genova Social Forum, ma anche il neo consigliere comunale verde (e giovane, 34 anni) Maurizio Baruffi. “Bisogna stare in mezzo alla società”, dice, “e fare come fece Giovannino Agnelli che, prima di diventare dirigente della Piaggio, passò mesi a fare l’operaio in azienda, senza che nessuno lo sapesse, per imparare. La sinistra deve ritrovare motivazioni e passione, mettendosi ad ascoltare la gente vera che ha intorno”. Pierfrancesco Majorino, coordinatore cittadino dei Ds, 27 anni e un “passato” glorioso nel movimento degli studenti e nell’Uds, che ha fondato quando era veramente un ragazzino in erba, rifiuta di vedere i problemi in termini di “questione generazionale” (pur avendoci scritto un libro sopra, sui giovani) e preferisce lanciare due parole d’ordine semplici ma essenziali: “andare a Genova e occuparci di lavoro e lavori. Mi sembra che bastino, queste parole d’ordine, per fare un programma. E inoltre, ovvio, avere fuori e dentro il partito il massimo dell’intransigenza sui valori”.

A Roma, naturalmente, sembra che la politica del “Palazzo” tutto divori e risucchi: non sarà un caso se i giovani neo trentenni e quarantenni della Margherita (i vari Francheschini, Letta, Pistelli, Piscitello, Pisicchio, Gentiloni e Realacci), gente che oramai è già nella “nomenklatura” dell’Ulivo, s’incontrano classicamente in un ristorante (“Il pompiere”, nomen omen, zona del Ghetto) per decidere di “spingere sul partito unico” o meglio di cercare di emarginare chi sul partito unico frena e cioè la “vecchia guardia” popolare rappresentata dai vari De Mita, Mancino e Bianco, insomma i “partitisti” della Margherita, che ancora ragionano in termini di correnti, fazioni e partiti. Già, perché questa che cos’è, se non un convento di Santa Dorotea di ritorno? Si aspettano le assisi generali della Margherita del 14/15 luglio per saperlo, ma intanto risponde subito dal Veneto il filosofo Massimo Cacciari, che non sarà più un giovinotto, ma che un certo ascendente sui giovani ce lo deve avere eccome, se è riuscito a organizzare in quattro e quattr’otto un incontro-assemblea delle varie Margherite del Veneto (si terrà a Belluno il I luglio) che proprio quello vuole fare, spingere sul partito dell’Ulivo, operazione che trova un terminale proprio a Milano, dove a tenere le fila dei comitati per l’Ulivo c’è un giovane ricercatore, Nicola Pasini, che non è solo un ulivista della prima ora, ma anche il terminale del centro studi di Cacciari Nuove Regole per l’Europa.

Ma anche nel centro e nel Sud del Paese qualcosa che non sia solo dibattito interno ai Ds si muove: Emiliano Monteverde, 31 anni e molti spesi a occuparsi di volontariato e di terzo settore, sbotta: “Il problema, nei Ds, è che ha fallito, oramai, anche la generazione dei quarantenni, dopo quella dei sessantenni che aveva affondato il Pci. E ora chi resta, noi trentenni? Io credo sia necessario ripartire da fuori, dalla società civile, dal mondo del volontariato, che lavorerà solo su questioni parziali, troppo spesso, ma che è vivo e vitale, e che ha posto da tempo questioni oggi all’ordine del giorno: la finanza etica, la globalizzazione, i nuovi lavori. Vorrei un partito a forma associativa…”. Già, appunto, il partito principale della coalizione, i Ds. Cosa fanno, i “giovani”, al suo interno? Da Napoli, Diego Belliazzi, consigliere provinciale dei Ds e animatore di molti circoli culturali e associativi, in provincia e in città, è perentorio: “Le sezioni territoriali non servono più a niente. Ancora ancora in una città piccola, neanche media, ma in una grande città sono del tutto inutili. Del resto, anche le fabbriche e i quartieri, per come li abbiamo conosciuti, non esistono più, e dunque è ora che ci si inventi qualcosa di radicalmente nuovo, soprattutto collegato ai tanti nuovi lavori, sia a quelli vecchi che a quelli nuovi. Dopodiché è necessario tornare a fare elaborazione politica, alta, profonda, proprio come dice Amato, anche se bisogna pur salvaguardare l’identità di questo partito. Certo è che l’idea della solitaria circolazione delle elites, all’interno del mio partito, portata avanti sia da D’Alema che da Veltroni, è risultata fallimentare e dannosa. Bisogna rinnovare il gruppo dirigente, nel suo complesso, senza sconti, e darsi una forma organizzativa più leggere, più veloce. Ma soprattutto non bisogna confondere le istituzioni con il partito e solo assorbire l’uno nelle altre”. Anche Federico Bozzanca, che a soli 23 anni già è uno degli “uomini” di punta del Nidhil, quella nuova sezione della Cgil che si occupa proprio di “nuove forme del lavoro”, non si risparmia: “Il lavoro, o meglio, naturalmente, i lavori e la globalizzazione sono le parole d’ordine dalle quali bisogna ripartire. I governi di centrosinistra si sono dimostrati deboli e incerti, su questi temi, la società civile e il mondo dell’associazionismo no. Ds e Margherita devono saperne tener conto”.

Risalendo la penisola, ci si imbatte nella “Toscana rossa”, dove i “comitati riformisti” lanciati da Amato stanno nascendo per davvero, dove il sindaco di Firenze, Leonardo Domenici, ha poco più di trent’anni e dove il segretario cittadino dei Ds di Pisa, Roberto Cerreto, di anni ne ha ancora meno, 24, ma si può permettere il lusso di discutere, all’interno della sua città e nel suo partito, di “sinistra riformista e sinistra radicale”, di rapporti con Rifondazione da riaprire, “anche se è difficile”, di “unificazione socialista da portare a termine, perché tutti questi piccoli partiti e partitini, a sinistra, sono un assurdo storico”, ma che soprattutto rifiuta “qualunque approccio generazionale”, in quanto “c’è già stato, il problema è la linea politica. Questo chiedono i compagni e i simpatizzanti in città”. Fabio Ranieri, che invece di anni ne ha 30 e che è segretario provinciale dell’Aquila, in Abruzzo, scuote la testa sconsolato e, uscendo da una riunione per entrare in un’altra, commenta così “lo stato dell’arte”: “Tutte queste discussioni, viste dalla provincia profonda, appaiono siderali, lontane anni luce. Qui avremmo bisogno di nuovi amministratori, bravi e capaci, pronti a sostituire i vecchi, di nuovo personale politico, giovane e pronto a dare battaglia, ma perché un ragazzo di vent’anni che vive in un paesino di 600 anime dovrebbe iscriversi ai Ds o venire a militare nell’Ulivo? I tempi della politica non sono più quelli della vita vera, è questo meccanismo perverso che bisogna avere il coraggio di sapere spezzare. E poi bisognerebbe davvero inventarsi dei nuovi luoghi dove fare, produrre e praticare la politica, dove si sappia parlare di problemi veri, concrete, della vita reale, e non di slogan o con parole d’ordine vuote, che non vogliono dire più nulla. Nessuno sa più quali interessi vogliamo rappresentare, abbiamo problemi già con le parole, figuriamoci con l’azione”. Anche Ranieri vorrebbe un partito “aperto, a rete, in dialogo costante con la società, con le associazioni, con le questioni della vita di tutti i giorni. E dei luoghi della politica nuovi e forti”.

Il sasso nello stagno - i giovani che contano ancora o già, all’interno della sinistra e dell’Ulivo - l’hanno lanciato. Ora sta a chi di dovere ascoltarlo, raccoglierlo e, tutt’al più, rilanciarlo.


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