Le anomalie della sinistra sconfitta
Luciano Pellicani
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Le anomalie della sinistra
sconfitta
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I commenti dei lettori
Se guardiamo al dato elettorale del 13 maggio e lo confrontiamo con
quello delle democrazie europee a noi più omogenee, non possiamo non
giungere alla conclusione che la sinistra italiana costituisce una
anomalia, perché nella più parte dei paesi del Comunità europea la
sinistra socialdemocratica, la sinistra che si riconosce nei partiti
dell’Internazionale Socialista, è vincente, e dove non lo è
costituisce comunque una forza con grosse chance di rivincita
elettorale.
Il 13 maggio ci consegna invece una sinistra perdente anche nella
comparazione con i dati delle elezioni degli anni Settanta, quando le
stesse forze politiche sfioravano il 50% dei consensi, mentre oggi ci
troviamo con un risultato elettorale dimezzato.
Dentro questo risultato così poco confortante, ne emerge un altro,
cioè le scarse o poche capacità espansive dei Ds che in qualche
maniera avrebbero dovuto sostituire i partiti della tradizione
socialista e riformista pressoché liquidati durante le inchieste di
“mani pulite”, e invece ci troviamo di fronte ad un dato che non
può che rattristare o comunque preoccupare e suscitare analisi.
Un altro dato, anch’esso patologico, anomalo, riguarda la
composizione della sinistra storica che si presenta divisa in quattro
formazioni partitiche, mentre al suo interno è egemonizzata, i numeri
parlano chiaro, da un partito post-comunista verso il quale milioni di
italiani hanno una pregiudiziale negativa.
Ma esiste ancora un’altra anomalia. In che cosa consiste l’identità
culturale dell’attuale sinistra? Noi conosciamo con precisione la
composizione del partito laburista, che contiene ovviamente al suo
interno diverse componenti - non conosco partiti socialisti che non
contengano nel proprio seno tendenze di varia natura - le quali si
riconoscono in una storia comune e grazie proprio a questa
differenziazione interna possono dialogare con la società civile e
raggiungere il consenso per vincere le battaglie elettorali.
Questa identità la sinistra italiana non la conosce, e l’elettorato
socialista che non vota a destra fa parte del partito dell’astensionismo.
Da qui parte una serie di interrogativi che ci porta a domandarci i
perché di tale situazione, quali sono le cose negative che dovrebbero
essere eliminate e cancellate.
Un modo per affrontare il problema potrebbe essere fare come
Clémenceau, il quale diceva: “ io, con questi generali, la guerra
non posso proprio vincerla, ma fortunatamente anche i tedeschi hanno i
loro generali”. Aspettiamo cioè gli errori di Berlusconi,
aspettiamo che accada qualcosa che rimetta in gioco gli sconfitti.
Certo si può attendere che qualcosa accada, ma per la dignità della
sinistra, per la storia da cui è animata, per le ambizioni di cui si
fa portatrice, la strategia deve essere un’altra. Ed in Giuliano
Amato c’è la sensibilità ed il riconoscimento che di fronte a
questa sconfitta bisogna reagire, domandarsi quali sono le ragioni
strutturali e quali possono essere le terapie o la strategia vincenti.
Spero di sbagliarmi, ma questa è l’ultima spiaggia per la sinistra.
Abbiamo attraversato cento anni di errori, diciamolo francamente,
errori di varia natura ma ci sono stati, numerosi e devastanti. Diceva
Arturo Labriola che il partito socialista era un misto di teologia
politica e di opportunismo pratico, cioè di corruzione. È vero che
negli ultimi anni della sua vita Labriola era giunto ad un pessimismo
ed un cinismo totale, facciamo quindi la tara a questa sua
affermazione, ma prendiamo anche atto del fatto che abbiamo combattuto
la teologia politica ed è rimasta la corruzione.
Ma questa teologia politica è stata estirpata in tutte le sue radici?
E soprattutto: siamo riusciti a raggiungere il vasto pubblico? Il
sistema di comunicazione con gli elettori è stato efficace? I Ds sono
riusciti a convincere gli italiani che sono strutturalmente cambiati?
La risposta non può essere che negativa. Il risultato elettorale, in
particolare quello dei Ds, parla chiaro a questo riguardo, e dice
appunto che questa opera di metamorfosi dopo più di dieci anni dal
cambio del nome non è riuscita. Evidentemente ci sono molte cose, e
molto importanti, che devono essere eliminate, mentre altre devono
essere raggiunte.
Ma una precisazione è necessaria. La cosa nuova che deve nascere -
perché immagino che Giuliano Amato abbia in mente proprio questo: che
debba nascere qualcosa di nuovo - sarà il contrario della Cosa 2. non
sarà cioè il partito post-comunista manifestazione di una volontà
egemonica ed annessionistica. La Cosa 2 fallì non perché venne a
mancare la carica di D’Alema, ma perché la base reagì
negativamente. Quando quel progetto venne lanciato, ricevetti
numerosissime telefonate di compagni socialisti che lamentavano la
mancanza di un confronto. Nessun dibattito si poteva fare perché la
base post-comunista riteneva poco opportuno cimentarsi coi socialisti.
Con questa premessa non si costruisce nulla di buono, nulla di
decente, nulla di utile per il paese.
È necessario, invece, fare un lavoro di purificazione, perché si
diventa socialdemocratici quando ci si è liberati di quelle che erano
le tentazioni massimalista, anarchica, bolscevica, la tentazione di
risolvere i problemi con l’annientamento del nemico o comunque con
il rifiuto radicale dell’esistente, così come è la strategia di
Rifondazione comunista: puri, contestatori della realtà, con delle
buoni ragioni - e quale partito non ha delle buone ragioni? - ma
condannati all’opposizione permanente.
Questo vuol dire che bisogna rivalutare con forza la tradizione
riformista italiana la quale coincide, non totalmente ma in buona
parte, con il Partito Socialista Italiano. Piaccia o no, è una
tradizione che è stata sporcata dalla corruzione ma coincide con quel
partito del quale bisogna correggere l’immagine criminale che si è
diffusa negli ultimi anni.
Su un numero di “Mondo Operaio” Cafagna ha scritto un bell’articolo
sull’antipolitica nel quale si leggeva che uno dei contributi alla
costruzione di un sentimento antipolitico è stato dato dalla
demonizzazione del partito socialista, perché molti giovani sono
arrivati alla conclusione che i politici sono tutti mascalzoni e vale
quindi la pena di mettersi nelle mani di Berlusconi, una persona che,
essendo un imprenditore, quindi estranea all’universo politico,
risponde ad una logica tutt’affatto diversa. È molto difficile
presentare un partito come una banda di briganti e poi dire che ha
alle spalle una tradizione riformista alla quale noi attingiamo per
governare l’Italia. Le due cose non stanno insieme.
Un’altra considerazione ritengo utile e necessaria. Il 9 maggio,
prima delle elezioni, Umberto Eco scriveva in un articolo che l’Italia
si divide in buoni e cattivi, perché l’elettorato di Berlusconi è
formato esclusivamente da opportunisti e da ammaliati. In tale
affermazione sta la criminalizzazione di mezza Italia, di tutti coloro
che non hanno votato a sinistra. Domandiamoci invece perché, per
quale ragione queste persone vogliono votare Berlusconi. Un tempo i
marxisti facevano un’analisi strutturale, che magari era sbagliata
nei contenuti, ma dal punto di vista metodologico era più che
corretta. Una lezione di metodo di Marx è di andare a vedere come è
cambiata la struttura della società, individuare gli interessi che si
sono formati e, sulla base di questo, fare un ragionamento politico.
Oggi invece si dimenticano le cose migliori di Marx e si compiono
ragionamenti puramente moralistici: i buoni e i cattivi, gli ammaliati
e gli opportunisti da una parte, i puri e gli onesti dall’altra. È
necessaria invece un’analisi strutturale.
In Lombardia e nel Veneto, ad esempio, il microcapitalismo ha
letteralmente metamorfizzato quelle regioni. Se nella provincia di
Vicenza ogni quattro cittadini c’è un’impresa, e la maggioranza
di queste sono imprese a conduzione familiare, questo vuol dire che
lì la classe operaia è sparita. E così si spiega il successo della
Lega e di Forza Italia: i partiti della sinistra si sono sempre
rivolti al lavoro dipendente, ma se i lavoratori indipendenti
diventano la maggioranza, la sinistra si trova spiazzata.
Andiamo allora a fare analisi strutturali che ci facciano comprendere
come la realtà sta cambiando, e smettiamola con le invettive contro
Berlusconi. Smettiamola soprattutto di pensare come Clémenceau: è
vero che la Francia ha vinto la guerra, ma non perché i tedeschi
avevano i loro generali, bensì perché è arrivata una potenza che si
chiamava Stai Uniti d’America.
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