Nel cortile dei Ds non c’è
avvenire
Emanuele Macaluso
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Tre riviste, che in questi anni difficili hanno animato il dibattito
politico e culturale nell’area della sinistra, hanno promosso questo
incontro con Giuliano Amato con il proposito di fare un punto sulle
prospettive della sinistra.
Il tema è: “l’Ulivo e le sue componenti”. Noi vogliamo
particolarmente occuparci di quella componente che si richiama alla
sinistra, alle tradizioni, alle idee, alle politiche del socialismo
italiano ed europeo.
L’iniziativa è nata dopo la sconfitta elettorale, dopo avere letto
i voti raccolti dalla sinistra di governo: Ds 16,7%; Partito dei
Comunisti Italiani 1,6%; lo Sdi attorno all’1%, cioè meno del 20%;
e quelli della sinistra di opposizione, R.C. 5%.
Nell’ultimo numero della mia rivista, “Le ragioni del socialismo”
ci siamo posti un interrogatorio inquietante ma realistico: la
sinistra in Italia ha ancora un avvenire? L’inquietudine nasce non
solo dai risultati, che rivelano una forte diminuzione di elettori di
sinistra, ma dall’esistenza di piccolissime formazioni e dalla crisi
di direzione politica del partito relativamente più grande, i Ds. E
anche dal fatto che il partito della sinistra alternativa, come ama
definirsi Rifondazione, si è adattato ad un ruolo di pura e dura
testimonianza.
La sinistra di governo, come è noto, ha condotto la sua battaglia
nell’Ulivo, simbolo della coalizione di centrosinistra che ha
governato il paese negli ultimi cinque anni. Questa coalizione ha
perso le elezioni e con essa le ha perse anche il suo leader. Sarebbe
errato dire che con un’altra guida avremmo vinto ed è sbagliato
pensare che grazie a questo leader si è recuperato il recuperabile.
La sconfitta ha una valenza politica, va ricondotta alla incapacità
di coagulare, anche con l’azione di governo, alleanze sociali e
politiche.
Non è stato certo un caso il fatto che questa coalizione, nonostante
il sistema maggioritario, abbia avuto, nei cinque anni, tre
presidenti, nessuno dei quali ha potuto guidarla nella campagna
elettorale.
Lasciamo stare la storia dei tradimenti, delle imboscate e dei
racconti dietrologici: questo dato rivela una debolezza politica e una
incertezza, che permane, nel definire l’Ulivo: un soggetto politico,
quindi un partito, un superpartito, o un’alleanza
politico-elettorale fra i partiti diversi?
All’interno di questa incertezza si sono giocate più partite:
quella per un’egemonia politico-culturale di matrice
cattolico-democratica o di matrice socialista; e quella che ha
coinvolto gli assetti interni dei partiti o dei gruppi che si
richiamano all’una o all’altra matrice. Abbiamo visto così la
lotta politica ridursi alla contrapposizione tra ulivisti e fautori
dei partiti tradizionali. Le cronache politiche di questi giorni ci
dicono che il partito popolare e i Ds sono ancora dilaniati da questa
“dialettica”. La parola d’ordine che fu coniata al congresso Ds
di Torino, “una grande sinistra in un grande Ulivo”, si è
dimostrata equivoca e velleitaria, e infatti, dopo cinque anni di
governo, non c’è né la grande sinistra né il grande Ulivo.
E’ mia convinzione che se non si supera, con chiarezza, con
nettezza, questo equivoco non usciremo dalle difficoltà. “Libertàeguale”,
in un recente documento, auspica la costituzione di una formazione
politica a cui dovrebbero aderire tutti i riformisti di estrazione
diverse oggi impegnati nel centro-sinistra. Una formazione che si
riconosca nel partito socialista europeo, il quale a sua volta
dovrebbe aprirsi ad altre esperienze e culture, come, sull’altro
versante, ha fatto il partito popolare.
Proponimento giusto e lodevole. Ma, oggi, è una prospettiva politica
ravvicinata in Italia e in Europa? E’ un processo in corso e
unificante, o rischia di perpetuare il dilemma paralizzante cui ho
fatto riferimento? Non basta una convergenza su alcune riforme, anche
significative, e il giudizio comune, su cosa ha rappresentato e
rappresenta Berlusconi e la sua “Casa della libertà”, per
costituire una forza politica. Sappiamo quale peso, soprattutto in
Italia, hanno avuto le appartenenze alla sinistra dal partito
socialista di Turati e Serrati al Pci di Togliatti e al Psi di Nenni e
anche quello di Saragat o ai partiti costituiti dai cattolici
democratici, dai popolari di Sturzo alla Dc di De Gasperi. Le matrici
culturali, i valori, un’insieme di idee e tradizioni, sono parte
costituenti di un partito.
E se la crisi devastante dagli anni novanta ha messo in campo
formazioni come Forza Italia., frutto di quella crisi, non significa
che sia finita l’era di partiti con riferimenti politico-culturali.
Anche le nuove formazioni dovranno fare i conti con i temi, anche
nuovi, che attengano ad un sistema di idee e valori. Lo vediamo quando
si affronta la questione della bioetica e financo sull’aborto. La
sinistra deve ripensare se stessa anche in riferimento a questi temi e
al difficile raccordo tra libertà individuale e interesse generale.
Nella fase attuale, questa è la mia opinione, occorre innescare e
accelerare un processo di unificazione a sinistra tra tutte le forze
che si richiamano al riformismo socialista, a quei sommovimenti
politico-culturali che hanno travagliato ed interessato le
socialdemocrazie europee nell’opera di rinnovamento che le ha fatte
uscire da una crisi e le ha ricollocate alla guida dei governi.
Quest’opera, dopo l’atto politico necessario e giusto compiuto con
la svolta della Bolognina, non è stata avviata in Italia, né nel Pds,
né con la Cosa 2 e i Ds; né sul piano politico-programmatico, né
sul fronte della battaglia delle idee, né su quello della costruzione
di un gruppo dirigente effettivamente ampio e tale che non si
identificasse - come invece è avvenuto - con un pezzo del gruppo
dirigente costituitosi attorno all’ultimo Berlinguer.
Non è questa la sede per analisi retrospettive e tantomeno per
meschine recriminazioni. Un dato a me pare certo: senza i Ds non si
costituisce una nuova e più ampia sinistra, ma se tutto si svolge e
esaurisce dentro le mura dei Ds, non c’è avvenire. L’esito - a
mio avviso - sarebbe quello di una lenta e certa decadenza. I fatti ci
dicono che questo partito, con l’attuale gruppo dirigente, se le
cose restano come sono, non ha possibilità espansive, qualunque sia l’approdo
del suo congresso. Occorre quindi uscire da quelle mura, (senza
abbatterle). In questo contesto, a mio avviso, si colloca l’iniziativa
di Giuliano Amato, il quale, se ho capito bene, vuole promuovere
comitati di base, che richiamino alla memoria i Club di Mitterrand,
radunare quelle personalità che nella storia, lontana o vicina, della
sinistra hanno avuto un ruolo rilevante o modesto.
Si tratta soprattutto di ritrovare un collegamento con la sinistra che
vive nel paese e si esprime attraverso il movimento sindacale,
cooperativo nelle amministrazioni locali, in tante associazioni di
volontariato nel mondo della scuola e della ricerca; e più in
generale occorre dare voce alle spinte che sono nella società e
vogliono rompere le maglie corporative costruite in tanti anni, anche
dalla sinistra, e vogliono anche dare senso e dignità ad un fenomeno
epocale come quello dell’immigrazione.
Temi tutti che ci riconducono al ruolo che hanno oggi i socialisti in
Europa e che dovrà avere anche il partito socialista europeo nel
quale Giuliano Amato è chiamato ad assolvere un ruolo importante.
Sentiremo da lui le sue intenzioni. Noi, se sono quelle che abbiamo
capito, vogliamo sostenerle con le nostre modeste forze.
A nostro avviso, se questa iniziativa andrà autonomamente avanti, l’Ulivo
si rafforzerà. Non siamo qui per dare consigli ai Ds. Pensiamo però
che questa iniziativa possa costituire una sponda al congresso dei Ds,
un riferimento al suo dibattito. Il quale finalmente dovrebbe
svolgersi con mozioni diverse. Non sono d’accordo con Giuliano il
quale, secondo quel che riferisce alla stampa, avrebbe auspicato a
Firenze un congresso “unitario” senza mozioni. Questa esperienza
è stata consumata con esiti negativi.
Il partito dei Ds ha bisogno di un dibattito reale, di un confronto
politico-ideale, anche sui temi sollevati dallo stesso Amato e dalla
prospettiva che essi aprano ai fini del mondo d’essere dello stesso
partito. Occorre un confronto senza animosità personalistiche, ma con
l’assunzione delle responsabilità di ciascuno e di tutti. Non ha
bisogno di unanimismi di facciata.
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