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La malattia che rende trasparente



Luciano Curreri




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Pubblichiamo, con l'autorizzazione dell'autore, uno stralcio del saggio Seduzione e malattia nella narrativa italiana postunitaria tratto dalla rivista bimestrale di critica letteraria Otto/Novecento

Come il trucco, il belletto, la malattia rende il corpo trasparente, lo sgrava della sua materialità e della sua specificità sessuale. Lo rende ideale, eterno, lo riconduce all’assoluto. Piace ai narratori italiani del secondo Ottocento allontanare la donna in cielo, oltre i confini della morte (…) scrivere di donne misteriose, il cui fascino risiede proprio nell’opacità della loro bellezza; una bellezza che la malattia può ben rappresentare in virtù dei suoi attributi romantici di mistero e trasgressione.

Forse può sembrare contraddittorio segnalare nella malattia questa comunione di due termini antitetici, trasparenza e opacità, ma il suo fascino risiede proprio nel suo improrogabile termine, nell’impossibilità di differire il suo lento ma graduale e inesorabile “sorpasso” della vita (…) Tosse, deperimenti, pallori, febbri, crisi isteriche, follia sono gli effetti superficiali, “epidermici”, di uno stato patologico che, oltre il corpo, si fa veicolo di fantasie punitive e sentimentali nei confronti della femminilità.

La malattia purifica il corpo della donna, lo trascende o ne evidenzia la prorompente passionalità indicando nella rovina fisica e morale il termine ultimo a cui questa tende inevitabilmente. La malattia è una metafora che, in molti romanzi italiani del secondo Ottocento, interviene per esorcizzare la paura del femminile.

Perché “si adora e si riverisce nella donna proprio ciò che normalmente impaurisce e ripugna: gli aspetti dell’infermità, della morte, della putrefazione.

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