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Il Buon governo della Vita



Remo Bodei con Bruno Gravagnuolo



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Questa intervista è apparsa su l'Unità  del 12 giugno

Corpi in stato vegetativo e tenuti artificialmente in vita. Parti di corpi altrui riciclate per far vivere corpi malati. E poi il corpo della biosfera reinventato nel cuore del genoma. Che cosa cambia nella percezione del vivente quando tra natura e artificio la differenza diviene impercettibile? Che accade nell’autopercezione di individui generati dalla volontà di fecondazione assistita? E dov’è il limite che gli umani si assegnano nel decidere il nuovo statuto del vivente? E ancora, qual è il confine tra la vita e la morte dentro «l'eutanasia sostenibile» suggerita dal documento Veronesi?

Ne parliamo con Remo Bodei, storico della filosofia e studioso della «geometria delle passioni», relatore a Venezia, in Campo S. Angelo, al convegno di Fondamenta, dedicato ai Corpi nel terzo millennio. Al quale interverranno tra gli altri Ian Mc Ewan, Jan Luc Nancy, Jean Pierre Vernant e Henry Atlan.

Professor Bodei, in nome della dignità della vita si respinge l’accanimento terapeutico. E in nome dello stesso principio si rifiuta l’eutanasia nei casi disperati. È un contrasto tutto interno al medesimo valore infinito di "persona"?

Il dilemma non è interno ai singoli casi: staccare la spina o no. Quanto ai diversi sistemi etici di riferimento. Da un lato c’è la tradizione ebraico-cristiana, per cui il corpo - livrea del servo prestata da Dio - non ci appartiene. Dall’altro c’è la visione laica, che reputa inutile sopravvivere quando non c’è più coscienza, ma solo vita vegetativa. Personalmente opto per la seconda alternativa, in condizioni di coma irreversibile. È un dilemma tragico, che richiede in ogni caso una decisione

Chi non vuole staccare la spina sceglie di «lasciar essere» la sacralità della vita?

Certo, ma dopo dodici mesi, quando lo stato vegetativo è irreversibile, che senso ha protrarre questo stato? C’è chi obietta che procedere così è guardare alla vita residua come a un ingombro economico. Eppure anche questo ha un senso. Se si possono impiegare le risorse per salvare altre vite. Il problema di individuare un limite c’è in ogni caso. Per evitare che i casi limite e disperati diventino uno scivolo verso l’arbitrio della morte in serie.

Appunto, non c’è il rischio dell’eutanasia come macchina burocratica di stato? In fondo è già successo nei paesi scandinavi, e non solo nel Terzo Reich...

Sì, non bastano i tre neurochirurghi che certificano lo Stato vegetativo permanente. La decisione deve essere politica e legislativa. Occorre una legge frutto di un grande dibattito. Che indichi le condizioni specifiche e le istanze preposte a scegliere l’interruzione delle terapie di mantenimento. Purché però non si aggirino le questioni, come è avvenuto con le cellule staminali adulte contro quelle dell’embrione, che sono molto più efficaci. Penso però che il documento degli esperti di Veronesi vada nella direzione giusta: sollecitare una buona legge. Che includa magari anche il consenso informato, come con la donazione di organi. In tal caso il pericolo dello «scivolo» verso forme di arbitrio potrà essere ben arginato. Ovviamente la controversia verte su princìpi, in linea teorica inconciliabili. Ma non c’è ragione di lasciarla degenerare in una guerra ideologica.

Di fatto il potere della scienza diviene sempre più dirimente. Anche nella percezione del vivente, frutto di bricolage, di trapianti e di ingegneria genetica. Ha vinto il demiurgismo della tecnica?

Anche qui non vedo tragedie ontologiche. Se con un cuore di maiale si vive più a lungo, tanto meglio. Se al posto del pace-maker hai un apparato bionico, meglio ancora. E così via. Forse muta il senso dell’identità, quando si diviene organismi assistiti. Ma fino a un certo punto. In fondo anche l’aspirina modifica chimicamente l’organismo...

Che significato psicologo potrebbe avere il mutamento della percezione del «Sé», con gli innesti?

Nel caso dei trapianti, scarso. A parte una certa gratitudine verso il maiale. Diverso è il caso della fecondazione assistita, con l’intervento del donatore esterno. Lì, mutano i rapporti familiari e quelli tra consanguinei. Cambia l’architettura dei sentimenti, il senso della maternità e della paternità, connessi a tutti i momenti più solenni e fondativi dell’identità. Se tu non conosci tuo padre e lo cerchi senza trovarlo, o ti ci imbatti senza volerlo, entriamo nella costellazione della tragedia greca...

Non è giusto allora, per un figlio generato in tal modo, conoscere la propria paternità biologica?

Non credo. Tuttavia la questione si pone. Se il padre è solo un donatore di seme, il bambino appartiene solo alla madre e non al padre. Non ha un padre. Oppure, se c’è solo la donatrice di ovulo, è il contrario. Ci sono una serie di tensioni che però vengono fuori anche nel caso delle adozioni. Soltanto in Svezia - e tra poco in Olanda - la legge consente di conoscere la propria paternità biologica. È giusto? Non è giusto? Ci sono forti ragioni a favore dell’una o dell’altra risposta.

Però andrebbe anche riaffermato che non è affatto pacifico e giusto voler forzare i limiti della natura, stante la difficoltà di adozione o la mancanza di prerequisiti per essa. Se uno non può avere figli, non è detto che debba averli per forza. Magari a costo di generare dilemmi dolorosi e complicati, per la personalità del nascituro e di altri.

Non pensa che la scienza possa ingenerare onnipotenza e che occorre in ogni caso un «limite»?

L’onnipotenza faustiana va frenata, né più ne meno come con il freno di un’automobile. Senza nascondersi che, dinanzi a certi processi planetari e di massa, il freno è come quello di una bicicletta applicato ad un Jumbo. Esistono le legislazioni, interne e internazionali. Prendiamo gli Organismi geneticamente modificati. La Comunità europea ha stabilito dei criteri precisi a riguardo, imperniati sul principio di precauzione. Del resto gli Ogm, inclusi quelli da clonazione, sono molto fragili. Per la pecora Dolly ci sono voluto 270 tentativi ed è sempre malata...

Tecnica e mercato possono anche strozzare e colonizzare gli agricoltori...


C’è la soluzione cinese, a differenza di quelle politico-ideologiche, molto interessante. La Cina ha comprato il brevetto del riso Ogm antiparassiti. E lo vende allo stesso prezzo del riso naturale. Il che evita il monopolio delle multinazionali a danno dei coltivatori. Difesi dallo stato contro la pretesa di royalties sulle sementi.

In sintesi la biosfera è ormai una tecnosfera. Heidegger aveva ragione ma la sua prognosi apocalittica era sbagliata?


Dobbiamo superare il senso romantico e sacrale della natura heideggeriana. E poi evitiamo di guardare alla tecnica come a un blocco totalizzante. L’intervento sulle piante e sugli animali c’è da sempre. Non c’è un ente vitale in natura che non sia stato già modificato dalla selezione artificiale delle specie. E ci sono sei milioni di sostanze nel mondo che non esistono in natura.

Qual è allora lo spazio della «bio-etica» teorizzata da Hans Jonas?


Sta nel controllo di questi processi e dei loro effetti perversi. Senza fare di ogni erba un fascio. La comunità ha il diritto di intervenire, e la questione non va sequestrata dalla comunità scientifica. Quello dei «limiti» è un problema politico, non scientifico né economico. Purché quei limiti non siano punitivi o dogmatici.


Chi è Remo Bodei

Filosofo. Professore di Storia della Filosofia e di Estetica all’Università di Pisa (già insegnante alla Scuola Normale Superiore) e Recurrent Visiting Professor alla University of California, Los Angeles. Le sue prime ricerche riguardavano l’idealismo classico tedesco e l’età romantica. Si è occupato poi del pensiero utopico del Novecento (Multiversum, Bibliopolis 1983), e di estetica (Le forme del bello, Il Mulino 1995). Attualmente lavora sulla teoria delle passioni, sui modelli di coscienza e di corporeità e sui problemi legati all’identità individuale e collettiva.

Tra le sue opere, tradotte in diverse lingue, ricordiamo Scomposizioni. Forme dell’individuo moderno (Einaudi 1987), Geometria delle passioni (Feltrinelli 1991), Ordo amoris. Conflitti terreni e felicità celeste (Il Mulino 1992), Le prix de la liberté (Éditions du Cerf 1995).

Tra i libri più recenti: Le logiche del delirio. Ragione, affetti, follia (Laterza 2000) e I senza Dio. Figure e momenti dell’ateismo (Morcelliana 2001). Sistema ed epoca in Hegel (Il Mulino 1975) Hölderlin: la filosofia y lo tragico (Visor 1990).

È redattore di numerose riviste: “Il Mulino”, “Teoria politica”, “Iride”, “Anthropology & Philosophy”, “Journal of European Philosophy”, “Next” e “Philosophy and Social Criticism”.


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