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Letti per voi/Berlusca e il primo comandamento


Giuliano Ferrara



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Questo articolo è apparso sul Foglio  del 5 giugno

Primo comandamento del berlusconismo: "Non avrai altro allenatore all'infuori di me". Traduzione io sono quel che sono, un industriale di Milano costretto a fare politica perché i partiti di sinistra mi volevano morto, e in politica posso vincere e  convincere soltanto se non dimentico di essere quel che sono e se non consento a nessuno di dimenticarlo. Populismo? Deriva plebiscitaria? Maleducazione sportiva? Mancanza di fair play? Megalomania? No, spirito tifoso e massima, disarmante sincerità. Un revulsivo eccellente di fronte a pachidermiche ipocrisie di tanti sepolcri imbiancati. Se Silvio Berlusconi ha chiamato Forza Italia il suo partito, costringendo la compassata Stampa a metterci in mezzo (come dice Buttafuoco) una virgola interdentale (Forza, Italia), come ci si può sorprendere per i suoi duri giudizi sulla conduzione della Nazionale agli Europei? Se ha staccato tutti sul piano dell'immagine, come si può pretendere che accetti rassegnato la sconfitta, che distribuisca Croci di cavaliere in un'aura di patriottismo risorgimentale, che faccia i suoi complimenti decoubertiniani (l'importante è partecipare) con un linguaggio che calza a pennello alla Giovanna Melandri? Chiunque  con uno sforzo conquisti una vetta non ha poi voglia di farsi raggiungere dal gruppo degli inseguitori, e mescolarsi a loro.

E' certo che nessun professionista politico si sarebbe mai avventurato su un terreno così scivoloso, creando con le prevedibili dimissioni di Dino Zoff un caso planetario di conflitto tra calcio e politica. "E' stata una partita gradevole", è il classico commento di Gianni Agnelli all'uscita da uno stadio, vinta o persa che sia la partita della squadra del suo cuore. Certe imprudenze sono cose d'artista, rischi che la razza veramente padrona (o funzionaria) tende a non correre per principio. Ma nella violazione delle regole, quando le regole escludono e selezionano, si vede l'impatto formidabile dell'outsider, dell'uomo che non ha paura di raccontare le barzellette macabre, che non prende posto in tribuna nel giorno della parata consacrata alla Repubblica, che fa la campagna elettorale via mare, che rivendica la sua superiorità sull'oxfordiano Luigi Spaventa in nome dello scudetto. Sono le ragioni per le quali tanta gente anche molto per bene, forse troppo per bene, detesta Berlusconi. E sono le stesse ragioni per cui tanti italiani normali, com'è noto, lo adorano. Anche nelle uscite più gaglioffe.

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