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Ancora oggi uno “Stonewall ”


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Il Gay-Pride compie trent’anni nel 2000. La manifestazione acquistò questo nome nel 1970 dietro proposta di Craig Schoonmaker, il fondatore della rivista Gay Homosexuals Intransigent!. Era la prima manifestazione dopo l’episodio del 28 giugno 1969, quando la polizia irruppe per un brutale raid nello Stonewall Inn, un locale privato di New York dalla clientela prevalentemente omosessuale. Il locale si trovava nel Greenwich Village, in quella strada che oggi dà il nome al Christopher Street Day. Il pretesto per entrare nel locale fu la vendita non autorizzata di alcolici, ma la goccia che fece traboccare il vaso fu l’iscrizione di 200 persone nella lista della polizia e l’arresto di tre transessuali perché, secondo la legge, ‘indossavano meno di tre capi di vestiario specificatamente adatti al proprio genere’. Fu la rivolta.

Ancora oggi, nelle annuali sfilate cittadine che si svolgono in differita tra la fine di giugno e la prima settimana di luglio in tutto il mondo per ricordare l’orgoglio omosessuale, batte una bandiera coloratissima, la Rainbow Flag, la cui storia ci sembra paradigmatica. E' stata ideata da un artista americano di San Francisco, Gilbert Baker, nel 1978 ed è composta dal triangolo rosa, il simbolo usato dai nazisti per identificare gli omosessuali nei campi di concentramento (oggi diffuso come simbolo gay), cui sono abbinate 8 fasce di colore diverso: una rossa per la vita, una arancione per la guarigione, una gialla per il sole, una verde per la natura, una turchese per l’arte, una indaco per l’armonia e una viola per lo spirito.

Questa settimana di incontri che culmina oggi, 8 luglio, nella grande sfilata per le vie della capitale, è stata definita ‘l’evento estivo del 2000’. Ed è proprio il mondo virtuale il primo a fornire informazioni e documentazioni in gran quantità: basta consultare il sito www.worldpride2000.com per sapere tutto (o quasi) quello che c’è da sapere.

Quello di Roma è stato un Gay-Pride diverso da tutti gli altri. Pensato per la prima volta a Copenaghen, in un incontro dell’EPOA (Euro-pride-organizators-association, gruppo europeo di coordinamento delle manifestazioni omosessuali) nel 1997, è divenuto una convention mondiale, che ha reso Roma la città simbolo di un Giubileo laico. Il progetto ha preso vita anche grazie alla partecipazione alle proposte di Franco Grillini e Immacolata Battaglia, quest'ultima attuale presidente del circolo omosessuale ‘Mario Mieli’.

Un’altalena di consensi concessi e ritirati, di patrocini promessi e poi smentiti, il rapporto della comunità gay con le istituzioni romane ha sofferto in quest’occasione i limiti di quello che all’estero è stato definito un paese a sovranità limitata. Ma molte donne e uomini di cultura si sono dichiarati pronti a partecipare al Gay Pride 2000 in prima persona. Dacia Maraini, che per motivi di lavoro non ha potuto sfilare, ha deciso di rilasciarci alcune dichiarazioni, in cui oltre a sottolineare il forte senso simbolico della manifestazione, lancia un chiaro invito a una partecipazione collettiva.

Com’è possibile che in Italia, un’occasione del genere sia potuta divenire terreno di scontri politici così accaniti, quasi si dimenticasse il senso pacifico e festoso della manifestazione. Crede che le ultime elezioni siano il sintomo di un percorso restrittivo in tal senso?

In realtà le ultime sono state elezioni regionali-amministrative, il loro valore politico non è determinante. Ciò non toglie però, che alcuni rappresentanti della destra abbiano rilasciato preoccupanti dichiarazioni che lasciano immaginare il clima d’intolleranza che accompagnerebbe una presa di potere da parte dei conservatori.

Partecipare ad un Gay-Pride a Roma, in anno giubilare, ha avuto un senso provocatorio?

In questo momento più che in altri, il Gay-Pride acquista un significato particolare proprio perché diventa il simbolo dell’autonomia della città dalla Chiesa.

Secondo lei, la diatriba suscitata al Campidoglio tra il Sindaco e la Santa Sede in merito alla data e al percorso del Gay-Pride è il sintomo di un’eccessiva influenza della Chiesa nella politica?

L’importanza del dominio della Chiesa su Roma è innanzitutto un dato oggettivo: storicamente Roma è la Città della Chiesa, Roma e Chiesa erano un tutt’uno, s’identificavano a vicenda e la loro vita è stata spesso impostata su un rapporto di reciproca dipendenza. E’ naturale che oggi le gerarchie ecclesiastiche facciano fatica a considerare Roma quella che è: una città laica partecipe di una Nazione laica.

Alcuni importanti istituti statistici, hanno identificato nel gay il destinatario ideale di molte campagne pubblicitarie. Ultimamente pubblicità sempre più esplicite, soprattutto di abiti o di profumi, usano l’immagine degli omosessuali per attirare l’attenzione dei consumatori. Crede possibile il rischio di una strumentalizzazione della categoria?

Sono contraria alle generalizzazioni: la maggior parte delle volte sono approssimative e campate per aria. Credo anzi che si possa fare il discorso inverso. Benetton per esempio, è stato accusato di strumentalizzare dure immagini di cronaca per vendere più magliette grazie ad un’abile professionista come Oliviero Toscani. Ma non credo che ci sia un automatismo in questo senso. Se fosse così facile vendere magliette usando le armi della polemica sociale, lo farebbero tutti. In Italia non abbiamo ancora un meccanismo fiscale come quello vigente in America, dov’è favorita la sponsorizzazione di iniziative culturali e sociali da parte delle aziende che possono detrarre quei finanziamenti dalle tasse. Credo dunque che il rischio della strumentalizzazione sia assolutamente inferiore al merito di chi è sensibile, in un modo o nell’altro, al tema dell’omosessualità. Nel recente passato, industriali evoluti come Leopoldo Pirelli hanno finanziato iniziative culturali di grande spessore. Pirelli non era quello che si dice ‘un buon samaritano’, piuttosto un uomo sensibile all’interesse che si può ottenere dalla crescita culturale del proprio paese. Un interesse che è tutt’altro che automatico, ai fini del profitto economico.

Che tipo di immagine della comunità gay può dare la sfilata del Gay-Pride? Crede che porre dei limiti spaziali o formali in una manifestazione di questo tipo possa intaccarne il senso?

In una città come Roma, porre dei limiti è assolutamente necessario: la viabilità, il traffico sono fattori reali. Ma quello su cui non sono assolutamente d’accordo è proprio la preoccupazione circa l’aspetto spettacolare e clownesco della manifestazione. Siamo circondati, tra cartelloni pubblicitari e televisione, da immagini la cui spettacolarità e teatralità è davvero improbabile e talvolta anche ‘poco decorosa’. Credo che ci siano forme e immagini pubbliche molto più offensive per la sensibilità di un pellegrino che non quelle che ci vengono proposte da un pacifico Gay-Pride. Siamo assediati da un uso del corpo mercificato, violento e volgare. Soprattutto di corpi femminili.  Il Gay-Pride fra l’altro propone, in maniera provocatoria, una femminilizzazione del corpo maschile che mette pubblicamente in discussione l’antica e ingiusta distinzione dei ruoli.


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