L’insegnante di Lettere nella sala
di informatica
Piero Comande’
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L'insegnante di lettere nella sala di informatica
“Che ci fa un insegnante di
Lettere nella “Sala d’Informatica? Non e’ un tecnico, ne’ un
programmatore …”. In un workshop
on line dell’ “European schoolnet” L., professoressa di
inglese di una scuola media della provincia di Milano rispondeva:
“sogna”. E che altro puo’ fare quando si pensa che il
laboratorio d’informatica appartenga ai tecnici o agli insegnanti di
matematica? Strani umanisti, quest’insegnanti che invece di
chiudersi nelle usate biblioteche ragionano di modularita’ e di
nuovi saperi, di spazi e di tempi annullati dalla rete e dal web.
Sembra che l’informatica a scuola sia “oggetto di didattica”, ma
che non abbia generato una pedagogia. Che cosa cambia la
videoscrittura nella produzione di testi? Non si e’ fatto in tempo a
metabolizzare la discussione sull’oralita’
secondaria - la testualizzazione generata e filtrata dai media
elettromeccanici e digitali – che gia’ si parla di “rinascita
della lingua scritta” intrinseca alla modalita’ comunicativa
dell’ International Relay Chat
( le “chat”, ad es. ICQ ). E
la “frontiera” dei media profani pare spingersi ancora piu’
in la’ con l’intuizione del “computer” come teatro, della
comunicazione digitale come lingua visiva interconnessa ad una
pluralita’ di lingue che operano
su piani
sensoriali e semantici diversi, dove la pervasivita’ resta sempre
ancorata alla parzialita’ del contenuto. Tutto questo spesso e piu’
la scuola ha un indirizzo professionalizzante, piu’ fatica ad essere
all’altezza di quei compiti orientativi
e cognitivi
indicati dal rapporto OCSE Lifelong
Learing for All (
1996 ). E’ possibile addestrare all’uso di pacchetti chiusi di
“produttivita’ personale” – magari di un solo produttore – e
pensare che cio’ basti per fondare i “processi di apprendimento”
e le “competenze transdisciplinari” (soluzione di problemi e
pensiero critico) per una societa’ che si sforza di incrementare la
capacita’ di apprendere e riapprendere durante tutta la vita in modo
formale ed informale? Forse si’, ma a quale prezzo? Si gravano con
eccessive rigidita’ e ritardi chi, magari prima di altri, deve
confrontarsi con il mercato del lavoro e le sue nuove e crescenti
flessibilita’; di comprimerne la capacita’ di comunicare
attraverso i moderni media digitali: presentazioni, ipertesti,
pubblicazioni web, telematica, interattivita’. Chi
riuscira’ ad invogliare i ragazzi a praticare i “media
tradizionali” se si congelano quelli nuovi nel paradigma della
macchina da scrivere? Il libro e la playstation rischiano di
fossilizzare saperi sacri e profani.
Si accumula così un ritardo
che viene da lontano. I “nuovi media” non di rado appaiono esiti
subordinati dell’“informatizzazione” dei servizi amministrativi
e di quella “cultura d’organizzazione”. Puo’ accadere che
l’uso non “tecnico” del calcolatore – o
non mediato
da personale tecnico, dove c’e’ – abbia uno statuto
debole ( non so quale aggettivo utilizzare: epistemologico?
pedagogico? didattico? giuridico? … ). Puo’ accadere che un
insegnante si senta dire: “non
puo’ usare i computer della sala d’informatica … da solo non puo’
stare …venga dopo l’orario di servizio …”. O che venga
considerato dapprima con curiosita’ e poi con sospetto … Solo gli
insegnanti di matematica – come si è “detto” - sono riusciti a
ritagliare per se’ una nicchia protetta: miracoli del Santo Pascal
e/o della Statistica! Peccato che l’80 % dei prodotti digitali
destinati al grande pubblico ( e’ uscita involontariamente la
metafora del computer come teatro … ), ricadano negli ambiti
disciplinari umanistici, ed e’ una stima per difetto. L’imprinting
amministrativo sulla diffusione dei nuovi media puo’ rendere
difficile la fruizione della rete, a dispetto della sempre piu’
evidente utilita’ di avere connessioni aperte per insegnanti e
studenti. L’insistente attenzione per la sicurezza delle reti e’
giustificata? Quanti casi di server scolastici violati da hacker sono
riportati in letteratura? Questo distacco della comunita’ scolastica
dall’etica della liberta’ e della responsabilita’ “censura”
internet la cui navigazione e’ intrinseca, non strumentale,
alla formazione di competenze metacognitive e
transdisciplinari. Se gli insegnanti e gli studenti non
acquistano in profondita’ il “senso della rete” rischiano di
rimanere esclusi non dalla c.d. “new economy”, ma dalla cultura
della “società dell’informazione e dell’apprendimento”.
Il Ministero della Pubblica
Istruzione con il “piano per lo sviluppo delle tecnologie
didattiche” ( 1a e 1b ), negli anni 1997/2000, ha compiuto un
notevole sforzo in direzione del cambiamento in una societa’ che
cambia. Nuovi programmi ministeriali insistono sulla modularita’ ed
ipertestualita’ della trama dei contenuti delle discipline
sull’importanza dell’apprendimento cooperativo basato su problemi
e con esplicito riferimento alle discipline umanistiche. Restano
pero’ incerte sia l’integrazione di queste tecnologie nella
cultura d’organizzazione della scuola ( e’ urgente che la
pedagogia si emancipi dall’amministrazione ), sia loro apertura alla
rete ed alla dimensione scenica e multidimensionale delle nuove
scritture telematiche. In conclusione acquista importanza la questione
delle “risorse umane”, la cui ridefinizione e valorizzazione
dovrebbe essere presa in carico da insegnanti- “change agent” in
grado di trasformare una tecnica in un progetto di sistema per lo
sviluppo e la diffusione della pluralita’ dei media, tradizionali e
digitali. Ed allora l’insegnante di Lettere nella sala
d’Informatica forse potrebbe cessare di “sognare”. Anche se il
“sogno” …
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