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Letti per voi/E tutti assolvono De Felice

Susanna Nirenstein



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Questo articolo è apparso su la Repubblica   del 17 maggio 2000

De Felice, tra un'immersione e l'altra negli archivi da cui ricavò una mole immensa di materiale documentario su Mussolini e il fascismo, diceva e scriveva in continuazione che la storiografia deve prescindere dai condizionamenti politici-ideologici-moralistici. Ecco, ieri, la giornata di studi a lui dedicata (Interpretazioni su Renzo De Felice, alla Link Campus University of Malta, a Roma) è stata inaspettatamente priva dei conflitti, per l'appunto politico-ideologici, che invece hanno spesso accompagnato e accolto il suo lavoro. Se non fosse stato per tre strani e attempati figuri nostalgici sbucati da chissà dove, che, forse memori della "perfida Albione", alzando la voce, hanno contestato i dubbi di Denis Mack Smith sulle capacità militari del duce ("Abbiamo perso solo perché ci sono stati i traditori!", piuttosto che "E' stato Churchill a pagare gli ammiragli che hanno abbandonato Mussolini!!!"), una decina di studiosi (da Giovanni Sabbatucci e Francesco Perfetti, di scuola defeliciana, agli inglesi Denis Mack Smith e Adrian Lyttelton, da Francesco Villari e Pasquale Chessa, ai francesi Pierre Milza e Marc Lazar) si sono confrontati (certo, il clima internazionale, lontano dalle inimicizie e dalle interpretazioni di sempre - rievocate e analizzate da Chessa - aiutava) senza particolari contrapposizioni: anzi, ognuno di loro ha detto in cosa dissentiva dallo studioso del fascismo, e gli ha riconosciuto, e questo in modo unanime, alcuni "definitivi" meriti.

Vediamo quali. Primo, il suo lavoro di ricerca, l'imponente ricostruzione documentaria del fascismo. Secondo, l'individuazione dell'ampio consenso che ebbe il regime: una partecipazione ripercorsa da Francesco Perfetti nelle sue varie fasi, e citata da tutti. Terzo (ne hanno parlato soprattutto Giovanni Sabbatucci, ma anche gli storici francesi - e generalmente considerati di sinistra - Milza e Lazar), il fatto che De Felice abbia sottolineato l'importanza delle radici socialiste, rivoluzionarie, giacobine di Mussolini, del suo interventismo: un'indicazione di fondo, perché ha iscritto la nascita del fenomeno fascista nella storia del paese, eliminando la visione del fascismo come un buco nero, diabolico, formatosi dal nulla.

"Mussolini rivoluzionario" viene accolto anche perché evidenzia una differenza fondamentale tra il duce e il Führer, il primo, appunto, alla ricerca di un sistema che avesse al suo centro l'"uomo nuovo", il secondo, tutto volto all'indietro, all'animo germanico delle origini, razzista. "Però", dice Pierre Milza, autore di una recente biografia del Duce, "se è vero che Mussolini aveva una cultura rivoluzionaria, e Hitler controrivoluzionaria, ma non sono d'accordo con De Felice sul fatto che il regime fascista abbia avuto un'evoluzione autonoma dalla Germania: l'alleanza col Führer ha contaminato Mussolini, ha cambiato le regole del gioco, soprattutto in tema di antisemitismo. Credo poi si debba fare una differenza: per quanto riguarda la struttura del potere - il rapporto tra capo/partito/stato - fascismo e nazismo possono stare nella stessa categoria. Non possono starci invece dal punto di vista ideologico: qui, intervengono al contrario altri legami: quei fili rossi, giacobini, che finiscono per legare invece fascismo, comunismo e democrazia".

Un'indicazione forte. E Lazar rincara quasi la dose: "Anche Furet accolse la comune dimensione rivoluzionaria del bolscevismo e del fascismo: a un certo punto costruì due coppie. Una Mussolini/Lenin, ambedue usciti dalla stessa famiglia politica sociale, figli della I guerra mondiale, demagogici, violenti, nemici della borghesia; l' altra Hitler/Stalin, in comune due regimi totalitari da comparare".

Infine Denis Mac Smith, avversario "storico" di De Felice: se ha esordito dicendo che condivide tante delle interpretazioni defeliciane, si è poi accanito: ed elencati puntigliosamente i molti errori bellici del Duce, si è chiesto perché De Felice abbia voluto definirlo un "realista", piuttosto che un ingenuo.

Insomma, clima disteso. Perché allora, ha chiesto Chessa alla tavola rotonda finale, tanti "scandali" intorno De Felice? Se Mack Smith saluta ogni discussione come foriera di nuovi input e ricerche, Sabbatucci ha una risposta: "perché ha studiato il fascismo: il suo primo libro esce 15 anni dopo la morte di Mussolini: gli animi sono ancora lacerati e pieni di rimossi. Ecco perché".


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