Si può essere defeliciani di sinistra?
Pasquale Chessa
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La storia senza moralismi
E tutti lo assolvono
Segnalazione/Il Pci nell'Italia repubblicana
Quella che segue è l'introduzione al convegno "Interpretazioni
su Renzo De Felice"che si è tenuto a Roma il16 maggio.
Alfa e Omega
Da Delio Cantimori a Emilio Gentile: dal principio alla fine il lavoro storico sul
fascismo di Renzo De Felice è stato fatto oggetto di interpretazione radicale. Il destino
ha voluto che allinizio e alla fine ci fossero il maestro dei maestri e il
principale allievo. La prima critica al De Felice studioso del fascismo venne
dallautore della prefazione al primo libro sulla Storia degli ebrei (1961), il
"maestro" Delio Cantimori, "patriarca della storiografia marxista in
Italia". Un saggio autorevole, per vastità di trama e raffinatezza dellordito,
che consacrò la nascista della storiografia sul fascismo in Italia.
Fin dalla sua prima opera La storia degli ebrei sotto il fascismo, quindi, cominciano le
interpretazione su Renzo De Felice. Cantimori non trascura nessuna delle questioni
cruciali: dal confronto fra etica e storia, alla distinzione fra giudizio storico e
invettiva politica, dalla oggettività del documento storico alle insidie
dellinterpretazione... La lezione, da maestro ad allievo è serrata, sorretta da una
prosa avvolgente e affascinante. Giocata su un registro binario del genere: "Quando
il De Felice afferma che lantisemitismo e il razzismo in genere debbono essere
giudicati in sé per sé, e non storicamente, io non posso seguirlo. Se giudicare
storicamente à inteso nel senso più grossolanamente idealistico del "realismo
politico" (mettersi sul terreno dei fatti, accettare la storia ecc.) che giustifica
tutto quello che è avvenuto, in quanto è avvenuto) o è presente, siamo daccordo;
ma se è inteso nel sensodi capire e articolare e graduare ... per giudicare
criticamente... occorre osservare che una condanna teorica sic et simpliciter non elimina
il male, e non permette di combatterlo, o curarlo se del caso, seriamente".
Sono molte le obiezioni di Cantimori a De Felice. E tutte pertinenti. Colpisce ancora, per
esempio, lo sdegno interiore per la giustificazione ingenua, ma Cantimori parla
addirittura di "simpatia", della "luciferesca" coerenza antisemita di
Giovanni Preziosi piuttosto che di Roberto Farinacci. E si parla di "risonanza
simpatetica" per "quella insofferenza giovanile che spinse vari giovanissimi a
forme di razzismo e antisemitismo intransigente e arrabbiato, come protesta
"rivoluzionaria" e "antiborghese" contro
"limborghesimento" del fascismo... "Il De Felice ne parla con saggia
generosità, senza fare nomi e dare citazioni che potrebbero diventare rinfaccio ingiusto
di errori di adolescenti, mentre in altri casi non ha esitazioni di sorta". Come ho
già raccontato nel Grande convegno di studi dedicato a De Felice del 1998, In queste
parole cé lanticipazione consapevole del caso Piccardi. Ne ho già parlato,
al convegno di Roma (1998) del quale il professor Perfetti annuncia da tempo
limminenza della pubblicazione degli atti. Ricordo brevemente: uno dei capitoli di Rosso
e Nero si chiudeva proprio col racconto della storia che aveva coinvolto uno dei più
importanti protagonisti della politica italiana dellepoca, segretario del partito
radicale, antifascista di rango, segnalato in un documento pubblicato da De Felice, per
aver partecipato a un congresso di giuristi italiani sulla razza. È forse venuto il
momento di ricostruire, attraverso i documenti dellarchivio di Leone Cattani, la
verità storica di quellepisodio. Ma io ricordavo che per De Felice il trauma era
ancora vivo tanto che, finché quel paragrafo non fu tagliato, non diede il visto si
stampi per quel capitolo di Rosso e Nero.
Letta a distanza di quasi 40 anni, la presentazione di Cantimori ci appare nel complesso
partecipe del lavoro di De Felice. Un po invecchiata, forse. E non poteva essere
altrimenti. Certamente più invecchiata del testo che invece ha retto il confronto
scientifico, in virtù proprio della sua forza documentaria, di fronte al progresso degli
studi. Consiglio, con sottile venatura polemica, il confronto con la nuova edizione
ampliata del saggio di Michele Sarfatti, pubblicato nella Storia dItalia Einaudi e
ora appena uscito in edizione autonoma, provando a contare la trasposizione diretta di
documenti diciamo "defeliciani" e i nuovi documenti "sarfattiani".
Emilio Gentile sul Journal of Contemporary History, "Renzo De Felice. A
Tribute", usa lo stesso criterio interpretativo di Cantimori, nel saggio in morte del
suo professore: "De Felice stesso modificò alcune delle sue opinioni, attraverso gli
anni, sentendo la necessità di centrare ancora i più la sua attenzione sugli elementi
culturali specifici del fascismo. Per esempio ha cambiato radicalmente il suo punto di
vista sul fondamentale problema, per il significato del facismo nella storia del XX
secolo, del totalitarismo fascista. Il lavoro di De Felice è stato sottoposto a un
cambiamento sostanziale anche se lui inizialmente ha sempre negato che il fascismo era in
qualsiasi modo un regime totalitario, sostanzialmente in accordo con Hanna Harendt, è
arrivato ad accettare una forma di totalitarismo nel fascismo. Però in molti aspetti la
sua analisi del totalitarismo è rimasta rudimentale: non era sempre chiara e definita
coerentemente".
La vulgata storiografica
Questi due saggi, scritti dallinterno si potrebbe dire, in diretto rapporto con De
Felice studioso e persona, collocati al principio e alla fine della sua ricerca sul
fascismo, dimostrano che il problema De Felice è soprattutto un problema di
interpretazione. Non si tratta infatti di giudicare le sue idee sul fascismo e sulla
storia del Novecento in Europa, sulla base di qualsivoglia criterio politico e ideologico,
ma si tratta di interpretare la sua ricerca con lidea di capirne le ragioni per
cercare la strada migliore per proseguire. Lo stesso De Felice aveva, in questo senso, un
problema di interpretazione su De Felice. Non è un gioco di parole. Il professor Giuseppe
Galasso, che gli fu amico, nel convegno che si è tenuto a Milano (seconda parte di quello
cominciato a Roma) ha ripercorso a braccio il problema delle interpretazioni di De Felice
su se stesso con una lettura critica delle introduzioni dellautore ai volumi del
Mussolini. Cito a senso più che a memoria, perchè aspettiamo la pubblicazione degli
atti.

De Felice che nel primo volume si era attenuto alla definizione di "biografia
politica" già nel terzo, secondo tomo del secondo (25-29), dopo aver ribadito che si
trattava di una biografia di Mussolini e non di una storia del fascismo, si poneva il
problema della impossibilità di staccare Mussolini dalla storia dellItalia sotto il
fascismo. Una biografia "a ventaglio", diceva. Il ventaglio si amplia ancora nel
primo tomo del terzo volume nel quale linscindibilità della biografia di Mussolini
dalla storia nazionale oltrepassa i confini e si fa inscindibile dalla vicenda storica
internazionale del suo tempo. Nel primo tomo dellAlleato (40-43),di fronte ai
problemi posti dalla mancanza di studi che hanno costretto lo storico a muoversi in una
terra incognita, De Felice esce dalle "secche di un genere biografico tutto
incentrato e risolto nelluomo, la consueta nota assume gli stilemi della polemica
storiografica. Bersaglio principale "legemonia stabilita nel primo trentennio
post liberazione dal partito comunista sulla cultura italiana".
Per la prima volta, se non sbaglio, nel difendere il "taglio" della biografia di
Mussolini, introduce il concetto di "vulgata storiografica", che sarà poi il
nucleo della polemica di Rosso e Nero e contro Rosso e Nero. Scriveva: "Da qui la
necessità di allargare il discorso oltre i limiti nei quali è stato mantenuto dai
precedenti biografi di Mussolini e di approfondire una serie di aspetti della realtà
italiana e della guerra che sino a oggi coloro che hanno trattato della partecipazione
dellItalia alla seconda guerraa mondiale hanno o ignorato o sbrigativamente
liquidato su una base di una vulgata accettatga più o meno acriticamente che mostra ormai
falle sempre più numerose o risolto in chiave ideologico-politica ché solo avendo
unidea abbastanza precisa di essi ci si può rendere conto del "ventaglio di
possibilità" che Mussolini aveva o credeva di avere (e del perché credeva di
averle) e, dunque, capire veramente il suo comportamento".
Siamo nel 1990. Da 15 anni la polemica sullopera di Renzo De Felice ha deragliato.
È uscita dai binari del dibattito storiografico e si è trasformata in unannosa
querelle politico filosofica di cui forse, e sono convinto di trovare forti segnali in
questo senso, nei discorsi che stiamo per ascoltare, si comincia a intravedere la fine.
La scienza del poi
Nel 1975 la pubblicazione dellIntervista sul fascismo di De Felice a Michael
Ledeen suscitò una polemica giornalistica, costruita su base ideologica, che finì per
sfigurare per sempre il dibattito sulla storia del fascismo. Si rimanda ai due saggi di
Giovanni Belardelli, una nuova introduzione per ledizione economica, e un intervento
su Nuova storia contemporanea, per la ricostruzione dei fatti. Qui invece si vuole
sottolineare lunico articolo che riuscì, seppur nel momento in cui più rovente si
faceva lo scontro, a ribadire i termini storiografici del discorso di De Felice, discusso
nel merito intrinseco. Non senza un preciso appunto critico. Rosario Romeo, a cui De
Felice doveva la sua carriera accademica, sotto il titolo giornalistico No al
linciaggio compose un piccolo saggio storiografico, uninterpretazione su Renzo
De Felice ancora oggi indispensabile per dipanare la matassa della storiografia fascista.
Scriveva Romeo sul Giornale: "Ogni storia nasce dapprima come eco immediata di
giudizi e atteggiamenti dei contemporanei, che vengono poi gradualmente superati in una
prospettiva più ampia. Lunilateralità e lesclusivismo dei protagonisti, tesi
anzitutto ad assicurare il trionfo della propria causa e del proprio ideale , vengono in
tal modo sostituiti da punti di vista più elevati e più comprensivi. Una storia che si
limitasse a riecheggiare le polemiche dei contemporanei, sia pure arricchendole di nuovi
documenti, non realizzerebbe di fatto nessun vero progresso intellettuale, e non
aggiungerebbe nulla a quanto ci dicono, con più diretta efficacia, le testimonianze del
passato. La disponibilità di nuova documentazione è solo una delle nuove condizioni
necessarie al progresso del pensiero storico. Ma anche più importante è "la scienza
del poi", che consente di collocare uomini ed eventi nella prospettiva degli effetti
a lungo termine. Solo a queste condizioni lo storico può farsi, come deve, uomo nuovo e
antico a un tempo, capace di rivivere gli eventi con la sensibilità degli uomini del
passato e di giudicarli, insieme, alla luce del significato che essi assumono pernoi,
uomini doggi. Lo studioso che più di ogni altro ha contribuito a realizzare questi
progressi in relazione alla storia recente del nostro paese é Renzo De Felice".
Fin qui lanalisi. La critica si appuntava sulla tesi che "alla radice del
fascismo vi fosse il progetto di un "uomo nuovo" proiettato verso il futuro, a
differenza di quanto accadeva nel nazismo, che guardava a modelli del passato. Questa tesi
non da sufficiente rilievo a quanto vi era di tradizionale retorica nella immagine del
nuovo italiano guerriero e frugale disegnata da Mussolini. È una posizione che nasce
dallesigenza giusta, e assai sentita da De Felice, di non schiacciare i diversi
fascismi nazionali su uno sfondo comune che finirebbe per appiattire i caratteri
specifici: ma a questo fine può forse bastare il rinvio alla diversa fisionomia che i
temi comuni al fenomeno nel suo insieme assumevano a seconda delle diverse tradizioni
culturali".
Lo spazio storico
La nazione, le masse e la "nuova politica è il titolo del libro che sarà pubblicato
in italiano con una prefazione di Giuseppe Galasso. George L. Mossse in un capitolo,
pubblicato in anteprima dalla rivista italiana Nuova Storia contemporanea, diretta da
Francesco Perfetti, tenta una definitiva interpretazione di Renzo De Felice: "Come si
può comprendere debitamente il pensiero di un particolare periodo storico, se prima non
si cerca di entrare nella mentalità di quelli che lhanno vissuto? Il nuovo modo di
procedere costituì una vera operazione di penetrazione nella mentalità del fascista in
generale ; e ritengo che tutte le scoperte e i punti di vista successivi
sullargomento siano nati e si siano sviluppati grazie a tale nuova modalità di
indagine. Sfortunatamente non vi è stato uno studioso del nazionalsocialismo della
levatura di Renzo De Felice, i cui meriti sono notevoli e inconfutabili. Prima di tutto
egli liberò la visione del fascismo dal mito dellantifascismo, rendendo possibile
guardare al fascismo attraverso la comprensione del modo in cui i fascisti guardavano a
loro stessi, vale a dire riuscì ad avere una visione di fondo del fascismo stesso...
"
Una penetrazione nel profondo della mentalità del fascismo in generale e in particolare
della mentalità dei fascisti. Il fascismo fu una rivoluzione culturale. Il suo pernio era
il nazionalismo. Il suo cemento lontologia del nemico. La sua forza totalizzante
lannullamento della distinzione liberale fra vita pubblica e vita privata. Per
capire la sua storia bisogna saper comprendere e interpretare la concezione del mondo che
fu alla base del suo successo. Solo sapendo e capendo attraverso qual idea del mondo
questi movimenti hanno avuto successo, riusciamo a essere consapevoli del pericolo che
passato e futuro. Saper percepire laria del tempo in cui il fascismo nacque, si
affermò e tramontò, è stato il grande merito del metodo di De Felice.
Ha notato Mosse: "Lesperienza fascista lascia nella storia dei paesi che
lhanno vissuta un desiderio di profonda rimozione, un torpore storico e culturale,
come succede a una mente sconvolta da un insopportabile shock".
Mosse ne deduce una regola storiografica tanto empirica (e un po approssimativa)
quanto suggestiva: solo gli stranieri riescono a occuparsi della storia dei paesi che
hanno vissuto nel consenso la dittatura fascista e la barbarie nazista: "Chi scrisse
sulla Francia di Vichy? Non i francesi ma gli americani. Chi scrisse la prima biografia
postbellica di Hitler? Un inglese di nome Bullock, che fu molto coraggioso nel rompere
questo silenzio imbarazzante sul passato...".
In Italia, appunto, cè stato invece De Felice . Ne consegue, e non credo sia
uninterpretazione azzardata, che il caso De Felice cominci proprio da qui. Cruciale
per Mosse la scoperta di un nuovo spazio storiografico: "Ciò che De Felice fece fu
di fornire agli storici un nuovo spazio attraverso il quale considerare il fascismo, non
secondo categorie preordinate, ma dallinterno del fascismo stesso... Anche in
Germania vi è stato chi ha tentato di introdurre questo tipo di studio nellanalisi
del nazismo in generale, ma non vi è stato e non vi è un solo storico di Hitler che sia
paragonabile a De Felice come studioso di Mussolini. Oggigiorno si potrebbe scrivere
unopera in otto volumi su Hitler, vista la quantità di documenti a disposizione, ma
la ragione per la quale ciò non è avvenuto sta nel fatto che riesce più facile condurre
studi su Mussolini , sul quale non pesa alcun genocidio e che per molti aspetti era più
europeo di Hitler, piuttosto che sullautore e la mente dello sterminio".
A questo proposito Mosse esprime anche una forte critica su De Felice: "Non concordo,
comunque con De Felice quando dice che vi é una differenza totale e radicale tra
nazionalsocialismo e fascismo italiano, perché credo che nei suoi principi ideologici il
movimento fascista abbia condiviso molte caratteristiche del nazionalsocialismo. La
differenza sostanziale riguarda i loro capi. Comunque sia, la controversia innescata da De
Felice tra gli storici si è dimostrata estremamente positiva, poiché la conoscenza
storica progredisce proprio attraverso la polemica e credo che queste discussioni abbiano
aperto gli occhi sul fascismo come non era accaduto prima in Italia".
Il grado zero dellinterpretazione
François Furet, che di De Felice era un grande estimatore, non condivideva il grado zero
dellinterpretazione nellanalisi storica del biografo di Mussolini. In
unintervista a Marina Valensise in morte di De Felice cerca di trovare il bandolo
della aggrovigliata matassa delle interpretazioni su Renzo De Felice:
"Loriginalità fondamentale di De Felice consiste nellaver scelto il
fascismo come tema di unampia indagine storiografica, che avrebbe occupato la sua
esistenza. Da questo primo aspetto se ne può dedurre un secondo, che è consistito
nellaffrontare largomento a partire dalle fonti e non già da ciò che era
diventato per lopinione pubblica nel dopoguerra. Il fascismo, dopo essere stato
sconfitto, è stato oggetto di una condanna morale talmente forte che era estremamente
difficile considerarlo da un punto di vista storico. Non voglio dire con questo che la
condanna non fosse giustificata: lo era. Ma non al punto da arrivare alla censura di chi
volesse guardare la questione con gli occhi dello storico. Renzo De Felice è stato uno
dei rari studiosi che hanno avuto subito il coraggio, anzi, laudacia intellettuale
di esercitare le regole del mestiere di storico su un tema circondato da una forte
passione collettiva".
Al di là delle loro origini nella cultura marxista, fra i due storici cera però
una grande differenza. Les Annales rappresentava un mondo agli antipodi della cultura
storica di De Felice. E viceversa, per Furet, la controversia italiana sul fascismo, vista
da Parigi, sembrava provinciale, di scarsa rilevanza internazionale. È con luscita
del Passato di unillusione che De Felice riconosce nello storico francese
linterlocutore che gli mancava. Lo lesse in un pomeriggio, sottraendomelo. Alla
Luiss, poi, fu organizzata una grande presentazione di Furet, protagonista De Felice. Ma
naturalmente come è ovvio le differenze rimasero.
Furet: "De Felice diffidava delle teorie astratte, in cui sospettava una filosofia
della storia, aperta o nascosta. Dopo il periodo marxista (che del resto non è una
cattiva introduzione alla storiografia), era ritornato a unepistemologia
positivistica, fondata sulla scienza della costituzione dei fatti, la sola capace di
rivelare la verità. In tal modo, aveva acquisito sul proprio tema di studio il controllo
di un volume di conoscenze straordinario, a cui nessun altro storico è mai andato vicino.
Ha dedicato poi unattenzione scrupolosisissima al trattamento di questi dati,
nellintento di ricostruire la successione cronologica degli eventi, anziché
proporne uninterpretazione causale. In fin dei conti, però, è la sua opera a far
capire meglio che cosa è stato, nella realtà storica, il fascismo mussoliniano.
Lironia del successo di De Felice è che la sua modestia metodologica è stata il
fondamento di una delle più grandi opere storiografiche sul XX secolo".
Colpisce che le interpretazioni di De Felice maggiormente simpatetiche contengano, in
maniera diretta, critiche profonde e argomentate.
Continua Furet: "Per quanto mi riguarda, è vero che io sono più sensibile di quanto
non fosse De Felice alla parte di costruzione preliminare che la stessa costituzione dei
fatti comporta. Lo storico non può lavorare su tutti i fatti. È costretto a sceglierne
alcuni. Detto questo, però, bisogna far attenzione a non esagerare il ruolo della
costruzione intellettuale che precede la ricerca storiografica. Oggi, specie in Francia,
si incontrano troppe facili giustificazioni del relativismo intellettuale in nome del
famoso detto di Nietzsche, secondo il quale "non esistono i fatti, ma solo le
interpretazioni". Bisogna resistere a questa tendenza e a questi eccessi e
lopera di Renzo De Felice ci aiuta a farlo".
Laccusa di revisionismo a De Felice, perciò si dimostra puramente strumentale e
artificiosa.
Si può essere defeliciani di sinistra?
E evidente che si tratta di un paradosso. Giacché un De Felice "politico"
non è mai esistito. Nel senso che non cè mai stato nessun rapporto fra la politica
come appartenenza e la storia come ricerca nel discorso di Renzo De Felice. Solo che la
polemica storiografica in italia, una specie di vera e propria guerriglia fredda non
consente sfumature dentro le ricerche che partono dallopera di Renzo De Felice.
Così, gli antidefeliciani, anche quando attingono alla fonte De Felice in toto, sono
costretti a un certo punto a dedicare almeno un paragrafo a demolire limmagine di De
Felice difensore del fascismo. Immagine che evidentemente non ersiste. Si tratta invece di
uninterfaccia virtuale, artatamente sovrapposto in difesa di un vago sentimento
antirevisionista. Dallaltra parte i defeliciani, qualsiasi sia il loro sentimento
sono costretti a denunciare le distorsioni della vulgata storiografica in termini di
scontro fra punti di vista politici.
"La Resistenza è stata un grande evento storico. Nessun "revisionismo"
riuscirà mai a negarlo". "La costituzione della Repubblica sociale italiana é
allorigine della guerra civile che ha insanguinato il nord "occupato" e ha
condizionato la successiva storia dItalia... Credo che la Rsi abbia raggiunto una
parte degli obbiettivi che si era prefisso Mussolini. Ma nel conto dei costi e benefici,
il prezzo pagato è stato troppo salato".
Sono tratte da Rosso e Nero queste citazioni dal sapore antirevisionista. Perchè
revisionista, nel senso in cui lo è Ernst Nolte, e in qualche modo, François Furet,
(perchè anche il Passato di unillusione è un libro che ordina i fatti secondo
uninterpretazione che collega fra loro idee casue e de effetti) o anche, De Felice
non lo è mai stato. Tanto meno negazionista (e per tutti si cita Faurisson). Se si pensa
al suo lavoro in profondità sulla Storia degli ebrei durante il fascismo il primo studio
in Europa, di così grande rilevanza storiografica non si può nemmeno pensare a un
"giustificazionismo" truccato da "relativismo"...
La taccia di revisionismo, facendo leva sullaccezione negativa che ne ha dato il
marxismo contro Bernstein, Stalin contro Tito, Mao contro Krusciov, serve ad applicare
infatti quel paradigma politico che molto corso ha avuto nella politica italiana, per cui
criticare la Resistenza equivarrebbe ipso facto a fare il gioco dei fascisti.
Nella risposta a Bobbio, nella risposta allintervento su Rosso e Nero De
Felice chiude così la questione: "Ma allora, discutere la vicenda resistenziale non
può intendersi come il sintomo del desiderio inconfessato di "sbarazzarsi
dellantifascismo". Studiare gli effetti dell8 settembre sullintera
popolazione italiana non significa dimenticare gli effetti catastrofici (per il regime, ma
anche per il paese) dellentrata in guerra di Mussolini e dellItalia il 10
giugno del 1940. Documentare da vicino, per la prima volta con un intento puramente
storiografico, il funzionamento di Salò non può essere interpretato come un passo verso
lequiparazione fra Resistenza e Repubblica sociale. Distinguere fra gli assassini
come Koch, i militari come Borghese, gli uomini come Gentile non può essere interpretato
come mero giustificazionismo. Analizzare la natura dellattendismo popolare,
interpretare latteggiamento morale della cosidetta "zona grigia" (né
rossa né nera) non vuol dire automaticamente negare la funzione storica di chi ha
combattuto dalla parte della democrazia. Il fatto è che il dibattito
sullantifascismo non muove oggi da quello sul fascismo ma dalla riconsiderazione
(memoria) dello sviluppo storico dellItalia. Ridurre tutto alla contrapposizione fra
Resistenza e Salò, fra fascismo e antifascismo non corrisponde alla realtà dei fatti
così come la ricerca storica va lentamente ma inesorabilmente documentando".
Ma perché si è radicata nel senso comune della sinistra lo stereotipo di De Felice
teorico della riabilitazione del fascismo, di Mussolini, normalizzatore della storia
dItalia? E venuto il momento dopo il convegno di Roma, di concentrare gli
sforzi per cercare una riposta storicamente plausibile. Intanto come tema di riflessione
si propone la seguente ipotesi: è la cultura storiografica di sinistra, timorosa di
perdere una egemonia consolidata, che ha combattuto De felice. La politica di sinistra, al
contrario ha sempre cercato un dialogo costruttivo con lopera dello storico del
fascismo. Si pensi allarticolo di fondo sullUnita di Giorgio Amendola in
difesa del diritto di De Felice a svolgere le sue ricerche e la pubblicazione sullUnità
in occasione del cinquantesimo anniversario della Liberazione, del Venticinque aprile
del dibattito fra Bobbio e De Felice in contemporanea con Panorama.
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