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Recensione/Mickey Occhi Blu


Paola Casella

 

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Recensione/Mickey Occhi Blu

Paola Casella è autrice di Hollywood Italian (Baldini & Castoldi), saggio sulla presenza italiana nel cinema americano e sull'italianità raccontata sul grande schermo dalla mecca del cinema.


Mickey Occhi Blu, diretto da Kelly Makin, scritto da Adam Scheinman e Robert Kuhn, con Hugh Grant, Jeanne Tripplehorn, James Caan, Burt Young

Che cosa si può dire di un film che riposa interamente su una serie di cliché cinematografici (e di stereotipi etnici) senza aggiungervi nulla di orginale, e senza nemmeno fare ridere? Che è inutile, offensivo, e una perdita di tempo (nonché di denaro: 12.000 più 5000 per la cocacola, indispensabile per non addormentarsi in sala).

Molto più a lungo si potrebbe invece parlare di come il personaggio dell'italo-americano e, per estensione, l'italianità in generale, siano ormai diventati un luogo comune cinematografico talmente consolidato che un regista, e prima di lui uno sceneggiatore, possono pensare di poter fare leva solo su questo per giustificare un intero lungometraggio. Succede a certi mafia movie che pensano di poter scordare trama e approfondimento dei personaggi limitandosi a ripetere meccanicamente la stessa formula: la faida fra famiglie italo-americane, condita da efferata violenza (che di per sé - si crede - garantisce un successo al botteghino), e da elementi di vendetta e tradimento.

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E succede anche a certe commedie ambientate all'interno della comunità italo-americana (Stregata dalla luna, Ti amerò fino ad ammazzarti) e alle parodie sulla mafia (Mafia! dei fratelli Abrahams, Oscar, Il testimone più pazzo del mondo e soprattutto Il boss e la matricola, il film che più da vicino ricorda Mickey Occhi Blu).

Qualche volta funziona: basta pensare a Pallottole su Broadway di Woody Allen (uno specialista nel dipingere gli italo-americani come grottesche macchiette) che vedeva fra i personaggi principali il tirapiedi mafioso Cheech (spelling americano di Ciccio), interpretato da Chazz (soprannome americano di Calogero) Palminteri. Il personaggio di Cheech funziona narrativamente proprio perché fa perno sulla aspettative del pubblico nei confronti dei picciotti italo-americani, ma procede poi a ribaltarle, rivelando caratteristiche insospettabili del picciotto in questione: la sensibilità poetica, o anche solo la capacità di tenere la penna in mano (non dimentichiamo che un autore di prim'ordine come John Fante è stato sempre sottovalutato in America, e ha raggiunto la notorietà - postuma - prima in Francia e Italia che negli Stati Uniti).

Viceversa Terapia e pallottole funzionava perché utilizzava lo stereotipo del mafioso italo-americano come spunto comico fine a se stesso, l'equivalente cinematografico del carabiniere delle barzellette, senza preoccuparsi di dare alla vicenda un senso compiuto (tant'è che la storia faceva acqua da tutte le parti). Ma inveceTerapia e pallottole aveva il buon senso di affiancare al mafioso depresso, interpretato da Robert De Niro, una macchietta etnica altrettanto estrema (e altrettanto cinematograficamente riconoscibile), quella dell'analista ebreo, interpretato con grazia e ironia da Billy Crystal.

Al contrario il protagonista di Mickey Occhi Blu è l'incolore dipendente inglese di una casa d'aste americana interpretato da un altrettanto incolore Hugh Grant, ormai specializzato nel ruolo del bravo ragazzo imbranato. Mickey si innamora della figlia di un boss mafioso e rimane impelagato suo malgrado nei loschi traffici del futuro suocero. Posso dirlo? Non ne posso più delle faccette imbarazzate di Hugh Grant, del suo disagio cronico, del suo ciuffo spiovente senza essere minimamente ribelle. Quando poi Mr. Grant viene contrapposto come paragone di (relativa) "normalità" a un'intera famiglia (con la f maiuscola e minuscola) italo-americana facendone risaltare, per contrasto, tutte le aberrazioni mi arrabbio proprio.

Se Mickey infatti è educato, civile ed elegante, il suo futuro suocero, Frank Vitale, interpretato da James Caan (che fa la parodia di se stesso nel Padrino esattamente come faceva Marlon Brando ne Il boss e la matricola) è rozzo, asociale e pacchiano. Ovviamente, è anche disonesto e corrotto, e i suoi associati sono laidi, volgari, violenti, gelosi, iracondi. Emblematica la caratterizzazione dello "zio" mafioso interpretato da Burt Young (che nonostante il nome è italo-americano) come padrino potentissimo e tuttavia appena un passo al di sopra della bestia (basti pensare alla scena in cui lo vediamo abboffarsi di spaghetti con appetito animalesco).

Ancora più stridente è il contrasto fra l'astuzia criminale di Frank e la cultura accademica di Mickey. Non è un caso che la futura sposa di Mickey, Gina (interpretata senza troppe esagerazioni da Jeanne Tripplehorn), che fa l'insegnante elementare in una scuola multietnica, dunque persegue la via dell'istruzione, non voglia avere nulla a che fare con suo padre e tutta la sua famiglia (allargata ai picciotti di papà). La figura della donna che esce dalla comunità italo-americana (in sostanza rinnegandola) per entrare a pieno titolo nella società americana è un classico della filmografia d'oltreoceano. E immancabilmente l'uscita della donna dalla famiglia (e Famiglia) coincide con la sua emancipazione ed evoluzione sociale.

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Qualche esempio? La ragazza incinta di Strano incontro ('64), la fidanzata di Harvey Keitel in Mean Streets ('72), l'aspirante ballerina Stephanie Mangano ne La febbre del sabato sera ('77), MaeRose Prizzi ne L'onore dei Prizzi ('85), la vedova di mafia Angela in Una vedova allegra... ma non troppo ('88), la segretaria dell'architetto in Jungle Fever ('91), Geena Davis in Angie - Una donna tutta sola ('94). Molto spesso, tra l'altro, l'emancipazione della donna italo-americana passa attraverso la relazione con un non-italiano, possibilmente anglosassone, come Mickey Occhi Blu.

Mickey Occhi Blu (il film), è un concentrato di stereotipi che riguardano non solo gli italo-americani, ma l'italianità in generale, perché fa di tutta l'erba un fascio, a cominciare dalla colonna sonora che mescola senza distinzione classici "folkloristici" come Buonasera signorina (che sta alla canzone italiana come Al Jolson sta ai jazzisti afroamericani) a canzoni sottilmente ironiche come Elisir di Paolo Conte.

Il messaggio di Mickey Occhi Blu, se vogliamo anche solo ipotizzare l'esistenza di un messaggio, è: "Meglio non avere a che fare con chi abbia sangue italiano nelle vene", perché questo implicherebbe cromosomica disonestà e genetica propensione alla violenza - tant'è vero che persino la "dirazzata" Gina, appena si ritrova in mano una pistola, riesce a commettere un omicidio.

Ma il vero peccato mortale di Mickey Occhi Blu è quello di non far ridere per niente, nonostante l'impiego massiccio di caricature da barzelletta. Solo in una scena il film tocca la giusta corda comica: quella in cui Mickey, per prepararsi all'incontro con il futuro suocero, si fa memoria di "noleggiare Quei Bravi Ragazzi, Casinò e Il Padrino uno, due e tre": segno di quanto il cinema d'oltreoceano abbia creato un'iconografia italo-americana, per non dire un'etnia parallela - perfettamente assimilata dall'inconscio collettivo degli spettatori di tutto il mondo.



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