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The Sopranos e il sogno americano


Joseph LaPalombara

 

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Joseph LaPalombara è titolare della cattedra Arnold Wolfers di Political Science and Management presso la Yale University: tiene un corso di International Management all'interno della School of Management della stessa università , mentre presso la facoltà di Scienze Politiche si occupa da molti anni dello studio comparato di politica e scienza di governo.
Oltre all'attività di studioso, LaPalombara vanta una vasta esperienza di consulente presso organismi governativi e imprese private negli Stati Uniti e in Europa. In Italia ha svolto l’incarico di Primo Segretario dell’Ambasciata Americana per gli affari culturali. E' anche direttore della rivista "Italy Italy", nonché autore di Democrazia all’italiana.
LaPalombara, che spesso soggiorna in Italia, è stato visiting professor presso le università di Firenze, Torino e Catania. Collabora frequentemente a diversi quotidiani italiani tra cui Il Mattino, Il Gazzettino di Venezia e Il Secolo XIX.

Giunto alla fine della sua seconda stagione, The Sopranos è senza dubbio il programma televisivo con il maggior indice di gradimento in America. I critici l’hanno sommerso di elogi, lodandone giustamente la recitazione, eccezionalmente buona, sono comprensibilmente colpiti dalla tensione e finezza psicologica di molti episodi. Soprattutto apprezzano il fatto che il programma, lungi dall’essere l’ennesima, banale descrizione della mafia, parla in realtà della società americana, e delle sofferenze cui si sottopongono coloro che ne stanno ai margini, nella ricerca di una maggiore integrazione e di più rispettabilità al suo interno.

The Sopranos riscuote un successo clamoroso perché ha saputo cogliere l’essenza stessa della società americana: e cioè che, in un mondo dominato dai valori materiali, la lotta per progredire nella scala sociale non è soltanto un gioco avvincente, è l'unico gioco che conti. I personaggi del programma sono motivati dagli stessi valori, essenzialmente materiali, che muovono la maggior parte degli americani, dai ghetti fino a Wall Street e agli uffici dirigenziali delle grandi imprese multinazionali.

Così dominanti sono questi valori, da rendere ambigue e fragili e, in ultima analisi, da annullare persino le cosiddette lealtà profonde (per esempio, nei confronti della famiglia e degli amici) che tanti di noi ancora affermano ipocritamente di considerare più preziose della vita stessa. Visto da questa prospettiva, il programma è in effetti una parabola che può essere applicata a quasi ogni cittadino americano - e forse in modo più pertinente a coloro le cui famiglie risiedono negli USA solo da poche generazioni.

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Se tutto questo è vero, come si spiega la furiosa reazione a questa serie televisiva, espressa da così tante associazioni italo-americane? Una di queste associazioni, il cui scopo è combattere la "diffamazione" degli italo-americani, chiede la soppressione di The Sopranos, sostenendo che non fa altro che ripetere i soliti triti e discutibili stereotipi su italiani e italo-americani. Molte di queste organizzazioni hanno contattato i membri italo-americani del Congresso statunitense invitandoli a presentare quanto meno una risoluzione congressuale che condanni il programma e ne esiga la messa al bando.

Queste organizzazioni, che sono semplicemente gruppi di pressione etnici, sostengono, tra le altre cose, che se venissero mostrati in televisione stereotipi analoghi riferiti, per esempio, agli ebrei americani, o agli americani di origine polacca o ispanica, si scatenerebbe l’inferno. Forse è vero, forse no; ma non giustifica comunque certi attacchi in stile vigilantes contro i produttori di The Sopranos.

E anche durante un anno di elezioni pochi italo-americani al Congresso sono disposti a lasciarsi coinvolgere fino a questo punto. Di fatto, se gli abbonamenti alla HBO - la compagnia televisiva via cavo proprietaria di The Sopranos - possono rappresentare un termine di riferimento, milioni di americani, tra i quali (bisogna supporre) decine di migliaia di italo-americani, si sono affrettati a pagare per poter assistere al programma, evidentemente indifferenti alle proteste isteriche di alcuni membri della Italian-American Anti Defamation League, dai Sons of Italy, dai Knights of Columbus, dalla National Italian-American Foundation, e altre associazioni simili.

Questi contestatori italo-americani, molti dei quali hanno raggiunto il successo, sono i discendenti dei primi immigranti italiani negli USA, la maggior parte dei quali proveniva dal Mezzogiorno. Con ottime ragioni, aborrono la frequenza con la quale gli americani di origine italiana sono identificati con il sottobosco malavitoso e con la mafia. Lamentano, com’è giusto, che l’industria televisiva e quella cinematografica negli Stati Uniti abbiano creato la falsa impressione che vi sia un’unica Mafia, con la M maiuscola, una sorta di impresa multinazionale con quartier generale a Palermo.

Il più delle volte, la televisione e il cinema americani ritraggono gli italo-americani come gangster che parlano un inglese molto approssimativo; il più delle volte, sul grande e piccolo schermo, i genitori italo-americani conservano un pesante accento italiano. Le mamme sono in genere donne di bassa statura, piuttosto tarchiate, sempre in cucina e sempre pronte a servire alla famiglia, o a una combriccola di sgherri mafiosi, un piattone di spaghetti e polpette. Tutto quel che sanni dire è "Mangia! Mangia!".

The Sopranos è ben diverso. Livia, uno dei personaggi principali della serie, è una mamma italiana davvero degna di questo nome: veste con una certa eleganza, è intelligente, esigente e anche un po’ prepotente. Ama la sua famiglia ma intende anche, come ogni autentica madre italiana, guidarla verso la direzione che ritiene essere la migliore. Non tollera di essere disobbedita o contraddetta, e quando decide di vendicarsi incute timore. Ecco un esempio convincente delle mamme italiane che ho conosciuto, compresa la mia!, mi sono detto ripensando ai miei anni giovanili nella Little Italy di Chicago

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The Sopranos sa anche raccontare, con autenticità e sensibilità, la battaglia delle famiglie italo-americane per conquistarsi un posto migliore e più sicuro all'interno della società medioborghese americana. Il trasloco della famiglia Soprano in una zona residenziale è reso difficile dall’inevitabile condiscendenza dei nuovi vicini, compresi anche altri italo-americani già "arrivati". La vicenda del trasloco ritrae perfettamente le umiliazioni cui sono sottoposti i bambini della famiglia Soprano a scuola, un trattamento che riguarda tutti i nuovi arrivati in modo endemico, in quasi ogni parte del mondo. Ma il resoconto delle tensioni e degli scontri tra genitori e figli all'interno della famiglia Soprano, tra i nuovi residenti del quartiere suburbano e i parenti rimasti nella Little Italy, sono innovativi e ricchi di intuizioni. La spavalderia dei Soprano da un lato, e la loro totale confusione riguardo alla propria identità e al proprio posto fra gli italo-americani dall'altro, consentono al programma di distinguersi.

In sintesi, The Sopranos è lontanissimo dal Padrino di Mario Puzo o dai film di Martin Scorsese e di altri che hanno dipinto gli italo-americani come personaggi a una sola dimensione: mafia e scontri a fuoco per quanto riguarda gli uomini, sesso e sottomissione per quel che concerne le donne. Quanto alla discriminazione tra i sessi, soltanto in un film fuori dai canoni come Stregata dalla luna viene affidato un ruolo importante a una donna italo-americana (interpretata da Cher). In The Sopranos non soltanto c'è Livia, ritratta nel modo che abbiamo descritto, ma anche Carmela, la moglie di Tony Soprano, il protagonista della serie, e parecchie altre che emergono come qualcosa di più dei soliti stereotipi italo-americani di mamme, amanti e pupe dei gangster.

Da questo punto di vista è stato un colpo di genio mandare Tony Soprano in terapia da una psicanalista, anche lei nata e cresciuta nello stesso, violento quartiere italo-americano del suo paziente. Tony non è Robert De Niro nella parte di un mafioso da burletta che si rivolge a Billy Crystal per una terapia psichiatrica. Questo è un uomo d’affari e un capofamiglia estremamente reale e tormentato, i cui conflitti esistenziali lo portano a un passo disperato che, nella vita reale, sarebbe estremamente rischioso, nonché coraggioso e ammirevole.

E qui, secondo me risiede, in nuce, il segreto del travolgente successo di The Sopranos. A cominciare da Tony, nessuno dei protagonisti sembra recitare. Quasi tutti gli attori offrono performance assolutamente naturali, una settimana dopo l’altra. Con rarissime eccezioni, la maggior parte delle situazioni sono realistiche, non in senso letterale, ma in termini metaforici, e la serie abbonda di metafore. In questo senso The Sopranos ha molto da dire a tutti gli americani, di qualunque origine o età. Non fa meraviglia, quindi, lo straordinario numero di americani che si sono affezionati al programma.

Ma su almeno una cosa importante la Italian-American Anti Defamation League ha avuto ragione. Aveva previsto e temuto che The Sopranos avrebbe generato delle imitazioni, e dato la stura a un’ondata di programmi simili ma molto inferiori, con stereotipi ancor più biasimevoli. Essendo l’America ormai diventata un paese ampiamente dominato dal mercato, questo fenomeno è già in pieno svolgimento.

Il primo di questi cloni è Falcone, una serie di nove puntate che è uno scoperto tentativo di scimmiottare The Sopranos. E lo fa con risultati disastrosi: gli stereotipi dei mafiosi sono stilizzati sul modello che una volta era pane per i denti dei George Raft e degli Edward G. Robinson. Laddove The Sopranos è sottile e sofisticato, il messaggio di Falcone è strillato, sopra le righe, enfatizzato da furia e chiasso. La violenza in Falcone è estrema e gratuita: laddove The Sopranos mette in scena un’esecuzione mafiosa, Falcone ne mostra due contemporaneamente. E se The Sopranos mostra un omicidio solo di tanto in tanto, nel primo episodio di Falcone un mafioso ammazza tre concorrenti russi in pieno giorno, in mezzo a una strada piena di gente.

Il dialogo in Falcone è primitivo, semplicistico, spesso anche solo stupido. E i personaggi italo-americani sono così stereotipati che persino quelli che hanno anglicizzato il loro cognome e rifiutato le proprie origini italiane li troverebbero pazzeschi. Ma non si può dare la colpa a The Sopranos per il tipo di degenerazione che è sempre stato il marchio di fabbrica delle imitazioni da quattro soldi. Ciò che è tipicamente americano è la proporzione, e la rapidità, con cui questa degenerazione riesce effettivamente ad aver luogo.

(Traduzione di Anna Tagliavini)



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