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L'istruzione sul pianeta terra


Giancarlo Bosetti


"Uno sguardo sull'educazione. Gli indicatori internazionali dell'istruzione'" è un libro rigorosamente anonimo, porta soltanto il marchio Oecd-Ocde, vale a dire in italiano 'Ocse', l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, che è nota anche come la sigla che raduna tutto il mondo sviluppato, ma è il frutto del lavoro di centinaia di specialisti di tutto il mondo. Rielaborando tutti gli indicatori statistici (36) e combinandoli in modo sempre piu' sofisticato hanno fotografato lo stato dell'istruzione della specie umana sul pianeta terra. Se è vero che il capitale umano è la risorsa economica fondamentale, questa ne è la fotografia piu' completa.

Le 480 pagine del rapporto 1998, che l'editore Armando pubblica adesso meritoriamente in italiano, sono indispensabili per chiunque si occupi di scuola. Per i ministri della Pubblica Istruzione e dell'Universita' sara' d'obbligo tenerne una copia sulla scrivania. Dubito che Berlinguer e Zecchino la tengano sul comodino perche' avranno anche bisogno di rilassarsi, almeno la sera. E il rapporto Ocse per noi italiani, chiunque sia al governo nel momento in cui esce, non è mai rilassante. E cosi' sara', ahinoi, ancora per un bel po'. L'Italia nel dopoguerra, con il boom e con la trasformazione impetuosa da paese agricolo-industriale a paese industriale, ha guadagnato il quinto/sesto posto per reddito lordo, occupa una posizione proporzionata a questa posizione in classifica per tutti i fattori chiave della civilizzazione, aspettative di vita, consumi di cibo ed energia, se la cava benissimo negli indici definiti dall'Onu (secondo lo schema di Amartya Sen) dello 'sviluppo umano', ma quando si parla di istruzione non riesce a nascondere la sua storia di parente povero dei grandi.

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La forza prepotente con la quale gli Stati Uniti hanno assunto la guida dell'economia mondiale in un cammino di lungo corso e che si usa ricondurre nelle polemiche correnti al fattore della 'flessibilita' e della 'mobilita' della forza lavoro appare qui chiaramente determinata, in modo storicamente molto piu' corposo, dal loro primato indiscutibile nel 'capitale umano', che della flessibilita' della forza lavoro è una condizione indiscutibile. L'indice forse piu' significativo è proprio quello che sgrana la classifica mondiale dell'istruzione a partire da un dato: il numero percentuale delle persone in eta' da lavoro (tra i 25 e i 64 anni) che hanno soltanto la licenza media inferiore (cento anni fa l'indice equivalente sarebbe stato quello degli analfabeti). Solo il 14%. Nessun paese al mondo, per quanto piccolo, riesce a fare meglio di loro.

Al capo opposto della carriera scolastica, l'istruzione universitaria, la posizione americana si conferma imbattibile: il 26% degli adulti in eta' da lavoro ha la laurea. E a questi si deve aggiungere un 8% di titolati a livello universitario pre-laurea. Se si aggiunge ancora il 52% di persone che hanno concluso gli studi secondari superiori, abbiamo un 86% di persone in eta' da lavoro dotate almeno di istruzione secondaria superiore. Quando si cercano le ragioni della esplosiva diffusione dei computer e di Internet negli Stati Uniti si dovrebbe tener conto di questo: la alfabetizzazione digitale delle moderne societa' è figlia della istruzione scolastica al livello medio superiore, non di qualche genius loci.

Un'altra comparazione dello studio Ocse rivela che questi altissimi livelli di istruzione secondaria superiore sono storicamente acquisiti da tempo e che riguardano anche la popolazione anziana (i sessantenni) e non solo quella piu' giovane. Per essere piu' chiari: negli Stati Uniti gia' da quarant'anni la percentuale dei diplomati nella forza lavoro è intorno all'80%, gia' da trent'anni è intorno all'86-87%. In Italia la percentuale degli almeno diplomati tra i 55-64enni è del 17%, tra i 45-54enni del 31% , tra i 35-44enni del 46%. E solo tra i 25-34enni abbiamo superato il 50%. Abbiamo cosi' una media di 'almeno diplomati' che è del 38%, risultato che è il frutto di una recente rincorsa, con parziale recupero del ritardo.

Tra i maggiori paesi del mondo che hanno una 'struttura' della popolazione, in base agli studi scolastici, simile agli Stati Uniti, troviamo subito la Germania e la Gran Bretagna. Anche qui hanno almeno completato le medie superiori l'87 e l'86% della popolazione (in Francia il 74%) e la percentuale dei laureati è sopra il 10% (13% Germania e Inghilterra, 10% Francia). Nessuno si avvicina al livello di laureati degli Usa, salvo la piccola Olanda (23%) e la Corea (lanciata in una velocissima corsa di recupero, con il 19%), ma sotto la percentuale a due cifre troviamo nel mondo Ocse soltanto il Portogallo (7%), la Turchia (6%), l'Austria (6%, ha pero' un 2% di titoli universitari sub-laurea) e l'Italia (8%).

Altre note dolenti relative alle traiettorie prevedibili e ai fattori dinamici nel prossimo futuro sono quelle relative alla spesa per l'istruzione. Per tutti i livelli (primario, secondario, universitario) la percentuale di spesa per l'istruzione sul Pil è in Italia largamente al di sotto della media Ocse, tra il 4 e il 5%. Nel gruppo di testa dei paesi che spendono di piu' si trovano Israele (piu' dell'8%), gli Stati Uniti, l'Europa del Nord, la Germania, l'Europa dell'est, e anche la Spagna. Naturalmente influisce su questo dato la caduta della popolazione scolastica, ma questa contrazione dei numeri di base dell'utenza, dovuta al calo di natalita', produce un effetto persino clamoroso e paradossale.

L'Italia ha un record mondiale, quello del miglior rapporto studenti/insegnanti nelle scuole elementari (11 studenti per un maestro); è un record che l'Italia difende bene, quasi imbattuta anche nelle medie inferiori e superiori, mentre ha il peggior rapporto al mondo (ripeto: il peggiore al mondo) nelle universita'. Nessuno infatti, nel mondo Ocse, neppure si avvicina al rapporto di 30 a 1 (negli Usa 14 a 1). E siamo anche ultimi nel tasso di sopravvivenza universitaria, cioe' nel rapporto tra iscritti e laureati (circa il 35%, contro per esempio l'86% del Giappone o l'81% dell'Inghilterra).

Se poi vogliamo toccare il tasto della spesa per ricerca e sviluppo (è ormai un luogo comune, ahinoi, ma continua ad essere vero) vedremo che in percentuale sul Pil ci confermiamo strutturalmente ancorati al gruppo di coda. La media dei paesi Ocse è 1,3%, noi siamo a livello 0,8%, con la Spagna allo 0,6%. Guidano questa classifica, carica di promesse per il futuro, la Svezia (2,8%), la Corea, il Giappone, gli Usa, la Francia (sopra il 2%), la Finlandia, la Germania, l'Inghilterra, l'Olanda (sopra l'1,5% ), cioe' i soliti noti.

Lo sguardo all'istruzione nel mondo illumina una condizione che è il frutto di strati storici molto spessi. Non si guadagnano posizioni con misure tampone o di breve periodo. E qui c'è una differenza di fondo tra la nostra performance al livello delle secondarie e la nostra stasi a livello universitario. Negli ultimi trent'anni l'Italia ha dato segni di voler recuperare terreno nella istruzione secondaria superiore. Il maggior balzo in avanti è proprio questo. Lo si misura nello scarto tra i diplomati tra le fasce di eta': siamo passati dal 17% tra i 55-64enni al 52% tra i 25-34enni. Un avanzamento simile a quello della Spagna, che pero' si è portata al 50% partendo dall'11% (la Corea dal 25 al 90%!). In questa fascia la societa' italiana ha mostrato di voler cambiare con una certa energia. Invece l'istruzione universitaria sembra essersi arenata: siamo passati si' dal 5% di laureati tra i 55-64enni all'8% tra i 25-34enni (arretrando rispetto a un 11% delle fasce di eta' intermedie), ma non abbiamo prodotto uno sforzo paragonabile a quello della Spagna passata contemporaneamente da un 6 al 13%. Qui è come se la esigenza di un balzo verso la moderna istruzione qualificata non si fosse neppure seriamente posta.

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