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Sconfitto dalla guerra fredda


Gianni Riotta

 

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Questo articolo è apparso su La Stampa (www.lastampa.it) del 21 gennaio

La vera ragione della sconfitta storica di Bettino Craxi, presidente del Consiglio e segretario del Partito socialista, non risiede in Tangentopoli e neppure nell’ostilità feroce dimostratagli dagli altri gruppi politici, di centro e sinistra. L’ipotesi riformista di Craxi viene battuta dalla Guerra Fredda, «una gabbia impossibile da scuotere» secondo il diplomatico americano Richard Holbrooke. In Italia, Paese di frontiera estrema, non può liberarsi un soggetto socialista autonomo. E non per segreti diktat del Pentagono, stizzito dall’episodio di Sigonella, come l’ultimo Craxi venne almanaccando: erano gli elettori italiani - cittadini di una democrazia acerba - a restare irriducibili seguaci dello scudo crociato o di Botteghe Oscure.

Il Craxi dei primi anni, che discute con Galli della Loggia e Bobbio, che fa scrivere sul manifesto a Pintor «Chi ha paura di Bettino Craxi?», trovando ascolto tra i ceti medi e nel Pci, scoprirà con amarezza di non poter crescere. I cittadini, con la sagacia acquisita il 18 aprile del 1948, non intendono alterare l’equilibrio politico finché dura la Guerra Fredda. Craxi farà - come Houdini - miracoli di funambolismo politico. Ma dalla carica del Midas 1976 ai giorni agri di Hammamet, attenderà invano «l’onda lunga socialista». Non gli bastano gli anni a Palazzo Chigi, non gli basta il governo record. Il Paese non lo segue.

Le nuove interpretazioni della Guerra Fredda contenute nel saggio «We know now» (adesso sappiamo) dello storico John Lewis Gaddis provano (se lette insieme ai documenti segreti apparsi sul Bulletin del «Cold War International Project», inverno ’99) che nella partita Washington contro Mosca non c’erano alternative. Niente poteva mutare nei due mondi, fino al crollo di uno dei giganti. Alla fine del comunismo, però, Bettino Craxi arriva logorato, dagli avversari e dalla sua bulimia di potere.

Battuto, come prima di lui furono tragicamente Moro e Berlinguer, dall’impossibilità di una guerra di movimento locale, in un mondo che combatte una gigantesca guerra di posizione. Le sue idee, radicali nel 1976, saranno superate dalla globalizzazione, dai laburisti che assumono le riforme della Thatcher e da Clinton che non rinnega l’economia di Reagan.

Vittima del passato, Craxi vedrà sorgere il futuro dal malinconico eterno Ferragosto della Tunisia. L’uomo ha il suo destino, il leader è sconfitto dalle regole di ferro di una crudele guerra, durata mezzo secolo.

 

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