Questo articolo è apparso su la
Repubblica (www.repubblica.it) del 3 gennaio
Quanti libri si leggeranno, nei prossimi due o tre decenni, sulla vicenda umana e
politica di Boris Eltsin. Ovunque si prepari ad andare la Russia - verso la democrazia
compiuta o verso un nuovo sistema autoritario, verso l'Europa o verso un corrucciato
isolazionismo , sarà dagli "anni di Eltsin" che gli studi degli storici
dovranno infatti cominciare.
Da quel che è avvenuto tra il '91 e oggi, dai successi e dai disastri della
transizione post-comunista, dunque da quel che è accaduto in Russia quando a governarla
c'era Eltsin. E saranno libri forse appassionanti: perché il personaggio che l'ultimo
giorno del XX secolo ha lasciato improvvisamente la scena, era un personaggio fuori
dall'ordinario.
Un impasto di talento politico e sregolatezza personale, di grandi visioni e grandi
errori, di patriottismo e corruzione, che ha finito col rappresentare per il suo paese -
in misure non facili da stabilire - una fortuna e una calamità.
Ma vediamo rapidamente, prima di tentare un bilancio del periodo eltsiniano, come si
spieghino le brusche dimissioni di venerdì 31 dicembre. Parlare di "colpo di
scena", come molti hanno fatto nelle prime ore, è inesatto. Già in ottobre, Mosca
ronzava di voci sulle dimissioni del presidente: e l'origine di tali voci era abbastanza
chiara.
Se davvero le camarille del Cremlino - la Famiglia, come si dice comunemente - avevano
deciso che Vladimir Putin dovesse essere il successore, le dimissioni anticipate di Eltsin
avrebbero infatti favorito la vittoria del primo ministro alle presidenziali. Gli
avrebbero dato un rilievo mediatico maggiore, una maggiore presenza internazionale, e il
controllo di quelle leve dello Stato che possono risultare decisive in una campagna
elettorale.
Perché i "cervelli" della Famiglia (lo scaltro Ciubàis prima di tutti, e
poi i Voloshin, gli Yumashev, i Berezovskij, per non parlare della figlia di Eltsin,
Tatiana) non abbiano deciso di far dimettere il presidente già in autunno, è difficile
dire.
Quel che è certo è che i risultati delle legislative del 19 dicembre hanno creato la
circostanza perfetta, irripetibile, per il ritiro di Eltsin. Col partito eltsiniano in
seconda posizione alla Duma, con la popolarità che la guerra di Cecenia ha regalato a
Putin, e con lo scompiglio intervenuto nelle opposizioni, le presidenziali andavano
indette il prima possibile. E infatti, con le dimissioni del presidente, le elezioni si
terranno a marzo: prima cioè che possa disperdersi il capitale dei consensi accumulato da
Putin in questi mesi.
La successione appare così, ormai, pressoché certa. La Famiglia avrà al Cremlino un
suo uomo, si dileguano i suoi timori di poter essere chiamata a rispondere delle
illegalità compiute in questi anni, e anzi tutto fa credere che essa potrà contare
ancora, e molto, nella politica moscovita. Tant'è vero che senza alcun infingimento o
pudore, il primo atto di Putin come presidente della Federazione è stato un decreto che
assicura agli ex capi dello Stato una totale immunità nei confronti d'eventuali
procedimenti giudiziari. La manovra per approdare a una continuità politica, a un assetto
eltsiniano senza Eltsin, sembra quindi perfettamente riuscita.
Ma qual è l'eredità degli "anni di Eltsin", che cosa ha significato per la
Russia questo decennio? Qui il discorso si fa più difficile. Di sicuro si può dire che a
pochi statisti era toccato in sorte d'affrontare, lungo l'intera storia contemporanea, un
compito tanto complesso e gravoso come quello che Boris Eltsin si trovò davanti nel
dicembre del '91. In poche settimane, bisognò infatti ripartire da zero. Dissolvere l'
Urss, far emergere un'economia di mercato dalle macerie del sistema economico comunista,
varare le prime istituzioni democratiche. Il tutto badando inoltre a contenere i
contraccolpi scaturiti da tanti e profondi cambiamenti: il malessere sociale, il marasma
amministrativo, la reazione rabbiosa delle vecchie "nomenklature" sovietiche.
Ci furono in quei primi anni, dal '92 al '96, errori, sbandate, convulsioni?
Certamente. Ma l' uscita dalla catastrofe comunista era un compito politico di dimensioni
smisurate, senza alcun precedente su cui basarsi, ed Eltsin era solo, salvo un piccolo
gruppo di giovani economisti che sperimentavano da un giorno all'altro - quasi alla cieca
- gli strumenti e la metodica della transizione. Gli errori erano quindi ineluttabili,
specie se si pensa a quel che era il lascito del comunismo: l'economia boccheggiante, la
burocrazia corrotta, un management incapace, un popolo demoralizzato. Ed ecco quindi le
contorsioni, le brusche frenate e poi le ripartenze delle riforme, il va e vieni dei
ministri, e i primi illeciti arricchimenti d'una schiera di speculatori nel quadro del
processo di privatizzazione.
Tuttavia, da quella prima fase del potere eltsiniano nacque l' attesa d'una Russia
nuova, "diversa". Un'occasione storica, da cui sarebbe potuto venire finalmente
l'ingresso della Russia in Europa. Il paese conobbe infatti il pluralismo politico, i
russi appresero a votare, la stampa si fece man mano più libera e battagliera. Pur tra
mille disfunzioni e illegalità, un'economia di mercato cominciò a mettere radici. E
intanto l'embrione d'un ceto borghese, premessa d'una futura società civile, spuntava
dopo settant'anni e più dal plumbeo coacervo dell'egualitarismo sovietico.
Inoltre, in quegli anni venne fronteggiato e battuto il tentativo d'un ritorno
comunista. Chi vide tra il '92 e il '96, nelle piazze di Mosca, le manifestazioni delle
masse "rosso-brune", la confluenza di comunisti e nazionalisti nell'intento
d'arrestare la trasformazione del paese, può dire quanto grave e vicino fu il rischio
d'una caduta all'indietro. Il pericolo che la Russia si faccese risucchiare dal suo infame
passato. E fu Eltsin (certo, col sostegno dell'Occidente e in particolare del governo di
Washington) a fermare l'assalto dei nostalgici dell'Urss, dei vecchi
"apparatciki" alla Zyuganov, che cavalcavano le frustrazioni degli strati
sociali impoveriti dalla transizione. Poi, però, ci fu la svolta. L'inizio del peggio
venne col '96. Eltsin vinse per la seconda volta le elezioni presidenziali e, il pericolo
comunista s'allontanò definitivamente: ma l'uomo e lo statista non erano più quelli di
prima.
La difficile operazione cardiochirurgica subita in quell'autunno, i continui ritorni
alle sue abitudini d'alcolista, la tensione delle tante battaglie, avevano ridotto l'uomo
a una vita di perenne malato punteggiata di bizzarrie, momenti d'oscurità mentale e
lunghe assenze dal potere. Quanto allo statista, i finanziamenti che gli erano occorsi per
la campagna elettorale del giugno '96 lo avevano legato ad alcuni tra i grandi speculatori
del processo di privatizzazione, e in specie a Boris Berezovskij, che adesso esigevano
esosi compensi per il sostegno che gli avevano fornito. In più la Famiglia s'era infilata
in ogni sorta d'affari e tangenti, s'era sempre più mischiata ai profittatori di regime,
decisa a ritrovarsi - il giorno dell'uscita dal Cremlino - con le spalle coperte da
patrimoni cospicui.
I secondi "anni di Eltsin" sono risultati, così, disastrosi. La corruzione
ai vertici del potere, i governi precari, la paralisi delle istituzioni, i continui
salassi della ricchezza pubblica, le stravaganze del capo dello Stato. E infatti la Russia
che esce dal periodo eltsiniano, mentre si combatte ancora alle periferie di Grozny,
promette poco di buono. Il paese vive un'assurda esaltazione nazionalistica, mentre lo
sfascio dello Stato e della società continua come prima: l'assenza d' un ordine
giudiziario degno del nome, il vuoto legale che non consente gli investimenti necessari
alla ripresa economica, i partiti che si fanno e si disfano in poche settimane. Da qui la
difficoltà, come s'è detto, di misurare il buono e il cattivo dell'eredità di Boris
Eltsin. Da qui l'incertezza su come sarà la Russia di Vladimir Putin, il successore.
Sicché per ora si può solo dire che è rientrato dietro le quinte uno tra i
personaggi politici più grossi, controversi e pittoreschi che abbiano calcato la scena
del secolo appena scorso. Uno dei rarissimi che, al momento d'andarsene, ha chiesto scusa
ai concittadini per le sofferenze da essi subite negli anni del suo governo. Un atto di
contrizione come ce n'è nei romanzi russi.