L'addio al Cremlino di
Boris Eltsin, lo scorso 31 dicembre, ha chiuso un'epoca cruciale della storia russa nel
modo migliore per il protagonista. Vinte le elezioni parlamentari e avviata al successo
l'offensiva in Cecenia, Corvo bianco ha lasciato il campo nella quasi certezza che il suo
delfino Vladimir Putin, attualmente primo ministro, riuscirà a succedergli alla
presidenza.
C'è però chi sostiene che Eltsin sia stato costretto alle dimissioni
dai militari o dai finanzieri d'assalto che circolano intorno al Cremlino. "Mi sembra
un'ipotesi priva di fondamento commenta il professor Victor Zaslavsky, docente
della Luiss ed esperto di questioni russe perché non vedo quale momento più
vantaggioso avrebbe potuto scegliere. E' uscito di scena con un gesto forte e dignitoso,
suscitando un'ottima impressione nel paese".
Però il bilancio dei suoi anni di leadership è molto controverso.
Bisogna distinguere due questioni diverse. Una cosa è il giudizio
sulla transizione russa verso il mercato e la democrazia, un'altra la valutazione del
ruolo che Eltsin ha giocato nell'ambito di questo processo. Su entrambi i punti, comunque,
abbiamo di fronte uno scenario di luci e ombre.
Cominciamo dalla Russia.
Un indiscutibile dato positivo è che la democrazia, almeno in senso
procedurale, ha messo salde radici. Ci sono state numerose elezioni a vari livelli e tutto
si è svolto in maniera regolare. Alle legislative dello scorso 19 dicembre i voti si sono
distribuiti tra i partiti in maniera abbastanza prevedibile, secondo le diverse
rappresentanze d'interessi. Si è dunque allentata l'aspra polarizzazione degli anni
scorsi, quando la popolazione era divisa quasi a metà tra chi appoggiava le riforme e chi
rimpiangeva il passato comunista.
Però l'economia resta in una condizione critica.
Non c'è dubbio. Ma compiere rapidamente e senza scosse il passaggio da
un sistema integralmente statalizzato a un meccanismo di mercato sarebbe stato un
miracolo. E i miracoli nella storia non avvengono. Ciò nonostante, quest'anno si è
registrata per la prima volta una certa crescita, il che è molto importante dopo il
crollo del rublo nell'agosto del 1998. Tuttavia per portare a termine la transizione
occorre un pieno ricambio generazionale, che si realizzerà forse tra una ventina d'anni.
Quali sono i problemi più gravi?
Per esempio il comportamento delle banche russe che, in un contesto di
alta inflazione e forte instabilità finanziaria, preferiscono dedicarsi a manovre
speculative di vario tipo piuttosto che contribuire allo sviluppo fornendo crediti alle
imprese produttive. C'è però una novità di rilievo: le aziende di maggior successo
cominciano ad autofinanziarsi attraverso i loro profitti. Un fenomeno identico si
osservava nel periodo 1990-91 in Polonia, il paese ex comunista dove la transizione al
mercato è riuscita meglio. Purtroppo in Russia per arrivare allo stesso punto ci sono
voluti dieci anni in più.
Passiamo al giudizio sull'operato di Eltsin.
Credo che abbia grossi meriti per il contributo dato all'instaurazione
della democrazia in Russia. E non attribuirei un peso eccessivo alle polemiche sulla
corruzione del suo entourage famigliare, che mi sembrano molto esagerate dai mass media a
scopi sensazionalistici.
Eppure c'è chi dice che si è dimesso proprio per garantirsi
l'impunità.
Non credo che Eltsin abbia mai temuto di essere messo sotto accusa per
presunte malversazioni. E aggiungo che sarebbe stata una disgrazia per la giovane
democrazia russa se il primo presidente liberamente eletto fosse stato processato alla
scadenza del mandato. La vita politica in Russia non è certo un esempio di limpidezza, ma
stiamo parlando di un paese che viene da decenni di totalitarismo, al quale non possiamo
certo applicare i criteri di giudizio usuali in Occidente. Secondo me il vero grande
errore di Eltsin è stato la prima guerra in Cecenia, dal 1994 al 1996, che venne condotta
con metodi tradizionali e si concluse in un disastro.
Sulla Cecenia torneremo più avanti. Ma molti addebitano a Eltsin il
tracollo dell'economia, che ha ridotto in povertà gran parte dei suoi concittadini.
Lo stesso presidente, nel discorso di commiato, si è scusato per non
aver mantenuto tutte le promesse fatte agli elettori. Teniamo conto però che è stato
privatizzato circa il 70 per cento di un apparato produttivo che apparteneva completamente
allo Stato. Un simile cambiamento di sistema non ha paragoni e sarebbe stato ben strano
che avvenisse senza errori e pesanti conseguenze negative su parte della popolazione. Ci
si è mossi al buio, per tentativi, spesso improvvisando, ma è molto importante che si
sia arrivati in fondo.
Alcuni osservatori accusano Eltsin di autoritarismo per il controllo
che ha esercitato sui media e una certa propensione all'uso della maniera forte. Nel 1993
fece addirittura bombardare il Parlamento...
Eltsin ha avuto il coraggio di rompere con il comunismo, ma
inevitabilmente la sua mentalità risente del lungo periodo in cui è stato un membro
della nomenklatura sovietica, la classe dirigente che esercitava sul paese un potere
assoluto. Non ci si poteva certo aspettare da lui, come da tutti i politici con un simile
retaggio, un rispetto scrupoloso dei principi liberali. Per questo è importante che il
cambiamento del presidente sia parte del rinnovamento generazionale di cui la Russia ha
bisogno.

Che cosa si può dire di Putin, il successore designato? La sua
vittoria alle prossime presidenziali è davvero scontata?
Finora non è venuta fuori alcuna alternativa credibile. Si è
parlato dell'ex premier Evgenij Primakov, ma mi sembra un candidato debole anche per
ragioni di età: ha circa settant'anni contro i 47 di Putin. Si ripresenterà certamente
il leader comunista Gennadij Zjuganov, sconfitto da Eltsin nel 1996, ma il suo partito,
votato soprattutto dagli elettori più anziani, appare oggi in declino proprio per il peso
del fattore anagrafico.
Non è inquietante che Putin provenga dalle file del famigerato Kgb?
Ai tempi dell'Urss i giovani che entravano nei servizi segreti
ricevevano una preparazione molto accurata, soprattutto in materia di conoscenza delle
lingue e del mondo capitalistico. Venivano selezionati con severità, un po' come gli
allievi delle grandi scuole d'élite occidentali. I membri del Kgb, cui apparteneva anche
Primakov, erano tra i pochissimi cittadini sovietici che avessero accesso a
un'informazione non adulterata e potessero viaggiare all'estero. Non a caso, insieme ai
funzionari del ministero degli Esteri, erano in prima fila tra i sostenitori della perestrojka
in epoca gorbacioviana. Inoltre va ricordato che Putin negli anni scorsi ha lavorato
nell'amministrazione del sindaco di Leningrado (poi San Pietroburgo) Anatolij Sobciak, uno
dei riformisti più convinti.
Quindi possiamo aspettarci una svolta innovatrice?
Finora Putin non ha presentato nessun programma economico. Ma ha
trasmesso un'immagine di uomo pragmatico e concreto, lontano da ogni suggestione
ideologica. Anche la seconda guerra in Cecenia è stata condotta in maniera accorta,
sfruttando la superiorità tecnologica delle forze russe, secondo l'esempio fornito dalla
Nato in Kosovo. Putin non ha avuto fretta di conquistare la capitale Grozny, ma sta
prendendo tempo per giungere alla pace evitando un eccessivo spargimento di sangue. Ha
già preparato un piano di ricostruzione, naturalmente tutto da verificare, e ha ottenuto
l'appoggio di alcune forze cecene.
Però l'offensiva contro Grozny ha attirato molte critiche sul
Cremlino da parte dell'Occidente.
Non bisogna dimenticare che il conflitto è scoppiato quando i ceceni
hanno iniziato una sorta di "guerra santa" invadendo la vicina repubblica del
Daghestan, senza trovare alcun appoggio tra la popolazione locale. Il vero problema è
capire perché un paese che aveva ormai raggiunto l'indipendenza si sia gettato in
un'avventura del genere.
Forse ci sono in gioco interessi economici riguardanti lo sfruttamento
delle risorse petrolifere del Caucaso.
Non direi. Il sogno dei leader ceceni era far passare un grande
gasdotto nel loro territorio. Ma quale compagnia investirebbe mai miliardi di dollari in
una zona così instabile dal punto di vista politico? Anche se il percorso risulta più
lungo, conviene di gran lunga passare per la Turchia.
Come si spiega allora l'aggressività cecena?
E' il tipico comportamento di un paese privo di risorse economiche, che
non ha nessuna possibilità di essere indipendente, se non a prezzo di abbassare
drasticamente il tenore di vita della popolazione. Già prima che iniziasse il conflitto
attuale, moltissima gente aveva lasciato la Cecenia per sfuggire alla miseria, mentre a
Grozny emergeva una classe dirigente giovane e bellicosa, formatasi durante la prima
guerra contro i russi, fortemente propensa al militarismo e al fanatismo religioso.
Insomma, a volte l'autodeterminazione dei popoli ha effetti
destabilizzanti.
Sì, quando porta alla formazione di Stati che possono garantire ai
loro abitanti solo un'economia di sussistenza. E' il caso della Cecenia, ma potrebbe anche
essere il caso del Kosovo, se venissero a mancare gli aiuti internazionali. C'è poi
un'altra domanda da porsi. Da dove viene l'indubbia efficienza militare dei guerriglieri
ceceni? Chi li addestra, chi li finanzia, chi fornisce loro armi piuttosto sofisticate?
Non mi azzardo a fare ipotesi, ma è chiaro che dietro tutta la vicenda ci sono forze
estremiste del mondo islamico. La guerra costa: sappiamo chi paga dalla parte russa, ma
bisogna chiedersi anche chi paga dalla parte cecena.
Del resto a Mosca il consenso verso lo sforzo bellico è quasi
unanime.
Dopo i terribili atti di terrorismo che hanno colpito la popolazione
civile russa, la guerra in Cecenia è diventata un motivo di unità nazionale. L'unico
partito che ha sollevato delle perplessità è l'Unione delle forze di destra, un
raggruppamento di tendenza riformista e liberale che si è pronunciato contro una
soluzione puramente militare. Per inciso vorrei far notare la curiosità per cui in Russia
la parola "destra" contraddistingue gli innovatori, mentre il partito xenofobo
di Vladimir Zhirinovskij si definisce "liberaldemocratico".
La popolarità della guerra ha favorito il successo elettorale delle
forze più vicine a Putin e a Eltsin. Ora che il Parlamento russo, la Duma, è più
governabile, ci sarà un'accelerazione delle riforme?
Penso di sì. Ora i deputati comunisti non hanno più la forza di
bloccare ogni iniziativa. Negli anni scorsi i governi proponevano un bilancio, ma se lo
vedevano regolarmente stravolgere dalla Duma, che aumentava in modo spropositato gli
impegni di spesa, senza indicare dove trovare i mezzi per farvi fronte. Questa rincorsa
demagogica alimentava la corruzione, perché quando le uscite previste superano le risorse
disponibili, è la burocrazia a scegliere in modo discrezionale quali stanziamenti
effettuare e quali progetti finanziare davvero. E inevitabilmente le relative decisioni
vengono sollecitate a suon di tangenti.