Nell'agosto del 1945,
all'Universita' di Harvard, Grace Hopper vide esplodere incomprensibili ghirigori sul
monitor del Mark I, il computer sperimentale al cui progetto stava lavorando. Un circuito
ando' in tilt e la giovane donna si mise, carponi, a cercarne la causa nell'intrico di
tubi sottovuoto e cavi di ogni genere che riempivano la pancia della grossa macchina. Il
problema fu individuato e rimosso chirurgicamente con un paio di pinzette: si trattava di
un baco di 5 centimetri che aveva fatto "fare contatto" a qualche filo. Da
allora in poi - racconto' piu' tardi la ricercatrice a "Time" - quando una
qualsiasi cosa non funzionava nel computer, dicevamo che doveva avere dei bachi da qualche
parte".
Oramai i "bug" sono diventati parte integrante di ogni
componente informatica: ogni nuova versione di software ha delle imperfezioni, errori di
progettazione che impediscono al calcolatore di funzionare correttamente o, addirittura,
di funzionare affatto. Normalmente ci si mette un po' prima di individuarli: ci sono i
collaudi, la versione successiva migliora quella precedente e tutto si aggiusta.
Normalmente. Del baco piu' pericoloso, invece, si sa gia' quasi tutto in anticipo: dove e'
localizzato, come si fa a ripararlo, quando si manifestera'. Ignota e' soltanto la natura
e l'ampiezza dei danni che potra' provocare. Allo scoccare della mezzanotte del 31
dicembre 1999, infatti, la maggior parte dei computer del mondo, confondendo lo
"00" del nuovo millennio con l'identico "00" del millennio precedente,
potrebbe impazzire a causa di un migragnoso difetto di progettazione in cui e' inciampata,
oltre trent'anni fa, la quasi totalita' dei programmatori.
"E' uno dei piu' costosi problemi - in termini economici, di tempo
e manodopera - che l'umanita' abbia mai affrontato" ha sentenziato Ann Coffou,
un'analista del Giga Information Group, societa' di consulenza di Cambridge,
Massachusetts. E tra le file di coloro che forniscono le previsioni piu' nere militano
molte persone e istituzioni altamente rispettabili. Stando a uno studio preparato per
"Business Week" da Standard & Poor, per esempio, gli smottamenti provocati
dal baco del 2000 potrebbero risultare in una diminuzione della crescita economica, nel
1999, dello 0,3 per cento (dovute alle energie finanziarie che le compagnie distoglieranno
dalla produzione e investiranno per cercar di risolvere il problema). Edward Yardeny,
chief economist alla Deutsche Bank Security di New York, che si e' fatto un nome
prevedendo con accuratezza il lungo boom azionario di Wall Street, adesso prefigura una
recessione globale grave come quella della crisi petrolifera del 1973-74 e che durerebbe
almeno un anno. Senza contare le ancor piu' fosche profezie delle innumerevoli compagnie
informatiche che si stanno dedicando alla soluzione del guaio, la cui buonafede pero' e'
ipotecata dall'oggettivo interesse ad alimentare l'angoscia che puo' mettere il turbo al
mercato del quale vivranno nei prossimi 400 giorni o giu' di li'.
Pur nei diversi gradi di intensita' possibili, la situazione e'
dannatamente seria e le ampie divergenze tra i valori nei quali il danno e' stato
quantificato hanno questa volta buoni alibi. Dal momento che praticamente ogni computer e'
interconnesso con altri, il fatto che una singola azienda si metta in regola riparando o
sostituendo i codici difettosi non la mette al riparo da sorprese: se i Pc di un suo
fornitore non lo saranno, infatti, il suo ciclo produttivo ne potrebbe venire comunque
gravemente compromesso. Ed e' proprio la difficolta' di immaginare dove sara' possibile
arrestare questo preoccupante "effetto domino" che fa dare alla Software
Productivity Research la cifra di 530 miliardi di dollari (piu' mille miliardi per
ri-testare tutto e appianare le grane collegate), agli analisti della Federal Reserve
quella di 200-300 miliardi e al Gartner Group quella piu' volte ripresa dai media che
comprende l'intervallo 300-600 miliardi di dollari per il check-up e la terapia di tutto
il parco informatico del pianeta. Ogni conto da intendersi, poi, al netto delle spese
legali che con ogni probabilita' dai malfunzionamenti scaturiranno e il cui importo
globale e' stato stimato nella "paperonesca" cifra di un trilione di dollari,
ovvero mille miliardi di biglietti verdi.
Il "Y2K", dove "Y" sta per "year" e
"2K" per 2000, e' un pasticcio figlio di Risparmio e di Miopia. Negli anni '60,
infatti, la memoria dei computer era estremamente limitata e di conseguenza costosa. I
programmatori erano costretti da questa circostanza a economizzare su qualsiasi striscia
di codice che scrivevano ed e' cosi' che decisero, convenzionalmente, di omettere le prime
due cifre dell'anno, ogni volta che c'era bisogno di scrivere una data. Il 1968 era
quindi, piu' brevemente, 68: l'1 e il 9 essendo sottintesi. Il vantaggio principale era
per la memoria della macchina ma ce n'era anche un altro per il programmatore che -
generalmente pagato un tanto all'ora - dovendo scrivere meno andava piu' veloce e
guadagnava di piu'.
Inoltre c'era l'idea che i computer, come le automobili e qualsiasi
altro manufatto industriale, avrebbero avuto un ciclo vitale assai limitato e sarebbero
stati completamente sostituiti entro una quindicina d'anni (come la piu' resistente delle
Buick o delle Oldsmobile), percio' le controindicazioni di tale procedura sfuggirono a
tutti.
Da questa pur vastissima epidemia saranno risparmiate tutte le macchine
progettate dalla meta' degli anni '80 in poi (gli altrimenti tartassati utenti Macintosh
possono tirare un sospiro) perche' a partire da quella data i programmatori si resero
conto dell'imminenza del cambio di millennio e si comportarono di conseguenza. Gli altri,
e soprattutto le imprese che gestiscono dati e portano a compimento transazioni in cui il
fattore tempo gioca un ruolo determinante, debbono correre rapidamente ai ripari, anche se
in alcuni casi non e' detto che riescano ad arrivare al traguardo in tempo.
La riparazione puo' essere suddivisa fondamentalmente in tre fasi
distinte: identificare il pezzo di codice sbagliato, correggerlo e collaudare la macchina
una volta eseguita la modifica. Sebbene il tutto funzioni in maniera abbastanza simile al
comando "sostituisci" di un qualsiasi wordprocessor in cui si dovra' dire di
aggiungere un 19 davanti a varie combinazioni di altri due numeri, la varieta' delle
interfacce, dei sistemi di programmazione usati e le specifiche di ogni rete locale fa si'
che la faccenda risulti assai piu' ingarbugliata di quanto possa sembrare (non a caso
l'attivita' di "testing" e' quella che, da sola, assorbe circa il 60 per cento
del tempo). Non solo: le ditte che effettueranno la bonifica dovranno assicurarsi che
anche gli interlocutori dei loro clienti siano in regola perche' se anche un anello della
catena informatica di un'attivita' non tiene, e' l'intero sistema che cede. Come se non
bastasse il difettoso sistema di datazione non riguarda solo i computer ma anche miliardi
di chip incorporati nei piu' disparati dispositivi elettronici che popolano la nostra vita
quotidiana (dai videoregistratori ad apparecchi che controllano delicate applicazioni
mediche) e che rendono il compito di bonifica ancora piu' arduo.
Nella hit-parade della velocita' di reazione alla possibile catastrofe
annunciata, le banche e le istituzioni finanziarie hanno dimostrato lo sprint piu'
fulmineo; seguono le compagnie aeree, le aziende delle telecomunicazioni e quelle di
fornitura di energia, quindi quelle di trasporti in genere. L'amministrazione pubblica si
e' messa in moto, con una certa premura, solo negli Stati Uniti. In Europa l'attitudine -
sia pubblica che privata - e' quella di minimizzare: "E' nostra impressione che ci
sia una schiacciante differenza nella consapevolezza e nel senso di urgenza collegati al
problema tra Usa e Europa" si legge in un recente rapporto della banca di
investimenti Goldman Sachs. Una spiegazione puo' derivare dalla circostanza che, essendo
il sistema statunitense molto piu' dipendente dai computer di quello europeo, risulti sia
psicologicamente che oggettivamente molto piu' sensibile al suo eventuale tilt.
Ma c'e' anche da considerare la concorrenza di un altro problema
informatico che sta guastando i sonni dei manager del Vecchio Continente, ovvero
l'adeguamento dei sistemi di calcolo elettronici alla nuova valuta comunitaria, l'euro.
Solo l'aggiustamento di questo problema potrebbe costare 175 miliardi di dollari,
ascoltando alcune stime di fonte Ibm. Ci sono tre anni a partire da ora per mettersi in
regola ma gia' il fermento e' iniziato (anche se il 37 per cento delle aziende non avrebbe
ancora considerato alcuna strategia a proposito, stando a uno studio della societa' di
consulenza londinese Grant Thornton). Oltre a varie compagnie di software come Sap e
PeopleSoft, aziende specializzate nel reperimento di lavoratori temporanei come Manpower e
Mastech hanno avuto picchi di richieste di personale in grado di intervenire
sull'"euro bug".
Parecchi istituti di credito hanno gia' iniziato a impostare nuove
colonne per i loro fogli elettronici e a riconfigurare i loro Bancomat considerando anche
la nuova valuta. "Per noi - ha dichiarato il responsabile tecnologico del Cre'dit
Commercial de France - l'affaire euro sara' tre volte piu' costoso di quello dell'anno
2000". I passaggi, rispetto a una conversione valutaria normale, sono piu' complessi;
per ogni scambio tra lire e sterline, ad esempio si dovra' prima tradurre le lire in euro,
poi gli euro in sterline e il livello di precisione richiesta sara' di ben sei decimali.
E' verosimile credere che certe piccole entita' economiche non
riusciranno a sopportare lo sforzo di affrontare i guai elettronici di fine millennio.
Qualcuno chiudera' bottega. Di certo ci sara' un generale calo di produttivita' e la
fiducia dei mercati sara' intaccata. Ma quanto? Il settimanale inglese "The
Economist", in un impeccabile dossier dedicato all'argomento, cerca di non
terrorizzare ma neppure tranquillizza: "Sebbene e' improbabile che il millennium bug
causi una recessione globale, certamente aggravera' una tendenza al ribasso e i suoi
effetti diretti saranno spiacevoli in molti modi. Ci saranno interruzioni nella fornitura
di energia, nel servizio telefonico, nei trasporti e negli ospedali. Alcune compagnie
faranno bancarotta. Qualcuno morira', forse soltanto poche persone, ma non e' impensabile
che si tratti di parecchie migliaia. Arrivati alla fine del secolo in cui ricchezza e
condizioni di vita sono migliorate cosi' significativamente, tutto cio' costituira' un
monito inequivocabile di come molti di questi passi in avanti dipendano dalla tecnologia e
di quanto facilmente quella stessa tecnologia possa andare in crisi".
(Questo articolo è apparso sul "Corriere della Sera" nel
settembre del 1998)