Stefano Canali, storico
della scienza e divulgatore scientifico, ha pubblicato vari lavori sulla storia delle
droghe e delle neuroscienze, tra cui Alter Ego. Droga e cervello, Edizione
dell'Universita' degli Studi di Cassino (tradotto in quattro lingue), La ricerca biomedica
nel Novecento, in Storia della Scienza Einaudi. E' autore di audiovisivi scientifici tra
cui "La Droga e i suoi effetti sul cervello" distribuito da Le Scienze -
Scientific American.
Nessun altra realtà, più della la droga, convoglia e riflette con tale ampiezza e
aderenza le immagini, i simboli e i valori di una cultura, di unepoca. E nelle forme
infinite riproducibili in questo caleidoscopico specchio dellesistenza umana
limmagine delle sostanze psicoattive come stimolanti della creatività artistica è
costantemente presente. Le figure in vario modo legate alle droghe dellartista
maledetto, del curatore ispirato, del veggente, dello scienziato che supera la tradizione,
dellintellettuale ai margini sono presenti tra i mille e più miti ereditati dalla
storia, legati allinvisibile, al mistico, allesperienza religiosa, alla magia
e alla scienza della guarigione, alle rivoluzioni concettuali; tra le infinite leggende
che alimentano limmaginario, dalle riflessioni degli intellettuali alle distorsioni
dei mass media, fino ai vaghi ed emotivi paesaggi concettuali dellopinione comune.
In questa sconfinata geografia, mutevolmente delineata dai significati dati di volta in
volta alle droghe e dai vari significati assegnati alla creatività, si possono nondimeno
rintracciare degli elementi comuni che costituiscono ormai dei passaggi obbligati nella
riflessione sui legami reali o immaginari tra le sostanze psicotrope e la creazione
intellettuale. Tra questi si impongono i temi del sogno, della reviviscenza nella memoria,
del ritorno alla vivida ed ingenua percezione infantile e del dimenticato potere evocativo
dei bambini. Ma, pur motivata da difformi ragioni, costante è anche lidea della
sostanziale impossibilità di trasformare lesperienza drogata in realtà artistica.
Il punto di partenza di questa analisi è rappresentato necessariamente dai
"campioni" inglesi della letteratura drogata: Samuel Coleridge e Thomas De
Quincey.
Creatività e dimensione onirica: sogno, sogni delloppio, sogni dhashish
Coleridge era diventato oppiomane alletà di 31 anni e, come rivelava nel
manoscritto autografo di questa famosa poesia, componeva "Kubla Khan" in «una
sorta di sogno seguente allingestione di due grani doppio, presi per calmare
una dissenteria, in una fattoria tra Porlock e Linton, nellautunno 1797.» Come ha
dimostrato la critica, tuttavia, "Kubla Khan" non costituisce una trascrizione
automatica delle visioni prodotte dalloppio. Pur con originalità, la poesia
riprende evidentemente gli elementi e le metafore predominanti dellepoca romantica,
riflette la cultura di cui era imbevuto lautore, il suo personale gusto estetico.
Questa consapevolezza era peraltro propria di De Quincey che nelle sue Confessioni di
un mangiatore doppio ci ha lasciato la più lucida ed elegante cronaca di una
tossicodipendenza mai raccontata. Egli era convinto infatti che la droga potesse soltanto
rendere, in maniera dilatata e distorta, le immagini, le aspirazioni, le passioni proprie
di chi lassumeva. Scriveva nellintroduzione del 1822: «Se un uomo che si
occupa di buoi dovesse darsi alloppio è molto probabile che, se non fosse troppo
ottuso per sognare affatto, sognerebbe di buoi: laddove nel caso presente il lettore
troverà che loppiomane si vanta di essere un filosofo.»
De Quincey assimilava leffetto delloppio ai processi del sogno, in ragione
di certi elementi coincidenti: il potere di trasfigurare le immagini,
lamplificazione dello spazio e del tempo, la reviviscenza - più che il semplice
ricordo - delle impressioni dellinfanzia. Ma il potere evocativo del sogno, così
tanto celebrato nella tradizione romantica, scriveva De Quincey, nelle droghe si annullava
per «lo splendore insopportabile delle apparizioni [
] che riempiva di fremiti il
mio cuore», in «una profonda ansietà, da una funerea malinconia». Nelle droghe la
forza creativa del sogno fisiologico, continuava De Quincey, crollava nello «sprofondare
in burroni ed abissi senza sole, in voragini dopo voragini senza fondo», nella «nera
malinconia che accompagnava quelle mie solenni visioni e che alfine mi gettava in un
assoluto ottenebramento, in una disperazione di suicidio»
Creatività e sogno geroglifico
Accomunato allautore delle Confessioni di un mangiatore doppio dalla lunga
e anche più varia dedizione alle droghe, Baudelaire riprendeva gli argomenti e le tesi di
De Quincey senza sostanziali variazioni. Suggestiva era comunque la riformulazione
dellidea del sogno come processo archetipico della creazione artistica. Secondo
Baudelaire il «viaggio avventuroso e miracoloso del sonno» può distinguersi in due
differenti categorie. Esiste il sogno pieno della vita quotidiana, delle preoccupazioni,
dei desideri, dei vizi personali combinati in modo più o meno bizzarro con gli oggetti
visti nel corso della giornata e che si sono inconsapevolmente fissati nella «grande tela
della memoria». Nella concezione di Baudelaire questo è il sogno naturale: luomo
stesso. Ad esso si contrappone il sogno assurdo, imprevisto, senza riferimenti e
connessioni con il carattere, la vita e le passioni del dormiente. «Questo sogno»,
scriveva Baudelaire, «che io chiamo sogno geroglifico, rappresenta evidentemente il lato
sovrannaturale della vita, ed è proprio per la sua assurdità che gli antichi lo
credevano divino. [
] si tratta di un vocabolario che è necessario studiare, di una
lingua della quale i saggi possono scoprire la chiave».

La creazione artistica imita i processi e le forme del sogno geroglifico, col
disvelarsi del suo significato, con la traduzione dei suoi elementi simbolici. È per
questo che essa è un fatto raro, che attiene ad una cerchia ristretta di prescelti, come
gli antichi sacerdoti incaricati di interpretare il volere degli dei.
Nulla di simile, invece, negli effetti delle droghe. Come già rivelato da De Quincey,
esse danno, secondo Baudelaire, esperienze del tutto simili al sogno naturale e con ciò
conservano invariabilmente la «particolare tonalità dellindividuo». Da questa
constatazione Baudelaire muoveva ad un secco monito: «Sappiano dunque la gente di mondo e
gli ignoranti, curiosi di conoscere gioie eccezionali, sappiano che non troveranno
nellhashish nulla di miracoloso, assolutamente nulla che non sia la loro natura
portata alleccesso. Il cervello e lorganismo sui quali opera lhashish
non produrranno altro se non i loro fenomeni ordinari, individuali accresciuti, è
vero, in quantità ed energia -, ma pur sempre fedeli alla loro origine. Luomo non
sfuggirà alla fatalità del suo temperamento fisico e morale: lhashish sarà, per
le impressioni e i pensieri familiari delluomo, uno specchio ingranditore, ma pur
sempre uno specchio.».
Il tema dellannullamento della volontà
De Quincey per primo tratteggiava un aspetto fondamentale di un altro topos della
riflessioni tra droghe e creatività: lannullamento della volontà e della capacità
di fare e di creare legate alluso delle sostanze psicotrope. Così scriveva: «Il
consumatore doppio non perde, infatti, né la sua sensibilità morale né le sue
aspirazioni. Desidera, agogna, ardentemente come non mai, di attuare ciò che gli sembra
possibile, ciò che sente comandato dal proprio senso del dovere; ma la sua capacità, non
dagire soltanto, ma, addirittura, di tentar dagire, è infinitamente inferiore
al suo apprezzamento astratto del possibile. Egli giace sotto il peso immane dun
incubo; vede tutto ciò che sarebbe felice di compiere, ma è come un uomo inchiodato al
letto dal languore mortale duna paralisi e costretto a evadere insultare e
oltraggiare loggetto del suo più tenero amore; darebbe la vita per alzarsi in
piedi, per camminare, ma è impotente come un infante e non può nemmeno tentare di
muoversi.»
Allo stesso modo di De Quincey, anche Baudelaire sottolineava i nefasti effetti delle
droghe sui processi della volizione e sulle capacità di tradurre in atto i pensieri e le
intuizioni. Baudelaire aveva sperimentato su se stesso che anche leuforia
dellhashish, «la beatitudine calma e immota», ciò che gli orientali chiamano kif,
si pagava con la sottrazione della volontà. E nessun sentimento è più avverso alla
creazione artistica, che vive di impeto, curiosità, voglia di fare, della «rassegnazione
gloriosa» indotta dalleffetto acuto dellhashish. Con ciò Baudelaire metteva
in guardia «gli utilitaristi» delle droghe alla ricerca della soluzione farmacologia dei
problemi di creatività: «ammettiamo per un istante che lhashish dia, o quantomeno
aumenti la genialità; essi dimenticano che la natura propria dellhashish è quella
di diminuire la volontà; e, così, esso concede con una mano ciò che toglie con
laltra, cioè limmaginazione senza la facoltà di approfittarne.»
Altre droghe, altri tempi, altra cultura, altre aspettative dal consumo rispetto a
Baudelaire, quelle di Aldous Huxley, ma stesse conclusioni a proposito dellimpatto
delle droghe sullimmaginazione e sulla facoltà di creare concretamente. A partire
dagli anni Cinquanta, lautore di Brave new world aveva sperimentato su se stesso gli
effetti delle sostanze psichedeliche, come la mescalina e lLSD, sotto la guida dello
psichiatra Humphry Osmond. Le esperienze raccolte e le riflessioni intorno ad esse
confluiranno nella stesura del libro Le porte della percezione.
In tale opera Huxley aveva individuato gli effetti disgregativi sulla volontà di
queste sostanze, pur riconoscendo ad esse il potere di dilatare la percezione, amplificare
la coscienza, la capacità di aiutare taluni individui, altrimenti incapaci, a soddisfare
il fondamentale bisogno di trascendenza: «Le impressioni sono molto intensificate e
locchio ritrova un po dellinnocenza di percezione dellinfanzia,
quando il senso non era immediatamente e automaticamente subordinato al concetto.
Linteresse per lo spazio è diminuito e linteresse per il tempo cala quasi a
zero. Sebbene lintelletto rimanga inalterato e sebbene la percezione sia enormemente
migliorata, la volontà subisce un profondo cambiamento in peggio. Il consumatore di
mescalina non vede ragione di fare niente in particolare e trova la maggior parte delle
cause per le quali, in tempi normali, egli era pronto ad agire e soffrire, profondamente
prive di interesse. Egli non può preoccuparsene, per la buona ragione che ha di meglio da
pensare».
Baudelaire aggiungeva che anche supponendo possibile sfuggire allapatia e
sfruttare la conturbante percezione drogata si doveva rammentare il pericolo
dellassuefazione, anche solo psicologica. «Tutte le abitudini di questo genere si
trasformano ben presto in necessità. Colui che farà ricorso a un veleno per pensare ben
presto non potrà più pensare senza veleno».
Limpossibile racconto
Baudelaire, inoltre, scopriva nella singolare coincidenza tra soggetto e realtà
esterna unaltra ragione della indolente passività causata dallhashish e
dalloppio.
La creatività si realizza soltanto nellespressione e trova alimento
nellesigenza, talora nella necessità, di rappresentare unintuizione in un
oggetto estetico concreto. Ma la rappresentazione è inconcepibile senza la distanza che
separa il soggetto dalla realtà rappresentata, per due fondamentali ragioni. La prima è
di tipo epistemologico. Rappresentare significa comprendere e descrivere una realtà da un
punto di vista e ciò implica necessariamente una divaricazione. Laltra ragione è
di tipo psicologico. Il bisogno di espressione si origina dalla consapevolezza di un
distacco tra noi, le cose e i fatti, dalla percezione di una frattura in una relazione col
mondo o con altri esseri umani. Non si può in senso proprio narrare unesperienza
quando coincide col pieno della nostra identità: si desidera viverla e si è vivendola.
Allo stesso modo, secondo Baudelaire, quando si è calati nellebbrezza
dellhashish. «Accade, talvolta, che la personalità scompaia e che
loggettività, che è propria dei poeti panteisti, si sviluppi in voi in misura
tanto anormale che la contemplazione degli oggetti esterni vi faccia dimenticare la vostra
stessa esistenza, tanto da sentirvi ben presto confusi con essi. Il vostro occhio si fissa
su un albero armonioso piegato dal vento; entro pochi secondi, quella che sarebbe nel
cervello del poeta soltanto una similitudine naturalissima diverrà, nel vostro, una
realtà. Presterete, in un primo tempo, allalbero le vostre passioni, i vostri
desideri o la vostra malinconia; i suoi gemiti e le sue oscillazioni saranno le vostre e,
ben presto, voi diventerete lalbero stesso. Parimenti luccello che si libra
nellazzurro rappresenta allinizio il desiderio immortale dinnalzarsi al
di sopra delle cose umane; ma ecco che voi siete già diventato luccello. Vi
immagino seduto a fumare. [
] vi sentirete come qualcosa di evaporante, e
attribuirete alla vostra pipa (dentro la quale vi sentite accoccolato e raccolto come il
tabacco) la strana facoltà di fumarvi».
Di fronte a questa travolgente invasione delloggettività, il soggetto è
costretto a ritirarsi, a cedere con lo spazio mentale in cui poteva esercitare la sua
libertà e con esso, conseguentemente, ogni possibilità creativa. Così Baudelaire: «Non
siete forse simile a un romanzo fantastico, un romanzo vivente anziché scritto? Non
esiste più alcuna equazione tra gli organi e i godimenti; ed è soprattutto da questa
considerazione che scaturisce la condanna, verso questo esercizio pericoloso, nel quale
scompare ogni libertà.»

Questo è un tipo di esperienza evidenziata in maniera ricorrente e particolareggiata
negli autori che hanno affrontato il tema del rapporto tra droghe e creazione artistica e
provato le sostanze psicotrope.
Similmente a Baudelaire, Henri Michauax argomentava che se è vero limpulso
allattività mentale dato dallassunzione di sostanze psichedeliche: «strade
da trovare. Stimolazioni coniugate in modo tale da creare un sistema di circolazione delle
idee, dei sentimenti», pur effettiva è la quiete indolente che si impossessa
dellio: «la psilocibina sopprime il desiderio di avventura, sottrae
allavvenire, sopprime la disponibilità felina ad affrontare immediatamente tutto
ciò che può succedere allimprovviso.»
Lo scrittore e filosofo tedesco Walter Benjamin Sullhascisch scriveva:
«Naturalmente la produzione di immagini può generare cose tanto straordinarie, e in modo
tanto fuggevole e rapido, che a causa della bellezza e della singolarità di questo
universo di immagini noi non riusciamo a prestar attenzione altro che ad esso.» Nello
stesso periodo Jean Cocteau, ricoverato in clinica per disintossicarsi dalloppio,
annotava: «Il pittore che ama dipingere gli alberi diventa albero lui stesso. I bambini
portano in sé una droga naturale. La morte di Tommaso limpostore è il bambino che
gioca al cavallo, diventato cavallo.
Tutti i bambini hanno il magico potere di cambiarsi in ciò che vogliono. I poeti, nei
quali linfanzia si prolunga, soffrono di perdere questo potere. Senza dubbio è
questa una delle ragioni che spingono i poeti a prendere loppio.»
Aldous Huxley, invece, faceva notare nelle Porte della percezione la natura
fondamentalmente mistica dellesperienza dellunione col tutto sperimentabile
con le sostanze psichedeliche come la mescalina. E allo stesso modo dellincontro con
lineffabile (se ciò possa realmente darsi è altra questione) che, riferiscono i
mistici, non può esser detto ed annulla le ragioni del fare, così la percezione
psichedelica azzera le intenzioni di agire e di creare.
Arte lunga e visioni precarie: creatività, sacrificio, tecnica, autonomia critica
A conclusione del "Poema dellhashish", Baudelaire tratteggiava in modo
visionario e moralistico una concezione dellartista rimasta in qualche modo
paradigmatica per tutti gli autori che si sono confrontati con la questione del rapporto
tra droghe e creatività, sulla base o meno di una personale esperienza.
Baudelaire figurava lartista come un individuo che crea grazie allimpegno
incessante, nella solitudine, col sacrificio, attraverso la sofferenza. Una concezione
posta in geometrica opposizione allidea delluomo che cerca lispirazione
nelle droghe. «Io immagino un uomo situato sullarduo Olimpo della spiritualità;
attorno a lui le Muse di Raffaello o di Mantenga, per consolarlo dei lunghi digiuni e
delle assidue preghiere intrecciano le più nobili danze, lo guardano con gli occhi più
dolci e i più luminosi sorrisi; il divino Apollo, maestro in ogni sapere (nel sapere di
Francavilla, dio Albrecht Dürer, di Goltzius o di chiunque altro, che importa?
Non vè forse un Apollo per ogni uomo che lo merita?), accarezza con
larchetto le sue corde più vibranti. Sotto di lui, ai piedi della montagna, tra i
rovi e in mezzo al fango, la folla degli umani, la schiera degli iloti, simula smorfie
della gioia e lancia gli urli che gli strappa il morso del veleno; e il poeta si dice:
"Questi sventurati che non hanno né digiunato né pregato, e che hanno rifiutato la
redenzione tramite il lavoro, chiedono alla magia nera i mezzi per elevarsi, dun sol
colpo, allesistenza soprannaturale. La magia li inganna e accende per loro una falsa
felicità e una falsa luce; mentre noi, poeti e filosofi, abbiamo rigenerato la nostra
anima col lavoro continuo e la contemplazione; con lassiduo esercizio della volontà
e la costante nobiltà dellintenzione, abbiamo creato per noi un giardino di vera
bellezza. Fiduciosi nel detto che la fede muove le montagne, abbiamo compiuto il solo
miracolo di cui Dio ci abbia dato licenza!"»
Questa tesi veniva condivisa da Théophile Gautier, altro abituale frequentatore del
Club des Haschichin allhotel Pimodan, dove Moreau de Tours, il "dottore",
iniziava gli intellettuali parigini alle sperimentazioni mentali con lhashish.
Gautier descriveva con sbalordito entusiasmo le sue esperienze con la "verde
confettura del Dottore": «milioni di piccole scintille [
] crolli e colate di
gemme di tutti i colori [
] miliardi di farfalle [
]» e poi cuscini parlanti,
oggetti che appena sfiorati emettevano stupefacenti melodie, beatitudini mai provate,
sinestesie magnifiche, spersonalizzazioni, il tutto «senza nessuno dei sintomi che
accompagnano lebbrezza del vino». Ciononostante, Gautier rigettava lidea di
un possibile apporto creativo delle droghe: «Al vero letterato bastano i suoi sogni
naturali, non gradisce che la sua mente subisca linfluenza di un qualsiasi agente.»
Mentre lidea dellinefficacia delle sostanze dabuso per la creatività
e dellopera darte come frutto del sacrificio, dellimpegno, del lavoro
paziente, metodico, critico, quindi essenzialmente cosciente e razionale, ritornava in
Tolstoj. «Si dice di solito, e anchio lo dicevo, che il fumo sia daiuto al
lavoro intellettuale. Ed è fuor di dubbio che lo sia, se si prende in considerazione
soltanto la quantità del lavoro intellettuale. A una persona che fuma, e che cessa
perciò di valutare e di soppesare rigorosamente i propri pensieri, può sembrare che
fumando gli sian venuti tuttun tratto moltissimi pensieri; è che fumando egli ha
perso il controllo dei propri pensieri.
Quando un uomo lavora, egli è sempre consapevole di aver in sé due esseri: uno che
lavora, e un altro che valuta il lavoro che viene svolto. Quanto più rigorosa è la
valutazione, tanto più lento e migliore è il lavoro, e viceversa. Se invece
lessere che valuta viene a trovarsi sotto leffetto del tabacco, la quantità
del lavoro aumenterà, si, ma la sua qualità sarà inferiore.»
Affrontando lo stesso tema Huxley, invece, dava maggiore risalto alla componente innata
della creatività artistica, comunque singolare e poco sensibile alla farmacia: «La
maggior parte degli individui di vivida immaginazione sono trasformati dalla mescalina in
visionari. [
] Un visionario senza talento può percepire una realtà ulteriore non
meno grande, bella e significativa del mondo visto da Blake; ma egli manca completamente
della capacità di esprimere, in simboli letterari o plastici ciò che ha visto.» Al
contrario, lartista è «congenitamente attrezzato a vedere sempre» la realtà
ulteriore svelata o inventata dalle droghe, egli è quindi una sorta di individuo
naturalmente drogato, ma allo stesso tempo dotato delle necessarie volontà e abilità di
esprimere le sue inusitate percezioni in forme letterarie, visive, plastiche o musicali.
Aura creativa e disincantamento delle droghe
Il flusso accelerato di frammentazioni oppure le sospensioni e i vuoti
dellattività mentale, la magmaticità degli stati affettivi, le distorsioni, le
incongruità, la dissoluzione dellio, le apatiche distanze dalla realtà o il
coinvolgimento paranoico nelle cose, come ogni altro incongruo carattere
dellesperienza drogata, sono elementi a fatica convogliabili nella creazione
artistica, fatta di ritmo, equilibri, unicità, armonie, tecnica, controllo consapevole,
mediazioni linguistiche e stilistiche. Ciò è stato e continua ad essere invariabilmente
riconosciuto dagli artisti. Anche chi, come gli esponenti della beat generation, ha fatto
delluso di droghe, dellespressione spontanea, dellannullamento della
coscienza le basi della creazione artistica, ha raccontato la fatica della produzione, il
duro apprendimento di un metodo.
Kerouac, autore di On the road, ammetteva il suo debito verso Neal Cassady, da cui
aveva assimilato il ritmo incalzante e destrutturato della prosa e quindi pubblicava una
serie di articoli sulla tecnica di scrittura e sui fondamenti della sua prosa spontanea.
Burroghous affinava evidentemente il suo stile e le sue capacità narrative
dallesordio di Junkie, freddo e ruvido resoconto del suo rapporto con le droghe, ai
più sofisticati Pasto nudo e Il biglietto che esplose, racconti che hanno influenzato la
narrativa e il cinema fantascientifico degli ultimi anni. La consapevolezza del cammino
artistico percorso lo portava quindi a pubblicare nel 1981 un libro di Scrittura creativa.
Allora, verosimilmente, nella beat generation il ricorso alle droghe per la creazione
artistica aveva una natura soprattutto ideologica. Esso rappresentava uno degli strumenti
per lattuazione o la diffusione del progetto antidottrinario,
anti-intellettualistico e di radicale liberazione, nella prassi disordinata di rottura
delle convenzioni, nel paradigma della libertà assolutizzata, della lotta contro ogni
forma di sottomissione. In questo senso, luso della droga ai fini creativi si
situava allinterno di un più organico rapporto di tipo esistenziale con le sostanze
psicoattive. Un ideale esistenziale paradossalmente perso di vista per una più spietata e
difficile subordinazione: la dipendenza farmacologica o tragicamente fallito nella morte
(ad esempio Cassady, dedito allamfetamina e morto per overdose di barbiturici,
Kerouac morto per complicazioni legate al suo grave alcolismo).
La battaglia culturale dei beatnik accelerava il processo di definitiva massificazione
e mercificazione delle droghe avviatosi dal secondo Ottocento e contribuiva quindi al
totale disincantamento delle sostanze psicotrope e alla standardizzazione dei loro
effetti. Così, da opificio mentale riservato a pochi eletti, da laboratorio elitario di
idee, la droga si è trasformata in industria per la produzione di percezioni allucinate a
buon mercato. Con ciò le sostanze psicoattive hanno perduto irrevocabilmente ogni residua
o immaginaria forza creativa e potenzialità ispiratrice. Niente è più diverso dal sacro
furore della creazione, dalla faticosa e critica operosità dellartista della facile
evasione omologata, delle esperienze da viversi su forme e stereotipi commerciali
spacciate da una merce prodotta in serie, intorno al quale prospera il più ricco mercato
del mondo.