Il seguente testo, tratto dal catalogo
della mostra "Il Cammino della Libertà", è l'introduzione al "primo
atto", dedicato alle origini del pensiero liberale. La mostra resterà esposta alla
Sala Viscontea del Castello Sforzesco di Milano fino al 21 novembre.
Per comprendere il lungo percorso del liberalismo occorre subito abbandonare quella
nozione di progresso lineare che ha illuso tanta parte della storiografia istituzionale
ottocentesca. Il cuore della concezione liberale è il tema della libertà delluomo,
definita come supremo fine politico. Nata per contrastare lenorme concentrazione di
potere che si era creata in capo alle monarchie assolute, la dottrina liberale esprime
allora la resistenza della società civile di fronte alle pretese dello Stato e alla sua
volontà di dominare i propri sudditi. Ma se non esiste il "liberalismo" prima
dellimplosione delluniverso medievale e della nascita dello Stato moderno,
senza dubbio durante la plurisecolare evoluzione della società europea esistono comunque
varie forme di libertà e, grazie ad esse, di libere imprese commerciali.
Soprattutto in quelletà comunale caratterizzata dai liberi statuti cittadini
(che altro non sono se non forme di autogoverno delle comunità di proprietari e
mercanti), il principio della libertà personale è ben presente: libertà di partecipare,
di escludere, di includere e di stabilire confini. In questepoca, daltra
parte, non esiste una chiara delimitazione del potere sopra un territorio: ad un potere se
ne oppone sempre un altro di forza analoga, il quale tenta di imporsi sugli stessi
soggetti.
Il pluralismo politico e territoriale medievale è come un gioco di scatole cinesi,
senza lambito interno ed esterno che caratterizza la sovranità: anzi, senza il
concetto stesso di sovranità (la cui cristallina formulazione si deve al francese Jean
Bodin nel 1576). I poteri medievali sono in realtà semplici "pretese", vale a
dire nulla di certo e assodato, ma semplicemente tentativi di imporre o negoziare il
dominio di un signore, di un gruppo di mercanti o di chierici.
Tutte queste pretese sono soggette al libero gioco delle "contropretese" e
devono quindi fare i conti con la concorrenza condotta da altre istituzioni. In poche
parole il Medioevo non conosce quel weberiano "monopolio della forza sopra un dato
territorio" che è un tratto specifico della statualità. E, soprattutto, non conosce
lidea di ununica fonte del diritto, poiché nello stesso tempo e nel medesimo
spazio convivono consuetudini locali e antiche massime romane riadattate dai glossatori.
Quello medioevale è un diritto "a maglie larghe" e soprattutto un modo di
risolvere le controversie fra i privati, ma i fatti giuridicamente rilevanti rimangono
appunto "privati" proprio nel senso che non esiste una concezione organicistica
secondo la quale il delitto è commesso nei confronti del "corpo sociale" e
mette quindi a repentaglio lintera collettività.
In un certo senso si può affermare che il Medioevo risulta davvero concluso quando, al
termine di una gestazione plurisecolare, la parola "Stato" giunge al suo
utilizzo odierno grazie a Machiavelli, che nel Principe afferma: "tutti li stati,
tutti e dominii che hanno avuto et hanno imperio sopra li uomini, sono stati e sono
o repubbliche o principati". Dal XVI secolo in poi lassolutismo sviluppa
consapevolmente questa idea di organizzazione del potere attraverso una "persona
artificiale", lo Stato, che opera grazie ad uffici, organismi, funzioni, leggi e che
ha una realtà che trascende tanto i sudditi quanto il sovrano.
È certo difficile comprendere come sia potuto accadere che intorno ad una teoria come
quella di Machiavelli, volta alla comprensione dei metodi da seguire per conquistare e
mantenere il potere del principe, sia sorta questa creatura istituzionale che è lo Stato.
Non vi è alcun dubbio, però, che i secoli XV e XVI segnano linizio delletà
moderna, caratterizzata dalla nascita della statualità nellEuropa occidentale.
Spagna, Francia e Inghilterra incominciano a sviluppare intorno alle monarchie assolute
quel conglomerato di istituzioni politiche e concetti giuridici che accompagneranno, nella
loro plurisecolare evoluzione, la storia europea fino ai nostri giorni. I concetti di
sovranità, stabile organizzazione istituzionale, burocrazia, monopolio della produzione
normativa e delluso della forza, centralismo omogenizzatore ed uniformità
legislativa fanno parte della storia di questa creazione umana.
Con la sua avanzata inesorabile, lo Stato concede nuovi privilegi e franchigie, ma
distrugge anche antiche istituzioni, compromettendo lautonomia dei singoli e dei
gruppi. Con lo Stato non avanza la libertà dellindividuo, ma è semmai nel
tentativo di limitare e circoscrivere i poteri statali che lentamente si fa strada una
nuova prospettiva liberale.
La distruzione dei corpi intermedi, strutture di mediazione fra lindividuo e il
potere, è una delle caratteristiche salienti dellavvento dello Stato e della sua
cinica gestione delle relazioni sociali. Il potere deve affermarsi lasciando due sole
creature sul terreno: se stesso e il singolo individuo. Mai nella storia universale si era
assistito ad un tale sconvolgimento nel breve volgere di alcuni decenni. La Chiesa, le
corporazioni e tutte quelle associazioni alle quali gli uomini concedono una parte della
propria lealtà scompaiono o vengono ridotte al rango di istituzioni private, circoscritte
e limitate, mentre su tutto vigila lo Stato, nella persona del monarca e dei suoi
aiutanti.
Indubbiamente questa rivoluzione è in buona misura anche dovuta al fatto che con la
Riforma inizia in Europa letà delle guerre di religione, destinata a concludersi
solo nel 1648 con la definitiva affermazione di ununica sovranità, quella degli
Stati. La rottura dellunità cristiana porta ad un tentativo intellettuale di
ricomposizione terrena del mistero divino.
È Jean Bodin il grande "inventore" della sovranità, di quel puntello
teorico senza il quale la costruzione statuale ci appare oggi impossibile. Ed egli scrive
"I sei libri della Repubblica" nel 1576, proprio durante il periodo delle guerre
di religione in Francia. Egli afferma: "Per sovranità sintende quel potere
assoluto e perpetuo chè proprio dello Stato. Essa è chiamata dai latini maiestas,
dai Greci arkà exousìa, kyrìa arké polìteuma; dagli Italiani signoria,
parola che essi usano tanto parlando di privati quanto di coloro che maneggiano gli affari
di Stato; gli Ebrei la chiamano tomech sebet, ossia supremo comando. Ma ciò che
qui occorre è formulare la definizione, perché tale definizione non cè stato mai
giurista, né filosofo politico che labbia data, e tuttavia è questo il punto più
importante e più necessario a comprendersi in qualsiasi trattazione sullo Stato".
Sebbene questa affermazione sembri voler definire qualcosa di già dato e
universalmente riconosciuto, di fatto Bodin enuncia una teoria inedita per la tradizione
medievale. Egli non riprende una categoria politica già nota portandola a compimento;
piuttosto, in relazione a eventi storici ben individuabili e in risposta ad esigenze
sociali, politiche e religiose ben precise, trasforma in qualcosa di nuovo e di largamente
inedito i concetti di potere, e dominio sugli uomini.
NellEuropa del Cinquecento esistono ancora circa mezzo migliaio di comunità
politiche interconnesse, né sovrane, né autonome, che potenzialmente avrebbero potuto
evolvere in tanti modi e di fatto sperimentano strade diverse. Dalla Repubblica di Venezia
alla Confederazione elvetica, alle Province Unite, la storia europea ci mostra quanto il
modello dello Stato sia ricco di contraltari, poiché altre vie erano effettivamente
percorribili e in parte furono anche percorse.
Ma queste vicende di organizzazione non-statuale durante la prima età moderna, per
quanto importanti, sono rimaste ai margini della storia dellOccidente.
Levoluzione istituzionale, in effetti, ci ha proposto come asse unico della
"politica" quello costruito intorno alla figura del principe e poi
dellassemblea. È il modello francese - con il passaggio dallassolutismo
monarchico a quello giacobino e parlamentare - che si colloca al centro della scena
europea. Le aree in cui tale modello non trionfa immediatamente vengono definite
utilizzando la categoria dellarretratezza, sociale e politica.
Anche i paesi dominati dalle monarchie assolute conoscono esperienze differenziate e in
qualche caso vedono emerge importanti fermenti liberali. Il primo paese ad abbandonare il
modello della sovranità statuale è lInghilterra del Seicento, prima con la
Rivoluzione di Oliver Cromwell, che degenera ben presto in assolutismo parlamentare e
personale del Lord Protettore, poi nel 1688-89 con la Gloriosa rivoluzione che segna la
nascita del primo esempio di Stato liberale il cui fine è la tutela dei diritti
individuali.
Lo strumento per raggiungere tali fini viene individuato nel nuovo concetto di
"sovranità popolare". Nelle parole del Presidente dellAlta Corte di
giustizia che nel 1649 condannò a morte Carlo I Stuart ben si coglie lo scontro fra
lEuropa dellassolutismo e quella nascente della "sovranità
popolare": "Signore, questa Corte è convinta che la legge sia superiore a voi,
e che avreste dovuto regnare secondo i suoi precetti; (...) come la legge è superiore a
voi, così esiste qualcosa di superiore alla legge, lautore, il creatore della
legge, cioè il popolo inglese".
Quarantanni dopo, la rinata monarchia inglese cambia volto: con
lintroduzione dellHabeas Corpus del 1679 (posto a garanzia dagli arresti
arbitrari) e del Bill of Rights del 1689 (che precisa i diritti dei cittadini inglesi di
fronte al potere) giunge effettivamente a compimento quel lungo processo iniziato con la
Magna Charta del 1215 e che renderà lInghilterra uno dei paesi più rispettosi
delle libertà individuali.
Lideale dello Stato di diritto, pur nella sua problematicità, diventerà allora
il primo grande cavallo di battaglia politico del liberalismo. In generale, si ritiene che
lo Stato di diritto sia anche la preferenza dimostrata nel corso dei secoli da alcune
società a farsi governare da leggi piuttosto che da uomini. Ma certo questa formulazione
non può soddisfare pienamente nessun liberale, poiché la natura impersonale del potere
di per sé nulla ci dice riguardo alla sua giustizia. In ogni caso, la limitazione e il
bilanciamento dei poteri che si realizzano in Inghilterra dalla fine del Seicento saranno
un punto di riferimento costante dei liberali del continente anche e soprattutto nel
secolo successivo.
Ma la vera cultura unificante della battaglia intellettuale contro lassolutismo
monarchico deve essere ricercata in quella complessa costruzione giuridico-politica che va
sotto il nome di "giusnaturalismo moderno". Anche lantichità classica,
dalla Grecia a Roma, conosce una forma peculiare di diritto naturale. Per Aristotele tutto
ciò che è una legge di natura deve riflettersi in norme anchesse naturali: la
sottomissione dello schiavo è così altrettanto "naturale" di quella della
donna. In Cicerone ancor più esplicito è il riferimento al fatto che al di là delle
leggi prodotte dagli uomini esistono quelle, inviolabili, che derivano dalla natura. La
stessa età cristiana conosce ovviamente una propria concezione del diritto naturale, che
è parte di quello divino, ma che aggiunge lidea che titolare di questi diritti di
natura sia luomo stesso, in quanto creato ad immagine e somiglianza di Dio. La
teoria classica del diritto naturale si esaurisce in un richiamo ai limiti del potere. Un
sovrano che non rispetta questi vincoli può anche essere ucciso dai sudditi.
La dottrina del diritto naturale evolve in giusnaturalismo moderno a partire
dallopera di Ugo Grozio, "De jure belli ac pacis" del 1625. Il giurista
olandese, infatti, in un passo celeberrimo afferma che la verità enunciata
dallesistenza dei diritti naturali degli individui non sarebbe inficiata neanche se
Dio non esistesse. Secolarizzata, questa dottrina si rivela il maggiore strumento di lotta
politica nei secoli XVII e XVIII, culminando nelle Rivoluzioni dAmerica e di
Francia.
In realtà, tutti i grandi pensatori politici dallinizio del Seicento fino alla
fine del Settecento sono in un senso o in un altro giusnaturalisti e/o contrattualisti:
essi credono nellesistenza di diritti naturali e vedono la società quale frutto di
un accordo contrattuale. Ma che cosa sono i diritti naturali?
In prima approssimazione sono tutti quei diritti di cui gli uomini godono in quanto
esseri umani, a prescindere dalla loro appartenenza ad una società politica. Dal punto di
vista filosofico questi diritti appartengono allessenza delluomo e non possono
essere violati senza ferirne la dignità. Tuttavia, il discorso sul diritto naturale si
intreccia con quello del contratto originario dal quale avrebbe avuto luogo la nascita
della società politica. Contrattualismo e giusnaturalismo procedono allora lungo linee
convergenti.
Pur essendo impossibile indicare uno schema valido per tutti i pensatori del periodo,
è lecito affermare che per la filosofia dellepoca gli uomini allo stato di natura
sono senza governo (felici o infelici non importa), ma hanno tutta una serie di diritti
naturali, fra i quali quello alla vita, alla libertà e alla proprietà. A causa di alcuni
problemi (conflittualità permanente, oppure lesigenza di un giudice
"terzo") essi decidono per contratto e consenso unanime di dar vita ad una
società politica. Essi cedono la libertà in cambio della sicurezza, oppure si accordano
al fine di tutelarsi nel migliore dei modi.
Come si può ben comprendere, da questa spiegazione dellorigine della società
politica può risultare unesaltazione dei poteri dello Stato oppure una loro
limitazione, la definitiva rinuncia ai propri diritti naturali in cambio della sicurezza
promessa dal Leviatano oppure la loro salvaguardia.
La prima strada è stata percorsa da Thomas Hobbes, mentre sulla seconda troviamo John
Locke, grazie al quale il liberalismo conosce uno dei punti più alti della sua storia.
Lidea che gli uomini posseggano diritti preesistenti a qualunque governo, che
questi diritti siano la vera essenza dellessere umano e che, uscendo dallo stato di
natura, gli individui non vogliano affatto rinunciare a tali diritti, daltra parte,
si rivela la maggiore costruzione politica ed intellettuale dellera moderna.
Soprattutto lunica in grado di contrastare utilmente ledificio intellettuale
dominante: quello della monarchia di diritto divino.
Il diritto di resistenza è, da un lato, una filiazione intellettuale del diritto di
uccidere il tiranno e, dallaltro, la più importante delle garanzie, giacché si
trova a monte di ogni ordinamento giuridico legittimo.
Le idee hanno conseguenze e la storia del liberalismo, ai suoi albori, mostra proprio
che solo una chiara percezione della posta in gioco, dello scontro fra dispotismo e
libertà (Stato e individui, Re e sudditi), ha potuto condurre ad una forma di radicalismo
politico in grado di piegare il potere e costringerlo "entro i limiti della sola
ragione".