Il seguente documento è un contributo
collettivo alla discussione congressuale comparso sulla rivista "Aprile", vicina
alla sinistra dei Ds.
1)Le elezioni europee e le successive tornate elettorali, soprattutto in Germania,
hanno messo in risalto lo stato di difficoltà e di incertezza in cui si trovano tutti i
maggiori partiti storici della sinistra. Ovunque cè un problema evidente di
ridefinizione strategica e di chiarificazione culturale delle ragioni della sinistra.
LItalia sta dentro questo contesto, con le sue peculiari difficoltà che sono
proprie di una transizione ancora incompiuta e di una più marcata fragilità del sistema
politico, ma anche con le sue straordinarie potenzialità e con un possibile ruolo
dinamico nel panorama politico dellEuropa.
La contraddizione della sinistra europea sta nello scarto tra lampiezza delle
posizioni di governo conquistate e la capacità di aprire un nuovo ciclo politico e
sociale, dopo londata di modernizzazione conservatrice degli anni 80. La
sinistra governa, ma le società europee non hanno ancora trovato un nuovo impulso, un
nuovo sistema di valori su cui ricostruire la propria identità. Cè la novità
della moneta unica, ma essa non è sufficiente, e il quadro politico generale è un quadro
di stanchezza e di disillusione, senza motivazioni forti che siano capaci di ridare senso
allazione politica collettiva e alla partecipazione democratica. Tutto il capitolo
dellEuropa politica e sociale è ancora da scrivere. Una nuova strategia per lo
sviluppo, per il lavoro, per la coesione sociale, non è stata ancora individuata e i
tentativi di imboccare davvero una via riformatrice, da Jacques Delors a Oskar Lafontaine,
sono stati contrastati e sconfitti.
La sinistra è oggi solo una forza di stabilizzazione e non una forza di cambiamento. E
quindi le sue basi sociali di consenso e la sua stessa identità sono rimesse in
discussione. Ci troviamo dunque in una emergenza, e le risposte politiche debbono essere
assolutamente chiare e non reticenti.
2) Occorre vedere i processi di fondo che stanno trasformando le forme e gli spazi
della politica: la crisi della capacità rappresentativa dei partiti politici e la loro
tendenza a svolgere una funzione solo tecnica e procedurale, senza un rapporto con la
domanda sociale; la crescente omologazione dei partiti sotto il profilo ideologico e
programmatico e il venir meno, di conseguenza, dei fattori di identità e di appartenenza;
la caduta verticale della partecipazione e della militanza politica; la spoliticizzazione
delle moderne società europee; il progressivo affievolimento della discussione pubblica
intorno alle possibili alternative programmatiche e lo spostamento, quindi, dal programma
politico al leader, con un processo di personalizzazione della vita politica che muta in
profondità la natura dei partiti. In questa situazione lesercizio della democrazia
sembra escludere la scelta tra opzioni alternative e riguardare solo la selezione del
personale politico: non che cosa fare, ma chi lo fa.
La competizione non è intorno a progetti alternativi, ma solo intorno alle garanzie di
efficienza, di stabilità, di professionalità politica che i diversi schieramenti possono
offrire. La sinistra si è presentata così, con una promessa non di cambiamento ma di
efficienza, e con lassicurazione di avere abbandonato ogni differenza ideologica,
culturale, di principio. Il problema è solo quello di far funzionare un "paese
normale".
Che tutto ciò alimenti fenomeni di indifferenza politica e di astensionismo non è per
nulla sorprendente. E lastensionismo è il tratto dominante di queste ultime tornate
elettorali. Più che gli spostamenti nelle preferenze di voto conta il fatto che la
maggioranza dei cittadini ha ritenuto irrilevante la competizione elettorale.
Questa tendenza alla spoliticizzazione, se non viene contrastata e se non si attivano
efficaci contrappesi, ha un effetto mortale per la sinistra, non perché sia alle porte
unoffensiva reazionaria vincente, ma perché perde di significato la distinzione
destra e sinistra. Nellindifferenza degli schieramenti, vince come sempre, la palude
centrista, oggi rappresentata da Forza Italia. Se tutto il gioco politico si riduce
alloccupazione del centro, la sinistra perde la sua forza attrattiva, come in
effetti è avvenuto. Per questo, gli interrogativi a cui cercare di rispondere non
riguardano la tattica politica quotidiana, ma le motivazioni di fondo dellagire
politico.
3) Dopo l89 non cè stato un lavoro serio di ricostruzione storica e di
revisione teorica. La "svolta" che ha dato vita al Pds è stata guidata solo da
una intuizione politica, senza compiere, come sarebbe stato necessario, un ripensamento
più profondo della teoria politica e unanalisi della nuova situazione storica. Oggi
paghiamo i limiti di questa operazione, perché non disponiamo di strumenti interpretativi
adeguati e non abbiamo costruito una nuova cultura politica allaltezza delle sfide
della globalizzazione e della rivoluzione tecnologica.
E prevalso un atteggiamento di pragmatismo tattico e di estrema duttilità, che
ha consentito di ottenere alcuni risultati importanti e di conquistare laccesso al
governo, ma in una condizione di indeterminatezza e con una identità politica sempre più
debole e sfilacciata, il che spiega lattuale paradosso di una sinistra forte per il
suo insediamento nelle istituzioni e debolissima nel suo radicamento sociale e nella sua
capacità di produrre una identità collettiva. Siamo quindi in una condizione strutturale
di fragilità, esposti alle oscillazioni di una opinione pubblica sempre meno
politicizzata, e privi di una cultura politica che sia capace di interpretare e orientare
la nuova evoluzione storica.

4)Il nostro "male oscuro" può essere agevolmente individuato: è la perdita
di visibilità delle differenze politiche. La tesi opposta, secondo la quale la sinistra
deve ancora completare la sua evoluzione riformista ed è tuttora appesantita dal vecchio
bagaglio ideologico, non ha nessun fondamento, e va respinta perché spinge esattamente
verso una definitiva liquidazione delle differenze politiche. Non ci sono più radici
ideologiche da tagliare, è già stato tutto tagliato. E ora occorre passare rapidamente
dalla fase distruttiva a quella ricostruttiva, per ridefinire unidentità che sia
visibile e percepita a livello di massa.
La discussione, quindi, riguarda la linea politica generale, e richiede non una
correzione ma una sterzata. Nei casi di crisi, cè sempre linvocazione
dellinnovazione, la quale però spesso è solo uninvocazione retorica che non
tocca i punti essenziali. E questo è oggi il rischio: la retorica del cambiamento, senza
sapere esattamente che cosa e dove cambiare, con il risultato di fare solo
unoperazione effimera di immagine.
Così anche tutta la discussione sullUlivo e sul suo rilancio rischia di essere
solo un diversivo, nellillusione che leffetto simbolico dellUlivo ci
liberi dalle nostre contraddizioni. Cè evidentemente il problema di ristrutturare
la coalizione, di superare la sua frammentazione attuale, di definire regole e sedi
decisionali comuni. Ma il problema della sinistra non coincide con il problema della
coalizione, e il partito dei Ds non può solo dire: "facciamo lUlivo", ma
deve chiarire il suo progetto, il suo ruolo specifico e autonomo, come forza di sinistra,
allinterno della coalizione. La coalizione sarà forte se sono forti i soggetti che
la compongono.
Per questo, il prossimo congresso dei Ds deve avere un carattere
"costituente", in quanto si tratta di definire la piattaforma fondamentale e di
fissare un asse strategico. Poi verranno le esigenze della tattica, con la loro necessaria
duttilità, ma la condizione primaria per la vitalità di un partito è la chiarezza delle
sue prospettive e del suo progetto storico. Occorre dunque un congresso che faccia
emergere con nitidezza i diversi approcci teorici e strategici. La parola dordine
non può essere lunità del partito, ma la chiarezza delle posizioni.
Lattuale struttura del pluralismo interno è del tutto inadeguata, perché è
solo la prosecuzione, ormai snervata, degli schieramenti che si erano determinati al
momento della "svolta". Oggi tutto deve essere ridefinito a partire dalle
questioni cruciali che ci stanno oggi di fronte.
5)La sinistra si è definita storicamente nel rapporto tra politica e lavoro. Esiste
una identità di classe in quanto esiste un progetto politico che la sorregge e la
definisce, e così reciprocamente una politica di sinistra è tale in quanto rappresenta e
organizza una domanda sociale. Questo rapporto sembra oggi essersi spezzato, e si teorizza
il passaggio da una sinistra sociale a una sinistra civile, dal lavoro come fondamento di
cittadinanza ad una concezione astratta dei diritti umani. Ne discende un partito
socialmente neutro, senza radicamento, portatore solo di valori generali e non di una
domanda sociale specifica. Nella pratica politica concreta, il lavoro è solo uno degli
aspetti, accanto ad altri, sovrastato da altri. Sopravvive un rituale sempre più
ripetitivo e nominale, con le conferenze dei lavoratori e simili iniziative, ma è sempre
più chiaro che la vera partita politica non si gioca più su questo terreno. La partita
è la conquista del centro moderato: le truppe seguiranno. La novità politica è che non
ci sono più truppe. Il rapporto storico tra la sinistra e il mondo del lavoro si è
inceppato ed è tutto da ricostruire.
Certo, molto dipende dalle trasformazioni che hanno sconvolto la struttura di classe
del paese. Ma il mutamento sociale non ci autorizza ad archiviare il tema del lavoro come
tema politico, ma ci impegna a ridefinirlo, ad esplorarlo nelle sue nuove e più complesse
articolazioni. Cè bisogno di molta innovazione, nelle analisi, nelle politiche
rivendicative, nelle modalità di approccio ai nuovi soggetti sociali, nella definizione
quindi di una nuova politica del lavoro che assuma fino in fondo la rottura di paradigma
sociale che è avvenuta con la fine del fordismo.
Il lavoro post-fordista segna un complessivo cambiamento di orizzonte rispetto alla
storia politica del Novecento. Al processo di concentrazione industriale, a cui
corrispondeva anche un determinato modello di organizzazione sociale funzionale alla
produzione di massa, subentra, in tutto il settore manifatturiero, un capitalismo
"molecolare", caratterizzato da una imprenditoria diffusa sul territorio e da
relazioni sociali sempre più flessibili e adattabili al mercato, mentre si determina un
ancora più forte livello di concentrazione e di controllo centralizzato per tutti gli
aspetti di carattere strategico. Il post-fordismo non è la fine del conflitto sociale e
il declino del lavoro subordinato e delle sue esigenze di tutela, ma è un nuovo contesto
sociale e tecnologico che ridefinisce le modalità del conflitto. Cè viceversa
tutta una letteratura sociologica e politica che tende ad interpretare la nuova situazione
come lavvento di un lavoro liberato, che ha bisogno ormai solo di flessibilità. La
flessibilità è divenuta la parola-chiave: meno tutele, meno vincoli, meno diritti, nel
presupposto del tutto indimostrato che tutto ciò si traduca in una nuova fase di
crescita. In questo quadro, tutte le relazioni industriali consolidate sono brutalmente
messe a rischio dalle nuove necessità della competizione globalizzata e il lavoro viene
esposto ad una fortissima tensione nel senso della precarizzazione e
dellinsicurezza. I punti di forza tradizionali del movimento operaio, nella grande
produzione di massa, vengono completamente destrutturati, e divengono ormai punti di
debolezza, col rischio di indulgere in una difesa corporativa dei vecchi soggetti sociali,
senza più avere la capacità di parlare allintero mondo del lavoro.
Il lavoro dunque è cambiato, nella sua essenza, nella sua configurazione sociale, e
anche profondamente nella soggettività dei lavoratori. Il luogo centrale del conflitto
non è più oggi la fabbrica, con le sue dinamiche di classe ben definite, ma
lorganizzazione sociale, con i suoi processi multiformi di differenziazione e di
marginalizzazione e con i suoi nuovi esplosivi bisogni di realizzazione di una piena
cittadinanza sociale. Il cuore del problema è quindi lo stato sociale e il sistema dei
diritti.
Ma un punto deve restare ben saldo: il rapporto con il lavoro come fonte di
legittimazione politica di un partito della sinistra. Oggi questo rapporto va ricostruito.
Va ridefinita lidentità del partito a partire dalla sua rappresentanza sociale,
dalluniverso sociale di riferimento.
E sulla base di una chiara scelta che assume il lavoro, nelle sue nuove forme, come il
fulcro dellidentità politica, vanno affrontate tutte le questioni della politica
economica e della riforma del welfare, consolidando il metodo della concertazione con le
forze sociali.
La concertazione come metodo di governo è uno dei più significativi elementi di
distinzione tra destra e sinistra: governare con il consenso sociale e non con atti di
imperio, riconoscere il ruolo delle rappresentanze, pensare la politica nel suo rapporto
con la società e non come esercizio di un "primato" che configura la sfera
politica come una sfera separata e sovraordinata.
Da questo punto di vista, gli annunci del governo in materia pensionistica sono stati
un errore perché hanno aperto il varco ad una nuova campagna antisindacale, che ha la sua
punta di diamante nel partito radicale e nelle iniziative referendarie. Cè un
attacco di destra allo stato sociale e al ruolo del sindacato. Non possiamo lasciare
margini di ambiguità sulla nostra collocazione in questo scontro. Cè un problema
di ridefinizione del welfare. Ma in quale direzione? Verso una privatizzazione del
sistema, o verso un nuovo inquadramento delle tutele pubbliche che dia risposte nuove ed
efficaci allarea dei precari e degli esclusi? Una cosa, infatti, è riequilibrare la
spesa sociale e allinearla alla media europea, altra cosa è smantellare il sistema delle
garanzie e affidarsi al mercato. Nella discussione attuale, i cosiddetti riformatori che
fanno la predica al sindacato in quanto soggetto conservatore, non propongono una riforma,
ma una controriforma, in linea con le vecchie ricette del liberismo. Imboccare questa
linea significa per la sinistra mettere a repentaglio le sue basi sociali di consenso.
Ora il quadro è parzialmente mutato, e sembra avviarsi una discussione più
costruttiva. Ma deve essere chiaro che lobiettivo della sinistra è la costruzione
di uno stato sociale adeguato alla nuova situazione e ai nuovi bisogni, rafforzando e
generalizzando i diritti di cittadinanza, e contrastando con forza le mistificazioni
ideologiche della destra, la quale configura una società tutta dominata dai meccanismi
della competizione, con effetti drammatici sul destino dei soggetti più deboli.
Senza capacità di rappresentanza sociale, i partiti non hanno futuro. E la forza della
destra dipende oggi, in larga misura, dalla sua capacità di rappresentare e mobilitare
interessi. Forza Italia non è solo il risultato di una spregiudicata campagna mediatica,
ma di un radicamento concreto in alcuni segmenti forti della società.
La politica, quando funziona, è sempre capacità di sintesi, tra interessi e passioni.
La sinistra è oggi debole su entrambi i fronti, perché è fragile sia il suo rapporto
con gli interessi sia la sua capacità di offrire motivazioni, identità, passione
politica. Per uscire dalla crisi occorre lavorare su questi due punti fondamentali: la
rappresentanza e lidentità.
6)La discussione politica nella sinistra avviene oggi dopo quello straordinario
spartiacque storico rappresentato dalla guerra, che muta tutto il quadro internazionale e
apre nuovi interrogativi sul futuro dellEuropa. Con la guerra (di questo si tratta,
non di una ingerenza umanitaria) si è messo in atto il tentativo di costruire un nuovo
ordine internazionale, sostituendo alluniversalismo dellOnu il dominio dei
paesi forti e assegnando alla Nato dopo la fine del bipolarismo, un ruolo di regolazione
mondiale. Questa è oggi la posta in gioco sulla scena internazionale. Come ci collochiamo
in questo nuovo scenario?
Non si discute qui dellazione del governo italiano, che ha fatto il possibile,
nelle condizioni date e nei margini di manovra assai ristretti in cui ha dovuto muoversi,
per costruire uno sbocco politico accettabile. In discussione è la valutazione politica
complessiva. La guerra, proprio in quanto ha rappresentato una rottura del diritto
internazionale e linizio di un nuovo ordine che sostituisce il diritto con la forza,
non può che essere valutata come una sconfitta della sinistra e un segno delle sue
debolezze.
Il problema non può essere archiviato, perché esso ha importantissime implicazioni
storico-politiche. E non possiamo adattarci alle troppo comode e ipocrite interpretazioni
umanitarie. E un punto dirimente, perché da esso dipende il futuro dellEuropa
e la sua possibilità o meno di essere una potenza politica autonoma che esercita una
funzione di equilibrio sulla scena mondiale, e altrettanto in discussione è tutta la
prospettiva delle relazioni con lEst dellEuropa e con i continenti del Terzo
mondo. La sinistra europea, che si è fatta trascinare in questa avventura militare e non
ha saputo impostare una linea alternativa, deve ora ridefinire le sue prospettive e
ricostruire un quadro efficace di regole, di legalità e di istituzioni internazionali.
Tutto ciò ha avuto uninfluenza elettorale, in quanto si è avuta la sensazione
di una impotenza e di una subalternità dellItalia. E la sinistra di governo è
apparsa appiattita sulla più tradizionale ideologia atlantica, talora perfino in prima
fila nella nuova crociata dOccidente. Questa coincidenza tra governo delle sinistre
in Europa e guerra ha creato uno sbandamento. Per questo, occorre ora ricostruire una
nuova prospettiva di pace e un nuovo assetto delle relazioni internazionali.

La costruzione dellEuropa politica e la sua capacità di essere un fattore di
equilibrio è la prima condizione. Ma nella sinistra europea tutto ciò non è affatto
scontato, perché è finora prevalsa unaltra linea, rappresentata da Tony Blair, che
assegna allEuropa il ruolo di partner subalterno della superpotenza americana.
LItalia ha solo cercato di smussare le punte più aggressive, ma non ha offerto
unalternativa. E il tono trionfalistico di questo dopoguerra non è di buon
auspicio. Non cè riflessione critica, ma cè la soddisfazione di essere ormai
riconosciuti dagli Stati Uniti come partner affidabili. Il che significa che saremo anche
nel futuro in balia delle decisioni che sfuggono al nostro controllo.
7)Sul fronte istituzionale si combinano due processi. Il primo tende a spostare i
rapporti di potere dal centro alla periferia, correggendo il carattere centralistico del
nostro ordinamento e valorizzando le autonomie territoriali. Il secondo tende alla
costruzione di una democrazia di tipo plebiscitario sostituendo il ruolo di mediazione e
di rappresentanza dei partiti politici con un rapporto fiduciario diretto tra i cittadini
e il leader. Le forze politiche sembrano aver scelto di assecondare entrambi questi
processi, mettendo nel loro calendario istituzionale i due temi del federalismo e del
presidenzialismo. Non cè, su questo terreno, una differenza visibile tra la destra
e la sinistra. Quando si parla di riforme istituzionali, e se ne parla sempre in termini
generici, non si rende chiaro se ci sono diversi progetti e quale sia la loro diversa
qualità. In sostanza, la sinistra non ha chiarito con sufficiente nitidezza i suoi
obiettivi, è stata incerta e oscillante, e ha finito per subire liniziativa
dellavversario. Federalismo e presidenzialismo sono così divenuti due slogan di
facile uso propagandistico, senza un approfondimento e una chiarificazione concettuale.
Ma, in realtà, tra questi due temi, normalmente tra loro accoppiati nel discorso
istituzionale, ci sono alcune fondamentali differenze. La prima differenza è di ordine
pratico: mentre una riforma federalista richiede un processo assai complesso, in quanto si
tratta di modificare il funzionamento concreto degli apparati pubblici e di vincere
fortissime resistenze conservatrici, la democrazia plebiscitaria è già sostanzialmente
insediata, data la crisi dei partiti politici, e ha bisogno solo di unultima spinta
per completare la sua affermazione.
La seconda differenza è di sostanza, perché con il federalismo si allargano gli spazi
della democrazia e della partecipazione, costruendo nuove sedi di autogoverno, e
allinverso il modello plebiscitario restringe la vita democratica e la atrofizza
nellinvestitura del leader, mettendo fuori gioco tutto il sistema delle
rappresentanze, politiche e sociali. Forme di elezione diretta possono essere utili e
positive, come è stato per i sindaci e come può essere, a certe condizioni, per i
presidenti delle Regioni. Ma occorre costruire un equilibrio democratico che eviti un
eccesso di personalizzazione e uno svuotamento delle assemblee elettive.
Ciò che non è accettabile è la semplificazione del processo democratico nella
investitura del leader, senza efficaci contrappesi e senza un sistema di rappresentanze
che sia in grado di riflettere il pluralismo della società.
Per questo, cè il rischio che la riforma presidenzialista (con elezione diretta
del presidente della Repubblica o del premier), più semplice da realizzare e più
redditizia sul piano di un consenso demagogico a buon mercato, sia alla fine lunico
punto di approdo, lasciando per il resto inalterata la macchina dello Stato. Non a caso,
anche per le Regioni lunico impegno concreto è lelezione diretta del
presidente, lasciando in ombra tutti gli altri aspetti di riforma dellistituto
regionale.
La sinistra deve avere un suo progetto istituzionale che punti ad allargare gli spazi
della partecipazione democratica. Ma, per fare questo, occorre andare controcorrente e
aprire una battaglia politica esplicita contro le suggestioni leaderistiche e
plebiscitarie. Questo non è stato fatto e nessun bilancio critico è stato compiuto dei
risultati deludenti del nuovo sistema maggioritario, che non ha mantenuto nessuna delle
sue promesse, né in termini di stabilità di governo, né in termini di superamento della
frammentazione partitica, né infine sotto il profilo della trasparenza democratica e del
controllo dei cittadini. Ma di fronte allevidenza di queste difficoltà e di fronte
al rischio di una delegittimazione dei partiti politici in quanto tali, la parola
dordine è, anche da parte della sinistra: ancora più avanti, completiamo questa
magnifica rivoluzione maggioritaria, a colpi di referendum, se è necessario, accettando
pienamente la tesi che la democrazia non funziona perché cè il dominio dei
partiti.
Non cè dubbio che lobiettivo debba essere lorganizzazione di una
democrazia bipolare. Ma quello che accade non è la razionalizzazione del sistema politico
nella direzione del bipolarismo, ma la sua trasformazione in una forma di notabilato
oligarchico, che non garantisce rappresentanza e si sottrae al controllo democratico.
Ci stiamo avviando verso una completa destrutturazione del sistema politico, senza
capire che noi saremo le vittime sacrificali di questo processo. e i primi effetti già si
stanno verificando. Questa prospettiva va rifiutata e contrastata, opponendo al modello
plebiscitario e leaderistico la prospettiva di una riforma dello Stato che sia capace di
rimettere in comunicazione società e istituzioni, domanda sociale e offerta politica:
quindi, riforma dellamministrazione, federalismo, autonomie territoriali,
concertazione sociale, funzionamento della giustizia, difesa dei diritti fondamentali.
La nostra agenda istituzionale non può essere la stessa della destra. Il nostro
problema è quello di rivitalizzare la democrazia, di superare lattuale gravissima
crisi di partecipazione e di fiducia, mentre la destra tenta solo di aggirare il problema
con una operazione demagogica.
Le concessioni alla strategia referendaria contro la quota proporzionale sono state un
cedimento inutile e ingiustificato. Lobiettivo di questo referendum, oggi rilanciato
da Alleanza nazionale e da unalleanza trasversale di marca populista, è la
liquidazione dei partiti politici. Non centra nulla il bipolarismo e la
governabilità. E cadere in questa trappola è un errore strategico del tutto
inaccettabile. E possibile, viceversa, una proposta di rafforzamento della funzione
di governo, allinterno di una democrazia parlamentare che restituisca ai partiti
politici e alle coalizioni la loro funzione fondamentale. Il problema di fondo, infatti,
è quello di incentivare la formazione di governi stabili ed omogenei, il che richiede una
strategia istituzionale che rafforzi i meccanismi di coalizione e scoraggi la
frammentazione partitica. Ci possono essere, a questo fine, diverse soluzioni. Ma
certamente non serve una confusa campagna antipartitica e una mitologia della democrazia
maggioritaria, perché è proprio questa impostazione che ha determinato lattuale
situazione di impasse e di crisi della vita democratica.
8)Abbiamo indicato tre questioni cruciali: la politica del lavoro, la politica
internazionale, la politica istituzionale. Potremmo allargare ulteriormente il discorso,
ma già dovrebbe essere chiaro, dalle cose fin qui dette, il senso della svolta politica
che è necessario attuare.
Perché si possa anche solo discutere di tutto ciò è necessario un partito che
funzioni, che abbia una vita democratica interna, che non sia solo una struttura di
supporto al servizio del leader. Il modello leaderistico ha già provocato guasti profondi
determinando effetti di deresponsabilizzazione e di opportunismo. In verità, non
cè leader forte se non cè classe dirigente forte. E il nostro problema è
proprio quello di costruire una classe dirigente, autorevole e pluralista, al centro così
come nelle realtà territoriali. Ciò non può avvenire senza una discussione chiara,
senza un confronto delle posizioni, senza una dialettica delle idee. In un momento di
crisi, non cè altra risorsa da attivare se non la risorsa democratica. Altrimenti
daremo ragione a quanti pensano che sia ormai finita la stagione dei partiti, e che la
politica è ormai solo il gioco di potere allinterno di una oligarchia chiusa.
Linvoluzione oligarchica della vita politica è la fine della sinistra. Il nostro
impegno deve essere quello di riaprire gli spazi democratici, anche attraverso una lotta
politica allinterno del partito, per una sinistra rinnovata, capace di riaffermare
le sue ragioni e la sua identità.
E un lavoro lungo, teorico e programmatico. Limportante è iniziarlo con il
piede giusto, con il senso dellemergenza che ci sovrasta e con la consapevolezza
della svolta politica che è necessario realizzare. Per questo, fuori da vecchie logiche
correntizie, ci rivolgiamo a tutti e chiediamo un confronto aperto, non diplomatico, non
compromissorio, perché siano messe in chiaro le diverse possibili scelte e il partito sia
messo in grado di decidere, consapevolmente e democraticamente.