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Appiedare il Cavaliere?

Antonio Carioti


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Silvio Berlusconi lo chiama "trappolone" e lo descrive come un cavillo pretestuoso delle sinistre per toglierlo di mezzo dalla lotta politica. Ma a chiedere che si arrivi a dichiarare l'ineleggibilità del proprietario di Mediaset sono anche nomi assai illustri dell'accademia italiana: l'economista Paolo Sylos Labini, il politologo Giovanni Sartori, il costituzionalista Alessandro Pizzorusso.

Essi fanno riferimento, come accenna Marco Vitale nell'intervento pubblicato su questo stesso numero di "Caffè Europa", a una norma entrata in vigore nel lontano 1957, quando Berlusconi era un vulcanico ventenne, ancora ben lungi però dal costruire un impero economico e dal fare il suo trionfale ingresso nell'agone politico.

Venne varato allora il Dpr 361, testo unico delle leggi per l'elezione della Camera dei deputati, nel quale si legge tra l'altro: "Non sono eleggibili inoltre coloro che, in proprio o in qualità di rappresentanti legali di società o di imprese private, risultino vincolati con lo Stato per contratti di opere o di somministrazioni, oppure per concessioni o autorizzazioni amministrative di notevole entità economica, che importino l'obbligo di adempimenti specifici, l'osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse, alle quali la concessione o l'autorizzazione è sottoposta".

Che Mediaset sia "vincolata allo Stato" per "concessioni di notevole entità economica", quelle riguardanti le frequenze televisive, nessuno può negarlo. Si potrebbe pensare quindi che il caso di Berlusconi coincida pienamente con questa causa di ineleggibilità. E ne conseguirebbe che il Cavaliere non avrebbe mai dovuto mettere piede a Montecitorio come rappresentante dei cittadini italiani. Del resto lo scopo della norma è abbastanza chiaro: evitare che assumano il compito di legiferare persone le cui fortune economiche personali dipendono direttamente da leggi dello Stato.

Tuttavia Berlusconi non è così sprovveduto da scivolare su una simile buccia di banana. E si è infatti cautelato prima di entrare in politica, cedendo la presidenza del suo gruppo a Fedele Confalonieri. Ciò nonostante, nel 1994 tre cittadini presentarono alla Camera un ricorso per far dichiarare ineleggibile l'allora presidente del Consiglio: Berlusconi non sarà più il "rappresentante legale" della sua impresa, sostenevano i ricorrenti, ma detiene comunque "in proprio" la maggioranza delle azioni.

Questa argomentazione venne però respinta con voto quasi unanime dai membri dell'apposito Comitato per l'ineleggibilità e le incompatibilità di Montecitorio, compresi quasi tutti gli esponenti della sinistra. L'espressione "in proprio", replicò l'organismo parlamentare, deve intendersi come "in nome proprio" e non può certo essere interpretata estensivamente in una materia come questa, che riguarda il diritto fondamentale dei cittadini di presentarsi alle elezioni. Un reclamo dello stesso tenore fu ugualmente bocciato nel 1996, all'inizio della presente legislatura.

Da un punto di vista formale, insomma, Berlusconi sembra essere in una botte di ferro, anche se la soluzione da lui adottata può essere discussa sotto il profilo sostanziale. D'altronde già in passato il Cavaliere aveva aggirato in maniera analoga, attraverso la cessione della proprietà del "Giornale" al fratello Paolo, il divieto, stabilito dalla legge Mammì, di controllare contemporaneamente più reti televisive e un quotidiano nazionale.

Per far valere l'ineleggibilità del leader di Forza Italia ci vuole quindi un nuovo provvedimento, che modifichi il decreto del 1957, come suggeriscono appunto i tre autorevoli studiosi di cui sopra. A farsi portatore di questa istanza in Parlamento è stato il deputato Elio Veltri dei Democratici, che ha presentato un apposito progetto di legge per estendere l'ineleggibilità a chi sia semplice controllore di una società titolare di concessioni statali.

Se la proposta passasse, Berlusconi non potrebbe più essere eletto parlamentare, anche se potrebbe continuare a guidare Forza Italia dall'esterno delle Camere. Ma soprattutto potrebbe gridare alla persecuzione, potrebbe dire che i suoi avversari politici hanno approvato una legge "ad personam", recante il nome e il cognome del destinatario, fatta apposta per tenerlo fuori da Montecitorio. Ed è palese che, in un'eventualità del genere, ogni ipotesi di accordo tra maggioranza e opposizione sulle riforme istituzionali andrebbe a farsi benedire.

 

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