Turismo procreativo in
vista. Basta dare un'occhiata alle regole vigenti nei maggiori paesi europei in fatto di
fecondazione assistita per rendersi conto che, se in Italia diventasse legge il testo
restrittivo ora all'esame del Senato, i "viaggi della speranza" all'estero per
avere un figlio, pratica già oggi piuttosto diffusa, riceverebbero un poderoso impulso.
Non vi è infatti alcuno Stato membro dell'Unione che vieti la
fecondazione eterologa, ammessa ovunque per le coppie sposate. Perfino in Germania, dove
esiste una normativa molto severa a tutela degli embrioni, essa non rientra fra le
pratiche penalmente punibili nell'ambito della procreazione assistita, come avverrebbe
invece in Italia se il testo votato a Montecitorio divenisse legge dello Stato.
Alcuni paesi consentono di generare "figli in provetta" solo
nell'ambito del matrimonio. Ma in Francia possono farlo anche le coppie conviventi da
almeno due anni e consenzienti in via preventiva. In Austria la procreazione assistita è
lecita all'interno di un rapporto di convivenza analogo al matrimonio. E in Svezia può
ricorrere all'inseminazione artificiale una donna sposata convivente "more
uxorio", con il consenso del suo compagno.
La legislazione più liberale è senza dubbio quella britannica, ma non
scherza nemmeno la pur cattolicissima Spagna. Nel regno di Juan Carlos l'accesso alle
tecniche di riproduzione assistita è consentito a tutte le donne maggiorenni, senza
distinzioni, purché in buona salute psicofisica e debitamente informate. Nel regno di
Elisabetta II i medesimi trattamenti possono essere effettuati su qualunque persona adulta
di sesso femminile, ma si deve tener conto del benessere del futuro bambino. Sia in Gran
Bretagna sia in Spagna è prevista altresì, con determinati limiti, l'inseminazione
post-mortem, con i gameti di un soggetto deceduto, vietata nel resto d'Europa. Soltanto il
Regno Unito, invece, si spinge fino al punto di ammettere, su autorizzazione, la
produzione di embrioni a scopi di ricerca.