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Manifesto per una bioetica laica

Cinzia Caporale, Armando Massarenti, Angelo M. Petroni, Stefano Rodotà


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Manifesto per una bioetica laica

 

Questo documento è stato pubblicato originariamente sul Sole 24 Ore (www.ilsole24ore.it) del 1 marzo 1998. Lo riproponiamo perchè i contenuti sono ancora attuali

I progressi scientifici e tecnologici nel campo della procreazione umana hanno aperto allo stesso tempo orizzonti di possibilità e problemi etici e politici di rilevanza straordinaria. Di fronte ad essi, riteniamo che sia un dovere di chi aderisce ad una visione laica — che non significa anti-religiosa, ma semmai anti-dogmatica — proporre alla pubblica discussione principi ed applicazioni che possano essere un punto di riferimento nelle decisioni che i cittadini, come singoli, come società civile e come società politica, saranno chiamati a prendere.

La maniera in cui la procreazione assistita verrà recepita nelle nostre società avrà delle conseguenze profonde, simboliche e fattuali, non soltanto in relazione al problema specifico, ma anche in rapporto a tutta la problematica dei "nuovi diritti", ovvero di quei diritti che sono tipici delle società tecnologiche, e che non possono essere ricompresi né nei diritti "negativi" né nei diritti "sociali" affermatisi negli ultimi due secoli.

 

Nuove opportunità, nuove paure

Nel campo della procreazione assistita, i valori fondamentali che guidano la visione laica sono quelli dell’autonomia degli individui, della loro responsabilità nei confronti degli altri individui e delle generazioni future, e dell’equità nello stabilimento delle politiche pubbliche.

Noi reputiamo che le tecnologie riproduttive già attualmente disponibili costituiscano una opportunità formidabile per un numero grandissimo di individui. Esse permettono, sia pure con disagi e costi personali e sociali non indifferenti, di poter realizzare uno dei fondamentali desideri e facoltà umane, quello della maternità e della paternità, anche là dove le condizioni materiali ed oggettive altrimenti lo impedirebbero.

Per i laici il confine tra quel che è "naturale" e quel che non lo è dipende dai valori e dalle decisioni degli uomini. Nulla è più culturale dell’idea di natura. Per questa ragione noi non reputiamo che la procreazione assistita debba venire interamente ricompresa nel concetto di "terapia medica": l’idea stessa di terapia, infatti, presuppone che vi sia una deviazione rispetto a qualcosa che è ritenuto "naturale".

In realtà, sebbene sia vero che per la grande maggioranza degli individui il ricorso alla procreazione assistita è una scelta conseguente alla impossibilità di avere figli attraverso i normali rapporti sessuali, non è necessariamente vero che chiunque scelga la procreazione assistita lo faccia per queste stesse ragioni. La scelta per la procreazione assistita deve venire riconosciuta come l’esercizio di un diritto, e non deve trasformare chi la fa in un "malato", al quale un trattamento viene accordato o rifiutato in base a decisioni prese con la logica della terapia medica.

La logica della terapia medica sottintende un giudizio morale negativo nei confronti della procreazione assistita. Il risultato inevitabile di questa visione è che non soltanto si impongono dei costi di tipo morale a coloro che decidono di ricorrervi, ma si proietta una connotazione negativa sui bambini che nascono grazie ad essa. Quest’ultima è una condizione che è inaccettabile da parte di chiunque reputi che le persone abbiano valore per la loro individualità, e non per il modo in cui sono venute al mondo.

Per lo stesso principio, noi reputiamo che sia inaccettabile una regolamentazione della procreazione assistita che privilegi, de iure o de facto, un certo modello di famiglia rispetto ad altri. Questo significherebbe non prendere atto che, nelle nostre società, il modello "tradizionale" di famiglia non è più universalmente dominante, e che le decisioni degli individui, insieme all’evoluzione dei rapporti sociali ed economici, hanno portato all’emergenza di molte forme diverse, che meritano eguale rispetto.

La riproduzione è una delle sfere essenziali di esercizio dell’autonomia umana, delle decisioni che ognuno prende per sé in libero accordo con altri individui. Il ricorso a tecnologie di riproduzione assistita deve venire inquadrato in questa fondamentale realtà, che è insieme antropologica e propria della civiltà giuridica delle società avanzate.

Come per ogni altro aspetto della realtà sociale, l’autonomia individuale deve venire esercitata in modi e limiti che permettano la compatibilità tra le azioni di tutti i cittadini, ed il rispetto dei diritti di tutti i cittadini, a partire dai più deboli di essi, tra i quali vi sono evidentemente i nuovi nati.

 

 Sfera personale e sfera pubblica

Il principio delle società liberali considera le istituzioni pubbliche come garanzia di libertà ed equità. Il primato del pubblico sul privato coincide col primato delle regole che garantiscono i diritti universali. Questa visione è alternativa rispetto ad ogni visione organicistica, che vede i cittadini come dei minori che devono essere posti sotto tutela da parte delle istituzioni pubbliche. Ed è alternativa con ogni visione che estende il principio delle decisioni politiche maggioritarie ad ogni aspetto della vita dei cittadini. La salvaguardia dei diritti, infatti, viene prima del principio maggioritario.

Anche nel caso della procreazione assistita, il principio delle società laiche e liberaldemocratiche equivale ad affermare che la regolamentazione in questo campo non deve essere il risultato del prevalere delle convinzioni morali espresse da una maggioranza politica. Né la democrazia rappresentativa, né il sistema delle libertà costituzionali potrebbero esistere se l’ambito del diritto non fosse più ristretto di quello delle morali riconosciute e praticate in una data società. La differenza essenziale è che le morali prescrivono comportamenti specifici a coloro che vi aderiscono, e vietano tutta una serie di comportamenti in quanto contrari a certi principi. Diversamente, la funzione primaria del diritto è quella di evitare quei comportamenti che recano un danno certo od altamente probabile ad altri individui specifici o alla società nel suo complesso.

In campo bioetico questa differenza ha delle conseguenze di grande portata. Proprio perché noi viviamo in società pluralistiche, dove non vi è una unica morale, ogni tentativo di costruire i principi giuridici sulla base delle norme di una singola morale sarebbe in contrasto con la democrazia liberale. Questo vale indipendentemente dal fatto che una qualche morale possa essere prevalente o comunque più largamente diffusa di altre, perché i diritti delle persone non sono meno violati per il fatto che venga loro imposto autoritativamente quello che esse accetterebbero volontariamente.

Noi reputiamo che la legislazione sulla procreazione assistita debba rispettare i principi dell’autonomia, e non debba essere il risultato del prevalere di maggioranze politiche "trasversali" che convergono nella volontà di affermare — qualunque essa sia — una certa visione morale particolare.

 

Certezza del diritto, informazione

La procreazione assistita pone dei problemi che le regole giuridiche tradizionali non sono in grado di trattare. Vi è quindi bisogno di regole nuove, che siano il risultato dell’estensione dei principi giuridici condivisi ad una realtà completamente nuova. Le nuove regole dovranno assicurare che l’orizzonte delle possibilità tecnologiche venga sempre ricompreso dentro il principio fondamentale della certezza del diritto.

Coloro che vorranno ricorrere alla procreazione assistita dovranno essere sempre messi in grado di conoscere le conseguenze delle loro decisioni sul piano delle loro responsabilità verso i figli generati, verso gli eventuali coniugi o conviventi, e verso la società. Questo implicherà verosimilmente un mutamento delle norme che definiscono la natura della paternità/maternità e della famiglia, anche in una direzione di non discriminazione sulla base del sesso. Noi reputiamo che questa evoluzione sia assolutamente necessaria, e che sarebbe un grave errore se, sotto la spinta di specifiche morali di stampo religioso, si finisse per lasciare vuoti e incertezze normative in presenza delle quali la procreazione assistita perderebbe parte importante della sua possibilità di aumentare le "chances" di vita di tutti.

Allo stesso tempo riteniamo che un ruolo centrale debba venire attribuito alla nozione di "consenso informato", perché senza di esso i diritti degli individui che accedono alla procreazione assistita rischiano di essere dei diritti meramente formali. Più in generale, la diffusione di una informazione corretta sulle possibilità e sulle conseguenze — per genitori e nascituri — della procreazione assistita ha una funzione essenziale affinché i cittadini siano messi nella condizione di poter scegliere consapevolmente se farvi ricorso o non farvi ricorso. Dare o non dare questa informazione da parte delle istituzioni pubbliche e private non è una scelta neutrale ma ha un valore costituzionale e morale di primaria importanza.

La necessità di evitare danni certi o altamente probabili nei confronti di individui specifici o della società nel suo complesso è particolarmente rilevante quando si tratta di ambiti, come la procreazione assistita, in cui vengono applicate nuove conoscenze e nuove tecnologie di grandi potenzialità ma delle quali solo una parte delle conseguenze sono note. La semplice applicazione di un principio di "utilitarismo negativo", che impone di minimizzare le sofferenze umane, giustifica quindi la necessità di norme giuridiche che pongano limiti all’orizzonte delle possibilità tecnologiche.

Questo significa che le norme giuridiche dovranno verosimilmente comportare dei limiti alla selezione dei gameti e degli embrioni, come pure dei limiti agli interventi di ingegneria genetica. Ma le ragioni di tali limiti non stanno nell’affermazione di un principio astratto di "sacralità della vita", che come tale — si pensi alla questione dello statuto etico e ontologico dell’embrione — è riconosciuto soltanto da alcune visioni morali, ma nella necessità di evitare conseguenze negative per la società. Questi limiti dunque non dovranno estendersi sino alla proibizione di qualsiasi intervento di tipo genetico, ma soltanto di quegli interventi che possono risultare in conseguenze negative inaccettabili, quali la discriminazione tra individui su base biologica.

 

Il problema economico

E' verosimile che la dimensione economica della procreazione assistita assumerà un ruolo determinante per la possibilità che essa diventi una opzione reale per tutti i cittadini che lo desiderino. Come in ogni altro aspetto della realtà sociale, anche qui il problema economico dipende dal fatto che bisogni e desideri eccedono le risorse di cui come singoli e come collettività si dispone. Si pone quindi il problema della loro utilizzazione razionale.

L’evidenza empirica ha provato a sufficienza che l’iniziativa privata, sottoposta alle regole del diritto, porta alla utilizzazione efficiente delle risorse, in modo che il loro consumo da parte di ognuno ne lasci la maggior quantità a disposizione degli altri. Ma l’iniziativa privata è in grado di massimizzare il benessere di ognuno, e quindi quello di tutti, soltanto quando esista un sistema di diritti riconosciuti, e quando ogni individuo disponga di una sufficiente quantità di risorse economiche che gli permetta di accedere allo scambio. Queste due condizioni sono particolarmente importanti nel caso della procreazione assistita.

Per quanto riguarda la prima condizione, l’iniziativa privata è in grado di fornire prestazioni che rispettano le preferenze individuali ed insieme le esigenze complessive della società a condizione che vi sia una chiara definizione di quali sono i diritti di ogni individuo, diritti che stabiliscono tanto la sfera di quello che gli è lecito fare quanto la sfera di quello che gli è vietato perché reca un danno agli altri. Queste due sfere fissano così anche le possibilità ed i limiti dell’iniziativa privata in questo dominio.

Per quanto riguarda la seconda condizione, essa si deve tradurre in politiche pubbliche che mettano tutti i cittadini nella condizione di avere un effettivo accesso ad un livello adeguato di prestazioni. Questo obbiettivo giustifica la presenza della mano pubblica nella gestione diretta della procreazione assistita, ma giustifica anche sistemi diversi, con una redistribuzione diretta di risorse ai cittadini meno fortunati, che li metta in condizione di scegliere, se lo desiderano, le prestazioni fornite dall’iniziativa privata.

Il principio generale che deve quindi ispirare le politiche pubbliche è anche qui quello di aumentare le "chances di vita" di tutti i cittadini. La forte tendenza al decremento demografico e all’invecchiamento della popolazione rende giustificabile da parte dello Stato la destinazione di risorse pubbliche volte ad aumentare la natalità anche attraverso la procreazione assistita, in strutture pubbliche e private. Quel che si deve invece evitare è che l’ideale illiberale di uno "Stato etico" si affermi surrettiziamente attraverso l’implementazione di politiche pubbliche che di fatto rendono obbligate le scelte di coloro che non hanno mezzi economici in abbondanza.

 

Conclusione: dialogo e conflitti

 

La visione laica non vuole essere una versione secolarizzata delle etiche religiose onnicomprensive. Non vuole imporsi a coloro che aderiscono a valori e visioni differenti, ma si basa sulla realtà essenzialmente pluralista delle nostre società. E' essa stessa pluralista al suo interno, perché dall’accordo sui principi non segue automaticamente l’accordo sulle soluzioni ad ogni singola questione. Non ricerca il conflitto, ma — al contrario — ritiene essenziale per la civile convivenza che si faccia ogni sforzo per trovare dei principi che possono essere condivisi da credenti e non credenti. Tuttavia, in presenza di conflitti reali, non ne nasconde l’esistenza né cerca di proporre soluzioni fittizie. Vi sono casi in cui i conflitti si possono comporre. Altri in cui bisogna prendere atto della loro irriducibilità.

Anche nel campo della procreazione assistita, come in ogni altra situazione che abbia implicazioni morali, l’atteggiamento laico è quello di trovare soluzioni che rispettino quanto più possibile le convinzioni di chi ha valori diversi. Proprio per questo noi reputiamo che si debbano incentivare, tanto con l’azione pubblica che privata, una ricerca ed una tecnologia che minimizzino i problemi morali che nel campo della procreazione assistita si pongono a credenti e non credenti. Talvolta infatti è proprio il tanto demonizzato "progresso tecnologico" a permettere di risolvere (o dissolvere) i problemi morali.

Noi reputiamo che questa visione laica possa costituire una base al tempo stesso chiara, ragionevole e non pregiudizialmente conflittuale, per una discussione pubblica ispirata ai principi democratici e pluralisti. Siamo aperti al dialogo proprio perché siamo razionalmente persuasi che soltanto dal dialogo possano derivare decisioni adeguate alla straordinaria complessità e alle straordinarie potenzialità della società moderna.

 

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