Questa lettera è stata pubblicata su La
Repubblica (www.repubblica.it) del 6 luglio
Una giovane donna è costretta a ricorrere alle cure di uno psichiatra, segue tutta la
terapia, ma, all'ultima seduta, lui la molesta. Ancora sotto choc, incredula, prende carta
e penna e denuncia, sul nostro giornale, quanto ha dovuto subire. Abbiamo avuto qualche
esitazione, ma alla fine abbiamo deciso di pubblicare quella lettera, sperando, per dirla
con le stesse parole dell'autrice, che quelle poche righe "potessero arrivare alla
coscienza di quei medici che non hanno il diritto di definirsi tali" nel momento in
cui tradiscono chi a loro si affida con totale fiducia. Non si dica che quella paziente
avrebbe fatto meglio a rivolgersi a un avvocato anziché a un giornale. Il caso non può
venir liquidato con una battuta e, per quanto risulta anche da altre testimonianze, appare
del tutto verosimile, non sembra così eccezionale.

Si pensi del resto a quale particolare relazione di potere si stabilisce sempre tra un
medico, quale che sia la sua specialità e il paziente. Tra i due, tra il medico e il/la
paziente esiste, fin dal momento in cui questi entra nello studio o nell'ambulatorio, un
rapporto particolare, tutto squilibrato a favore del primo. E' lui che detiene la
capacità o il potere, che all'altro appaiono del tutto eccezionali, di individuare una
malattia, curarla e guarirla. Lui è il più forte, può salvare o condannare. L'altro non
sa, non gli resta che eseguire, che obbedire. Il buon medico è perfettamente cosciente
del rapporto squilibrato, a suo vantaggio, che si determina nel corso di una normale
visita, di una diagnosi e poi di una cura, e cerca di mettere a suo agio il paziente,
prima ascoltandolo con attenzione, poi informandolo di ciò che intende fare e chiedendone
la collaborazione. Tende cioè a riequilibrare quel rapporto, sapendo che la
collaborazione e la fiducia del paziente sono essenziali non solo dal punto di vista
etico, ma anche ai fini della guarigione.
Tutto questo vale per qualsiasi medico e qualsiasi paziente, ma vale in modo
particolare quando il medico sia un uomo e chi gli si rivolge sia una donna. Perché in
questo caso l'asimmetria è ancora più grave, in quanto la paziente percepisce più o
meno lucidamente che l'altro, cui lei si affida, ha due volte più potere di lei, in primo
luogo in quanto medico e in secondo luogo in quanto uomo. (E' per questo, del resto, che
ormai moltissime donne preferiscono rivolgersi a donne-medico con le quali sia possibile
stabilire un rapporto più sereno e paritario, nel quale non entri in gioco un potere
maschile, esercitato o anche solo sospettato).
Ma questa preoccupazione nello stabilire una relazione il più possibile serena tra
medico e paziente dovrebbe valere in modo del tutto particolare quando ciò che duole non
è un dente, o il fegato, o il femore, ma qualcosa di più delicato e imperscrutabile,
quando cioè il paziente denuncia dei disturbi del comportamento, quando insomma si
rivolge allo psicologo, allo psicoterapeuta, o allo psichiatra. La lettera di Barbara M.
si riferiva proprio a questo caso, a un medico cioè che aveva seguito per mesi la sua
vita interiore, al quale lei aveva raccontato incubi e sogni, angosce notturne e traumi
infantili, e che, all'improvviso, si trasforma, esce dal suo ruolo di medico e tenta
brutalmente di sedurla.

Così Barbara viene ridotta a puro corpo, a corpo docile, a corpo da piegare e usare,
senza rispetto alcuno per la sua persona né per il disagio o la malattia che aveva
confidato al medico cercando una via di uscita e di salvezza. Poco importa il fatto che
Barbara abbia reagito alle volgari avances del suo analista. Resta il fatto che ne è
stata profondamente ferita, e la lettera che ci ha inviato rappresenta, probabilmente,
anche il tentativo di liberarsi, parlandone, dall' umiliazione che le è stata inflitta.
Anche per questo noi, sia pure dopo qualche esitazione, abbiamo deciso di pubblicarla. Per
dire a chi l'ha scritta che il suo messaggio è giunto a destinazione, e che ci auguriamo
venga ascoltato soprattutto da coloro che operano nel settore, riconducendoli alla
coscienza della necessità di una maggiore correttezza di rapporti tra medico e paziente
fino, quando opportuno, all'adozione delle necessarie sanzioni nei confronti di chi ignora
norme basilari della deontologia professionale.
Il rapporto tra le donne e la medicina è un rapporto ambiguo, quasi mai soddisfacente.
Non parliamo solo dei casi come quelli vissuti dalla nostra lettrice, che ci auguriamo non
frequenti, ma che pensiamo dovrebbero essere tutti denunciati. Parliamo anche dei casi,
frequentissimi, di donne che lamentano di essere poco ascoltate dai medici, trattate,
specie quando anziane, da "malate immaginarie". Forse per questo si reclutano
soprattutto tra le donne la maggioranza dei seguaci della cosidetta medicina alternativa.
Un fenomeno che chi scrive non ritiene positivo né per la medicina né per le donne che
hanno bisogno di attenzione e di cura.