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Silvio scegli: la politica o le televisioni

Giovanni Sartori

 

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Questo articolo è stato pubblicato sul Corriere della sera (www.corriere.it) del 6 luglio

Scrivendo mercoledì scorso sul problema di cosa è incompatibile con cosa (sissignori, questo è il problema) mi aspettavo di agitare molte acque. Difatti molte acque si sono agitate, ma tutte o quasi tutte agitando fanfaluche (dal greco "bolle d'aria" e poi, nell'uso comune, ciancie, fole, stupidate).

Comincio dal ministro diessino Piero Fassino, che alla domanda: "Per fermare Berlusconi c'è chi propone di insistere sul conflitto di interessi", risponde su queste colonne (il 2/7/1999) così: "Il tema esiste. Ma bisogna evitare di farlo emergere ciclicamente in modo strumentale". Ben detto. Ma da dire al suo partito. Perché è la Quercia che ha strumentalizzato a intermittenza la questione in modo cinico e baro. Io non c'entro. Io non sono ciclico ma costante. Che Berlusconi violi le regole della competizione politica lo sostengo da sempre. Sono tornato sull'argomento il 30 giugno perché era il giorno nel quale il tema tornava alla Commissione Affari Costituzionali del Senato. A me risulta che la questione era iscritta nel calendario dei lavori del Senato sin dal 1998, e che la data in questione venne decisa prima del cattivo esito (per le sinistre) delle amministrative. E in ogni caso ci vuole parecchia malafede per accusarmi di essere al servizio della "vendetta della sinistra". Chi scrive di me dovrebbe sapere che io non sono né di sinistra né di destra. Sono invece uno strano animale che viaggia, a torto o a ragione, con la sua testa. Non sono schierato e non appartengo a nessuna combriccola. Tantovero che le mie battaglie le perdo tutte (o quasi).

Le accuse più circostanziate mi vengono, vedi caso, dal quotidiano "Il Giornale" a firma di due persone che stimo e che ben conosco; prima da Sergio Ricossa, e l'indomani da Egidio Sterpa. Per Sterpa la mia sarebbe la "metamorfosi di un politologo liberale". Tengo subito a rassicurarlo. Se D'Alema si facesse assegnare delle frequenze televisive io strillerei a pieni polmoni. Ma Sterpa arriva addirittura a sostenere che la democrazia che io sponsorizzo "è quella dell'antiproprietà. Per far politica, cioè, bisogna essere assolutamente impossidenti". Questa poi. Questa è proprio cervellotica. Sterpa ha mai sentito parlare di anti-trust? Chi attende a ridurre le proprietà smodate (monopolistiche) è semmai quel signore (l'anti-trust). Io no di certo.

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Per me Berlusconi si può tenere tutte le migliaia di miliardi che vuole; ma in tal caso se ne dovrebbe contentare. E nel sostenere questa tesi io sono il più "liberale" di tutti. A mio avviso l'incompatibilità si pone a livello di cariche di governo e di effettivo esercizio di potere, non prima, non a livelli innocui. Anche se Sterpa fosse ricco sfondato io ne approverei il ritorno in Parlamento. Alla stessa stregua non ho protestato (anche se con mia meraviglia Ricossa se ne meraviglia) per l'elezione a suo tempo di Umberto Agnelli né tantomeno per la nomina dell'Avvocato, di Giovanni Agnelli, a senatore a vita. Ma certo pianterei una grana se un Agnelli diventasse ministro dell'Industria o capo del governo. Qui il conflitto di interessi ci sarebbe.

Vengo a Ricossa, bravissimo economista e anche bravissimo uomo di penna. La sua accusa di fondo è che io sarei un perfezionista. Scrive: "Ha ragione Sartori, la democrazia italiana ha regole sleali"; ma subito soggiunge: "L'eguaglianza è un'utopia ridicola quando non è un'utopia pericolosa". Concordo senza riserve con la sua prima asserzione, e posso convenire con riserve anche con la seconda. Ma dalla premessa che in realtà l'eguaglianza non c'è mai, non ricavo la conclusione che allora bisogna gridare "viva la disuguaglianza". Analogamente, anche se è vero che la legge non è mai del tutto eguale per tutti, non ne consegue che dovremmo chiedere leggi diseguali. E quindi insisto nel chiedere regole eguali per chicchessia. Che è il punto che tutti i miei contraddittori evadono con cura.

Nessuno mi prende di petto, infatti, sulla tesi che il conflitto di interessi e la incompatibilità mettono in gioco regole del gioco e, t ra queste, la regola che a nessuno può essere consentito di usare il suo potere pubblico per promuovere il suo potere privato, e viceversa. Vero? Falso? Sul punto nessuno fiata. Tutti divagano e menano il can per l'aia girando il discorso su un processo alle mie intenzioni e ricorrendo agli attacchi personali. In logica questo modo di argomentare si chiama "ad hominem" e appartiene all'elenco dei sofismi, delle false prove. Per esempio, hai torto perché sei brutto. Sarò brutto; ma ho torto?

Scendendo per li rami, noto che in quasi tutte le critiche che mi piovono addosso (ivi includendo quelle del popolo dei fax) ricorre una stessa parola d'ordine. Questa: che la mia critica all'ineguale potere propagandistico di Berlusconi "insulta" l'intelligenza popolare, perché è "offensivo" supporre che l'intelligenza popolare si lasci ingannare dalla propaganda televisiva. Ora il mio punto sull'annebbiamento delle menti era soltanto sul problema specifico del conflitto d'interessi. Su tutte le altre questioni può anche darsi che gli italiani siano i televedenti più intelligenti e più scaltriti del mondo. In questo non sono entrato. Ma il fatto che il ritornello dell'insulto mi venga cantato un po' da tutti mi conferma nel sospetto che i Berlusconofili siano davvero vittime di un lavaggio del cervello. Per essere condivisa una scempiaggine postula una centrale che la diffonda.

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Fanfaluche a parte, quale è stata in concreto l'efficacia nelle elezioni europee degli spot del Cavaliere? Non importa che io lo stabilisca. A me basta constatare che in quell'efficacia Berlusconi crede, visto che di spot lui ne ha fatti a valanga e che ora promette una guerra all'ultimo sangue a chi li vorrebbe disciplinare. E per dimostrare che io non sono fazioso tengo a dirlo esplicitamente: ritengo che in materia il Cavaliere abbia ragione. Di questo lui s'intende davvero. Non è, ovviamente, che gli italiani lo votino per via degli spot. E', in generale, che controllare una buona metà degli strumenti di persuasione di massa gli fa comodo, parecchio comodo.

Arrivo così all'onorevole Frattini che in nome e per conto di Forza Italia arriva addirittura a sostenere che la mia tesi costituirebbe una "violazione della Costituzione", dal momento che "la Costituzione garantisce il rispetto della proprietà privata e non vieta a nessuno di diventare presidente del Consiglio se è proprietario di aziende". Inutile che risponda io. Risponderà, se il caso si darà, la Corte Costituzionale. Vorrei però aiutare l'onorevole Frattini a impostare meglio la sua arringa al Palazzo della Consulta. Perché il problema è di incompatibilità, non di proprietà. Berlusconi come proprietario privato non viene minimamente violato. Ma se vuol essere presidente del Consiglio, allora si deve rendere compatibile (e gli basta cambiare investimento). Inoltre la questione non verte sulla proprietà di aziende, e quindi sulla Fininvest in generale, ma specificamente su Mediaset, e cioè un'attività che si svolge in regime di concessione da parte dell'amministrazione dello Stato.

Per concludere ricordo che sin dal 1957 esiste una legge (per l'esattezza il D.P.R. 30 marzo 1957 n. 361, che rinvia a sua volta al Testo Unico del 5 febbraio 1948, n. 26, art. 8) che stabilisce la ineleggibilità per ragioni di incompatibilità. Il problema che fa scrivere a "Panorama" che io incito ad "annientare con mezzucci l'avversario politico" è dunque un problema già affrontato da più di cinquant'anni. Resta da chiedere come mai la legge del 1948-1957 sia restata lettera morta. L'ovvia risposta è che fatta la legge si è lestamente trovato il cavillo per renderla inoperante. Così, per esempio, nel caso di Mediaset l'incompatibile risulta Confalonieri e non Berlusconi. Risum teneatis, tenetevi dal troppo ridere. Eppure basterebbe pochissimo per eliminare quel cavillo. Basterebbe approvare la modifica proposta dall'onorevole Elio Veltri alla I Commissione Affari Costituzionali in data 4/3/99 che porta il numero 5774: una modifica che precisa che l'ineleggibilità non è posta dalla titolarità ma dal controllo di un'impresa. Sarebbe anche questa, onorevole Frattini, una violazione della Costituzione?

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