Laura Toscano e', insieme
al marito Franco Marotta, l'autrice di Commesse, uno dei due serial televisivi di fiction
nazionale accusati da L'Avvenire di "superficialita' antropologica e incoscienza
etica" per aver rappresentato non gia' la famiglia italiana "regolare" ma
personaggi che al vincolo coniugale hanno sostituito una "totale indifferenza in
campo sessuale": nel caso di Commesse, un gay e l'amante di un uomo sposato -- la
"rovinafamiglie", come si autodefiniva la Roberta del serial.
Sul numero di Reset di luglio-agosto verra' pubblicata una lunga
intervista nella quale la sceneggiatrice parla delle responsabilita' della televisione nei
confronti del pubblico e della nuova importanza della fiction nazionale.
Caffe' Europa ha chiesto a Toscano di commentare nello specifico
l'articolo dell'Avvenire.
Che effetto le fanno le accuse del quotidiano cattolico?
In corso d'opera abbiamo ricevuto molte critiche, per esempio quelle di
Alleanza Nazionale che riguardavano Romeo, il personaggio omosessuale, e le abbiamo sempre
accettate, anche quando non le condividevamo. A caldo, anche l'articolo dell'Avvenire
avrebbe avuto un senso diverso. Ma cosi', a distanza di un mese e mezzo dalla messa in
onda di Commesse, assume un significato ben piu' grave, che definirei pesantemente
censorio, perche' va a toccare un argomento che ci coinvolge tutti, cioe' quello della
liberta' di scelta dei contenuti. E la liberta' di espressione, in un Paese democratico e
civile, dovrebbe essere tutelata ad ogni costo.
Mio marito ed io abbiamo la coscienza a posto: in Commesse non abbiamo
fatto altro che descrivere una realta' che non si puo' ignorare. Tra l'altro l'aspirazione
di fondo di tutti i personaggi, pur attraverso i loro contrasti, era proprio il
raggiungimento della "normalita'", intesa come serenita'. Per noi sarebbe dunque
piu' difficile rispondere alla critica opposta, quella cioe' di trasmettere un messaggio
troppo poco veritiero, perche' quella normalita', ai nostri personaggi, gliela facciamo
raggiungere troppo spesso.

L'Avvenire afferma che i personaggi piu' controversi di Commesse
rappresentano una minoranza, ma viene dato loro uno spazio sproporzionato rispetto a
quello che possiedono nella societa' reale.
L'articolo dell'Avvenire cita addirittura delle percentuali, come
se si trattasse di una questione puramente numerica. Ma io mi batto anche per un uomo
solo, se ha dei diritti da salvaguardare. E ricordo che siamo appena usciti da una guerra
per difendere due milioni di kosovari contro 10 milioni di serbi. Rispetto alla
maggioranza "silenziosa e normale" di cui parla L'Avvenire, che vive una
presunta serenita', il 2% della popolazione citato dal quotidiano ha dei problemi in piu',
e mi stupisce che un organo di stampa cattolico contraddica lo spirito cristiano che
invita alla tolleranza, a non emarginare, a non trattare il prossimo come diverso.
Perche' avete dato grande spazio ai personaggi di Roberta e Romeo,
l'omosessuale e la "rovinafamiglie"?
In realta' in Commesse abbiamo dato altrettanto spazio a una donna
tradizionale come Marta, il personaggio interpretato da Sabrina Ferilli, che era moglie e
madre in modo quasi antico, o a Fiorenza, che viveva in casa con i genitori. Romeo e
Roberta rappresentavano pero' la diversita', la sofferenza, i contrasti, le ombre, che
sono le cose che a un autore interessano di piu', fin dai tempi della tragedia greca. La
felicita' e' di per se' appagante, non ha bisogno di essere raccontata, le famiglie felici
hanno gia' vinto: che si puo' dire di loro? Preferiamo parlare delle famiglie che vivono
disagi e irrequietezze: separazioni, aborti, relazioni extraconiugali. L'omosessualita',
il tradimento sono situazioni umane comunissime, sotto gli occhi di tutti: pazienza se non
rientrano nella "normalita'".
L'articolo dell'Avvenire afferma che la rappresentazione di certi
personaggi sia "il frutto delle scelte culturali, delle idee sul mondo o dei
pregiudizi di chi prepara questi racconti per le masse". E' d'accordo?
Certamente. Ognuno e' portatore della propria cultura, del proprio modo
di pensare. Se vogliono una fiction come piace a loro, la facciano scrivere da una
sceneggiatrice di Comunione e Liberazione. Faccio pero' presente che il cattolicesimo
accetta che si parli del peccato, e non dice che ci sono storie che non si possono
raccontare. Altrimenti si crea un clima da Santa Inquisizione.
L'Avvenire ha accusato Commesse di diffondere modelli discutibili. Che
ne pensa?
L'equivoco di fondo e' che la fiction debba essere pedagogica. Non
ho alcuna velleita' pedagogica, non mi sento maestra di nessuno, e non ho intenzione di
proporre modelli di comportamento. Mi limito a raccontare le storie che secondo me, dal mio
punto di vista, vale la pena raccontare. In Commesse ho parlato di coppie gay
semplicemente perche' esistono, e ho raccontato la loro aspirazione ad adottare bambini
senza per questo avere la presunzione di sanzionare se sia lecito o meno. Non ne sarei in
grado, non e' il mio mestiere: per questo bisogna rivolgersi a psicologi e sociologi.
Resto pero' convinta che si debba allargare il campo, non restringerlo, guardando alla
diversita' con simpatia e benevolenza.
Secondo L'Avvenire, questo la rende colpevole di "incoscienza
etica".
Apparentemente, chi esce dalle regole commette peccato mortale. Ma
io rifiuto l'etichetta di peccatrice. E' un'accusa molto pesante, dalla quale peraltro non
mi faro' in alcun modo influenzare, a meno che non mi costringano a farlo. Certo,
l'articolo dell'Avvenire suona come un campanello d'allarme, perche' rappresenta l'uscita
allo scoperto di quella censura strisciante che finora si era manifestata solo in maniera
indiretta nei confronti di noi autori televisivi. Ma bisogna stare sul chi vive: nel '95
e' passata una legge che istituisce una forma di censura dei programmi televisivi, della
quale ora si sta discutendo la normativa di applicazione.
Cosa succederebbe se la censura sulla televisione pubblica prendesse
piede?
Saremmo costretti a rivolgerci alle televisioni private pur di
mantenere la nostra liberta' di espressione. Per questo sono felice che la RAI, nella
persona di Munafo', abbia risposto con molta fermezza all'articolo dell'Avvenire: e' una
presa di posizione netta, una linea tracciata da non oltrepassare. Per temperamento sono
contraria a qualsiasi tipo di censura imposta dall'altro e non dettata dal senso di
responsabilita' personale. Per scelta sto dalla parte dei perdenti e continuero' a
raccontarli, proprio perche' la "normalita'" mi interessa assai poco. Spero solo
che il governo faccia molta attenzione e arrivi a una soluzione ragionevole riguardo alla
regolamentazione dei contenuti televisivi, perche' altrimenti finiremo per raccontare una
realta' che non esiste. Il telegiornale mostrera' gli orrori e la brutalita' del nostro
vivere, e verra' seguito da una fiction gioiosa ed edulcorata dove tutto va sempre bene.
Il divario fra fiction e realta' diventera' sempre piu' grande, e la gente smettera' di
riconoscersi nei personaggi che raccontiamo. Se si dovesse arrivare a questo, credo
proprio che cambierei mestiere.