Polemica/I lati oscuri e le contraddizioni
dei serial italiani di successo Armando
Fumagalli*
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Polemica/I lati oscuri e le contraddizioni dei serial
italiani di successo
Questo articolo e' apparso mercoledi 23 giugno sul quotidiano
l'Avvenire (www.avvenire.it).
In onda storie irreali che fingono di esaltare la famiglia, ma di fatto
la negano Per gli autori le persone che fanno scelte cristiane sono "gente
strana" da ignorare
I prodotti della fiction televisiva nazionale che sono stati campioni
d'ascolto nella stagione appena conclusa sono un caso assai interessante di una profonda e
non risolta ambivalenza di valori. I due "campioni" delle categorie
"realistica" e "familiare", rispettivamente Commesse e Un medico in
famiglia - diversi per formato e concezione, ma accomunati da uno straordinario successo
di pubblico - ne sono un esempio paradigmatico.
Un medico in famiglia aveva senz'altro alcuni evidenti pregi: per
esempio quello di mettere in scena una famiglia molto unita al suo interno, affettivamente
forte, e che dialoga molto. Proprio attraverso il dialogo i protagonisti riescono a
risolvere gran parte dei loro problemi. Questo, accanto alla simpatia degli attori, alla
levità di tono dell'insieme, e a una buona capacità di scrittura degli autori è
senz'altro uno dei motivi principali del suo successo. C'è voglia di famiglia, e di una
famiglia serena e che dialoga, una famiglia dove nonostante tutto ci si vuole bene. Ma Un
medico in famiglia come molti altri prodotti televisivi analoghi soffre di una forte
contraddizione di fondo: mentre deve gran parte della sua attrattiva alla messa in scena
di questa unione, non esita a far approvare dai propri personaggi tutta una serie di
comportamenti che rispetto a questa unità della famiglia sono totalmente distruttivi,
fingendo però - è la possibilità di irrealtà della messa in scena - che tali
comportamenti siano assolutamente ininfluenti sul resto dell'esistenza. Così, per
esempio, la nonna è buona e dolce con i nipotini, ma al primo traballamento matrimoniale
chiede il divorzio e si getta in nuove avventure sentimentali. Il padre tanto buono e
tanto caro passa da un innamoramento all'altro... Ma la lista potrebbe essere ben più
lunga.
Abbiamo, in altre parole, la rappresentazione di personaggi che sono
antropologicamente irreali, perché il loro comportamento in un campo fa a pugni con
quello negli altri. Però si illude che tutto ciò sia possibile. La carica illusoria di
programmi come questi è tanto più forte quanto più, esteriormente, sono lindi e
simpatici, e quindi, fra l'altro, fanno pensare ai genitori che possano essere
particolarmente adatti ai propri figli: una metà circa degli spettatori di Un medico in
famiglia era infatti costituita da minori, anche perché - per fortuna - il programma è
stato molto controllato sugli aspetti visivi, evitando di mettere in scena azioni che,
peraltro, raccontava con molta chiarezza.

Oggi tutta la fiction nazionale tende a proporre valori come la
tolleranza, il rispetto degli altri, la solidarietà, la comprensione verso i più deboli
(cfr l'interessante prima puntata di Commesse, con la delicata vicenda di un bambino
Down), valori su cui non si può che convenire e sulla cui diffusione crediamo che la
televisione abbia non pochi meriti. Ma le storie proposte quasi sempre coniugano tutto
questo con l'illusione che sia possibile una totale indifferenza in campo sessuale, dove
l'unico criterio sarebbe la pura preferenza del singolo, senza conseguenze, illudendo che
a dare senso e valore etico ai comportamenti sia il puro desiderio soggettivo.
Uno dei vertici negativi in questo senso è stata la quinta puntata di
Commesse tutta incentrata sul desiderio di un omosessuale di adottare una bambina. La
storia narrata - frutto a nostro parere di una summa di superficialità antropologica e di
incoscienza etica - era costruita in modo drammaturgicamente molto efficace: al pubblico
veniva sostanzialmente proposta l'alternativa costruita dal commesso omosessuale che aveva
trovato la bimba: "Meglio da me o in un cassonetto? Perché non vogliono che io
l'adotti se poi la buttano in un cassonetto?" É più che lampante l'artificiosità
di questa alternativa - si censura la vera domanda su che tipo di famiglia è adeguata a
far crescere la bimba..., ma chi ha visto la puntata avrà potuto notare la forza
emozionale, anche per l'ottima recitazione dell'attore, con cui era costruita questa
perorazione a favore dell'adozione per omosessuali. Una forza, tenuto conto che Commesse
ha avuto un audience quasi doppia a quella del Tg1, e che durava un'ora e mezza,
equiparabile a un centinaio di spot mandati in onda nelle ore di maggior ascolto...
É da notare poi, che nel caso di Commesse, su sei (sette con la
direttrice) protagonisti principali una sola era sposata stabilmente: tutti gli altri
oscillavano fra divorzi, convivenze passate, presenti o future, coppie gay, ecc. Questo
aiuta a riflettere come l'idea di fiction realista sia da intendere come un effetto, molto
più che come una vera fotografia della realtà: "ti faccio credere che sia
vero", grazie al fatto che la rappresentazione è assai ben costruita. Uno dei campi
in cui oggi è più forte questo stacco fra rappresentazione e realtà è proprio la
famiglia: stentiamo proprio a credere che solo il 17% degli italiani fra i 20 e i 50 anni
viva in una famiglia regolare, come avveniva ai protagonisti di Commesse... e come avviene
ai protagonisti di molte storie analoghe. La fiction in questi casi finge di rappresentare
il reale, ma invece corre avanti rispetto alla realtà, ed è piuttosto quest'ultima che
la segue. La fiction diffonde modelli che si fanno credere maggioritari, ma sono solo il
frutto delle scelte culturali, delle idee sul mondo o dei pre-giudizi di chi prepara
questi racconti per le masse. Sono idee spesso dettate da temi considerati d'attualità,
all'avanguardia o comunque politically correct.
Riguardo a questi pre-giudizi c'è un episodio di Un medico in famiglia
che merita di essere menzionato. Questa serie fortemente "educativa" presentava
il fatto che la simpatica tata, Cettina, e il suo fidanzato, non avevano ancora avuto
rapporti sessuali. Da qui nasce l'impegno di nonno, padre, cognata e di tutto il resto
della compagnia per far sì che mettano fine a questa "anomalia". Vengono
prestate le chiavi della casa della cognata - per ben due volte, visto che la prima
occasione si risolve in un nulla di fatto - in modo che si ponga termine a questi inutili
indugi. É questo che ci insegna la nostra fiction familiare. E ce lo insegna con grande
convinzione, senza che in nessun personaggio sorga un distinguo, un piccolo dubbio, una
minima perplessità. É questa unanimità in un'etica a due teste (tanta comprensione,
tanta bontà da una parte; tanta indifferenza, tanta etica del piacere dall'altra) che ci
spaventa.
In un paese dove cattolici praticanti e coerenti ci sono ancora - e non
pochi - l'assenza di visibilità del nostro modello di vita dovrebbe preoccuparci. Va bene
padre Pio, ma ci farebbe piacere che si veda da qualche parte che esistono anche degli
sposi cristiani. Gli omosessuali, che sono meno del 2% della popolazione, godono ormai di
una sovraesposizione mediale che li rende presenti dappertutto (con l'invenzione patetica
di stereotipi a rovescio, su cui ora non ci possiamo fermare). Ormai, non per la società,
ma per la televisione italiana, i veri "diversi", i veri extraterrestri,
sembrano coloro che pensano di vivere la sessualità all'interno di un matrimonio
indissolubile: quelli che fanno scelte cristiane, insomma. Forse dovremmo cominciare anche
a noi a fondare questa associazione, a metterci qualche spillettina e a farci riconoscere
- almeno presso gli sceneggiatori televisivi - come minoranza mediaticamente oppressa da
proteggere...
* Docente di Semiologia del cinema e degli audiovisivi all'Università
Cattolica di Milano
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