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"Non e' piu' un terno al lotto ma il tema fa inorridire"

Tullio De Mauro con Paolo Marcesini

 

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E’ arrivato il nuovo esame di maturità. Con le novità fatte di saggi brevi, articoli di giornale, punteggio "alla europea", quiz, interrogazione su tutte le materie in programma, un giudizio che tenga conto dei risultati ottenuti lungo tutta la carriera scolastica ecc. Qualcuno dice finalmente - molti professori e tutti quelli che, in questi anni hanno sollecitato la tanto sognata riforma -, altri invece sono spaventati – soprattutto gli studenti meno bravi che lo considerano addirittura punitivo.

A Tullio De Mauro, linguista e attento osservatore dell’evoluzione del mondo della scuola abbiamo chiesto un giudizio sul nuovo esame uscito fuori dalla riforma fortemente voluta dal ministro Berlinguer.

"In questi mesi ho parlato con molti studenti. Molti di loro mi sono sembrati allarmati. In realtà il nuovo esame di maturità è tranquillo, richiede semplicemente che si sia studiato negli anni precedenti e non mi sembra una pretesa assurda. Chi ha sempre preso sufficienze o buoni voti trova nel nuovo metro di giudizio un elemento di tranquillità. In altre parole, diminuisce quel carattere di terno al lotto che spaventava molto gli studenti e che rendeva l’esame il più temuto, e per questo il più sognato come un incubo, da generazioni intere di studenti. E poi in questo modo si aiutano le commissioni che, incapaci di dare sereni giudizi "complessivi" sui maturandi risolvevano ogni questione a tarallucci e vino facendo passare tutti senza chiedere nulla di serio a nessuno. In sintesi bisogna recuperare l’idea che a scuola ci si va per imparare, che non è un parcheggio e che i risultati ottenuti significano qualcosa. Altrimenti, molto semplicemente, gli esami sono inutili. Per far questo abbiamo bisogno di insegnanti che insegnino e facciano venire voglia di studiare e studenti che facciano il loro mestiere. Elementare ma impossibile, almeno sino ad oggi".

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Quanto valeva, dal punto di vista formativo, il vecchio esame di maturità?

"Come ha mostrato il bel libro di Giancarlo Gasperoni "Diplomati e istruiti" (Il Mulino) dedicato per l’appunto all’analisi della preparazione degli studenti dell’ultimo anno delle superiori, di anno in anno il loro livello si è gradualmente abbassato. Ragazzi che in aprile non sapevano come è fatto il Parlamento italiano, all’esame hanno preso voti altissimi. La responsabilità non è né dei ragazzi né dei singoli professori, ma di tutto l’apparato, dei cittadini, dei sindacati, della politica e, non facciamo finta di dimenticarli, anche degli intellettuali".

 

Gli studenti, abbiamo detto, sono preoccupati. E gli insegnanti?

"Alcuni di loro potrebbero avere dei soprassalti di ferocia, soprattutto quelli che in tutti questi anni si sono sentiti sacrificati e (giustamente) incompresi e potrebbero reagire male: finalmente ho un'arma in mano e la uso. E’ un rischio, credo controllabile".

 

Allora questo esame è migliore...

Di fatto lo è, perché riesce a determinare un voto complessivo. I verbali poi vengono raccolti dal Centro europeo per l’educazione che anno dopo anni ci racconterà come sono andati gli esami, soprattutto da un punto di vista qualitativo. Anche gli esaminatori devono sapere che sono sempre sotto esame anche loro, d’ora in poi non sarà più possibile sbagliare o prendere le cose sotto gamba".

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Lei è stato uno dei più fieri oppositori del tema di italiano. Tema che nel nuovo esame è rimasto facoltativo accanto ad altre prove, ma immutabile nel suo resistere. Quest’anno il titolo più gettonato è stato quello che chiedeva agli esaminandi di occuparsi di volontariato...

"Diceva Rodari: è difficile rendere liberi gli schiavi che si credono già liberi. La gente sente il tema come un elemeneto della loro tradizione sociale prima che culturale. In Italia è una abitudine che risale alle scuole di retorica del tardo impero romano e che è stata ripresa dai gesuiti che almeno, bontà loro, ebbero il buon senso di porre dei vincoli. Molto prima di me, voci più autorevoli della mia si erano già scagliate con forza contro il tema di italiano, Carducci, Gramsci, Guido Calogero, solo per fare alcuni nomi, avevano evidenziato l’assurdo di scrivere senza vincoli di spazio e di genere, il più a lungo possibile, senza sapere bene cosa dire e a chi dirlo. Il tema ha prodotto nella nostra classe dirigente delle deformazioni terribili: la totale incapacità di parlare e scrivere brevemente, l’incapacità di guardare a quel che si dice con gli occhi e le orecchie del nostro interlocutore, e così via. In sintesi: qualsiasi persona di buon senso, di fronte al tema, non può far altro che inorridire. Fanfani una volta definì alcune decisioni italiane simbolo di "un progresso senza avvenire". La resistenza del tema all’interno dell’esame di maturità ne è un esempio".

 

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