Caffe' Europa
Attualita'



Il saggio/Moralità politica e leadership

Amartya Sen

 

Articoli collegati
Il saggio/Moralità politica e leadership
Il filosofo che ha coniugato Etica ed Economia

 

Questa relazione al seminario "Today and tomorrow outlook for corporate strategies", tenutosi a Villa d’Este il 5, 6 e 7 Settembre 1997, e' stata pubblicata da "Etica ed Economia" (http://www.symbolic.pr.it/bertolin/etiecon.htm), la rivista diretta da Armando Massarenti

 

Introduzione

Ne "La vita di Galileo" di Bertolt Brecht, rispondendo ad Andrea che afferma "Infelice la terra che non ha eroi", Galileo replica "No, infelice la terra che ha bisogno di eroi". Ritengo che l’opinione del Galileo brechtiano possa essere considerata solo in parte fondata. È infatti plausibile che un Paese ricorra ai propri eroi quando si trova in una situazione disperata, ma è d’altronde vero che tutti i Paesi possono attraversare - e di fatto attraversano - periodi di grandi difficoltà durante i quali la disponibilità di eroi e di grandi leaders può realmente fare la differenza. In queste situazioni, nelle quali c’è reale bisogno di una leadership ricca di immaginazione ed eroica, l’assenza di simili personalità può quindi rappresentare un notevole handicap.

Non mi è difficile spiegare quanto possano essere determinanti leaders forniti di immaginazione e di coraggio, perché i miei correlatori sono Mikhail Gorbachev e Shimon Peres. Essi sono l’incarnazione vivente di quella leadership che, nel mondo in cui viviamo, ha fatto veramente la differenza. Il Presidente Gorbachev ha trasformato la natura della politica mondiale così come la politica della Russia e degli altri Paesi appartenenti all’ex Unione Sovietica. È quasi impossibile immaginare come sarebbe il mondo contemporaneo se non ci fosse stato Mikhail Gorbachev a guidare i suoi connazionali ed anche - indirettamente - i cittadini del mondo. Anche il Primo Ministro Peres ha condotto il suo Paese fuori dallo stallo dello scontro e dello stato di guerra, verso il dialogo e il rispetto reciproco. Nonostante quel processo di pace sia ora in seria difficoltà, resta la possibilità di recuperare terreno sulla strada maestra dell’accordo negoziato, da intraprendere invece di quella del conflitto e della violenza.

Per quanto concerne l’argomento di questo incontro, le stesse biografie di Gorbachev e Peres dimostrano quali risultati possano essere conseguiti da una leadership creativa ed in grado di combinare la capacità di essere in sintonia con gli altri, il senso di giustizia, la determinazione e il coraggio. Io credo che anche il mondo di oggi abbia, in un certo senso, bisogno di eroi; non necessariamente di superuomini, ma di persone dotate di coraggio fuori dalla norma. Ciò che è certo è che quel coraggio deve essere supportato dalla razionalità perché l’azione risulti efficace: i leaders non possono creare qualcosa dal nulla. Piuttosto, essi devono saper cogliere la potenzialità già esistente di un cambiamento e guidare i popoli verso scelte necessarie che in assenza di una guida potrebbero non venire mai compiute. In questo senso, la leadership ha la funzione di trasformare una potenzialità in realtà. È a questo punto necessario riflettere sulla questione della moralità.

 

Scopi individuali e morale

Come esseri umani, siamo capaci di grande nobiltà d’animo, compassione e comprensione, ma essere utili agli altri non è il nostro unico scopo. Ciascuno di noi ha i propri obiettivi e desideri, i propri impegni, le proprie ambizioni. Le difficoltà degli altri e la necessità di seguire regole di buon comportamento sociale sono talvolta in grado di spingerci ad agire, ma ciò non avviene in modo automatico. Molto dipende da quali questioni ci vengono poste e da quali interrogativi ci troviamo ad affrontare; il mondo non è fatto né di irremovibili egoisti che perseguono solo il proprio interesse, né di irriducibili altruisti rivolti a fare sempre e comunque il bene. Reagiamo quando siamo spinti a riflettere sulle difficoltà altrui, a rielaborare il nostro comportamento, ad esaminare a fondo il mondo in cui viviamo; mentre non facciamo assolutamente nulla se i problemi degli altri ci sembrano lontani, poco chiari, complessi e difficili da decifrare.

È esattamente qui che la leadership può fare la differenza: nell’indurci ad affrontare domande che altrimenti potremmo non porci e alle quali comunque non potremmo dare risposta. È ovvio che non necessariamente i leaders sono persone eccezionali come Gorbachev e Peres o - per fare riferimento al mio Paese - persone come il Mahatma Gandhi, Rabindranath Tagore o Jawaharlal Nehru o la stessa Madre Teresa, la cui morte oggi commuove tutto il mondo (colgo qui l’occasione per onorare io stesso la sua memoria). In realtà tutte le persone che hanno a cuore le sorti della società possono influenzarsi reciprocamente in modi impercettibili, come cercherò ora di argomentare.

 

Democrazia e opportunità politiche

Ci si chiede di frequente quale sia la sostanza della democrazia. Vale la pena di prendere in seria considerazione la questione, senza liquidarla come frutto di una cultura a noi estranea. Personalmente, ritengo che la sostanza della democrazia non si esaurisca nell’attribuzione dei diritti civili e politici, la cui importanza non è in discussione, in quanto essa risiede in parte anche nell’attitudine ad indurci reciprocamente ad affrontare i problemi che ci si pongono di fronte in modo aperto e senza pregiudizi. Questo può realmente fare la differenza nel modo in cui il mondo procede, come cercherò di spiegare ricorrendo ad alcuni esempi.

Uno dei fatti degni di nota nella tremenda storia delle carestie nel mondo è che nessuna tra quelle di rilievo si è mai verificata in un Paese governato in modo democratico e in cui la stampa fosse relativamente libera. Si sono verificate carestie nei territori coloniali retti da potenze imperiali (in situazioni assai differenti per la struttura dei rapporti di potere, per esempio in India prima dell’indipendenza e in Irlanda), nelle moderne dittature militari controllate da potentati autoritari (come l’Etiopia o il Sudan) o in stati governati rigidamente da un solo partito che non tollerava alcuna opposizione (come l’URSS degli anni ’30 o la Cina del "Grande Balzo in Avanti"). Ma una carestia grave non si è mai verificata in un Paese indipendente, in cui venissero indette regolarmente elezioni con la partecipazione di diversi partiti, tra cui alcuni di vera opposizione, e nel quale fosse permesso ai giornali di riferire liberamente, senza sottoposizione ad una massiccia censura, i fatti e di mettere in discussione le politiche del governo in carica.

Questa regola generale non si applica solamente ai ricchi Paesi europei ed americani, ma anche a Paesi molto poveri, quali l’India, il Botswana o lo Zimbawe. Nessun governo può permettersi di indire elezioni subito dopo una calamità sociale di vaste proporzioni né può, mentre è in carica, sopravvivere facilmente alle critiche che in democrazia sono formulate dai mezzi di informazione e dai partiti di opposizione. Per questo motivo non c’è da stupirsi del fatto che le carestie non si verifichino in società aperte e democratiche.

D’altronde, questa osservazione non costituisce di per sé una spiegazione esauriente del fenomeno delle carestie. Esse sono sempre molto selettive, ovvero colpiscono solo alcuni gruppi professionali, alcune aree geografiche e in media non più del 5% della popolazione (in nessun caso più del 10% di essa). È in effetti questa la ragione per cui le carestie sono così facili da prevenire se viene compiuto uno sforzo in tal senso. Ma come può una piccola minoranza di potenziali vittime della carestia - meno del 10% della popolazione - fare la differenza in una democrazia che è governata dalla regola della maggioranza? Quale può essere la fonte di un così grande potere politico attribuito a coloro che sono oppressi da una condizione di deprivazione e non sono in grado, da soli, di influenzare gli esiti di un’elezione?

sen01.jpg (26178 byte)

Democrazia, informazione e discussione

Proprio qui entrano in gioco gli altri aspetti della democrazia. La democrazia non consiste solo nella regola della maggioranza, ma anche nel suo funzionamento corretto, immune cioè dalla pura propaganda, e caratterizzato invece dalla discussione pubblica e aperta, dalla disponibilità di informazioni e dalla presenza di stimoli alla considerazione delle problematiche altrui. Durante i tre anni delle carestie cinesi, in cui, per il fallimento del cosiddetto "Grande Balzo in Avanti", morirono 30 milioni di persone, non un solo giornale cinese osò criticare la politica del governo. Per la precisione, nemmeno un giornale cinese pubblicò alcuna informazione sulle morti e devastazioni di massa che si stavano verificando ovunque e che erano destinate a durare per tre anni.

Questo sarebbe impensabile in democrazia. Sono le informazioni che ci scambiamo e le domande che reciprocamente ci poniamo a rendere il confronto uno strumento così potente di cambiamento. Noi ci induciamo reciprocamente a reagire alle difficoltà del prossimo, ed è esattamente questo ciò che trasforma un’importante minoranza di persone sofferenti in una forza politica potente e capace di autorità. Le informazioni, le analisi e le riflessioni originate dal confronto pubblico e dalla discussione aperta cambiano completamente la natura della politica.

In questo quadro, qual è precisamente il ruolo della leadership? Perché abbiamo bisogno di una guida anche in democrazia, pur essendo potenzialmente in grado di guidarci spontaneamente e reciprocamente?

Il fatto è che la democrazia è un’opportunità che deve ancora essere colta, il che richiede una capacità di azione e di immaginazione e una guida intelligente. Quando abbiamo a che fare con una forma di deprivazione forte ed elementare (e fotogenica) come quella provocata dalle carestie, non è difficile comprendere cosa sta accadendo. La capacità della democrazia nel prevenire le carestie è, quindi, notevole e quasi infallibile. Ma lo stesso non si può dire riguardo ad altri e più complessi problemi, specialmente quando le forme di deprivazione sono oscurate da convinzioni preconcette sulla natura della società e sui possibili interventi e rimedi.

 

Le deprivazioni nascoste e il ruolo della leadership

Al riguardo consentitemi di ricorrere nuovamente a degli esempi, il primo dei quali riguarda ancora l’India. La necessità di prevenire le carestie è entrata a far parte della consapevolezza morale delle persone in una misura così forte che nessun governo di quel Paese può sopravvivere se non compiendo un’azione decisa ed efficace per fermare le carestie. Infatti, il loro verificarsi è venuto improvvisamente meno con l’indipendenza e la nascita di una democrazia multipartitica (l’ultima carestia in India, causa della morte di un numero compreso tra i 2 e i 3 milioni di persone, si è verificata nel 1943, cioè quattro anni prima dell’indipendenza). Se si prende però in esame la sottonutrizione cronica, la situazione è molto diversa. L’India, che pur potrebbe essere autosufficiente per quanto concerne gli approvigionamenti alimentari, ha ancora un tasso di sottonutrizione dei bambini e delle donne in gravidanza fra i più alti al mondo. Analogamente, metà della popolazione adulta in India è analfabeta (due terzi delle donne indiane non sanno né leggere né scrivere) e ciò costituisce un esempio di grave disuguaglianza, poiché l’istruzione superiore è estremamente diffusa in India (per ogni persona che la Cina manda all’Università, l’India non ne manda meno di sei).

Affinché queste forme di deprivazione meno visibili siano fatte oggetto di un’azione politica si rende necessaria, più della mobilitazione popolare, una leadership capace di progettualità.

Ho argomentato in altra sede che questi fallimenti sociali e queste disuguaglianze non solo sono profondamente ingiusti, ma che essi limitano il successo delle necessarie riforme economiche. È indubbio che le industrie che utilizzano manodopera specializzata, e particolarmente alcune tra esse, hanno discrete prospettive di successo in India e gli investitori hanno le loro buone ragioni per impiegare in quel paese i propri capitali. In effetti, a queste prospettive ha recentemente fatto riferimento Bill Gates, il quale ha così fornito un riconoscimento assai rilevante al livello di istruzione di tipo tecnico ed ingegneristico raggiunto in India. Ma tutto ciò lascia ancora metà del Paese al di fuori del processo di cambiamento verso un maggior grado di dinamismo economico. C’è ancora, qui, una forte differenza rispetto al Giappone e all’Asia orientale dove c’è meno elitarismo e si registra un maggiore sforzo per la diffusione dell’istruzione elementare dell’assistenza sanitaria di base.

Fino ad oggi, la leadership indiana non è riuscita a correggere questa vecchia lacuna, retaggio del periodo coloniale, ovvero non è riuscita a recepire a livello politico la dimensione sociale di questo dramma e ad adottare le indispensabili contromisure. Si può sperare che la spinta al cambiamento venga dalla società civile: c’è una crescente consapevolezza del problema da parte dell’opinione pubblica e recentemente la stampa ha ospitato un’ampia discussione su questo tipo di deprivazione. In una certa misura un fenomeno del tutto simile si sta verificando con riferimento a un’altra deprivazione silenziosa, quella originata dalla diseguaglianza fra donne e uomini. Anche in quest’ambito c’è stata di recente una più ampia discussione, in parte condotta dai movimenti femministi, per effetto della quale, al di là delle critiche rivolte a chi "fa troppo chiasso" ed è "ossessionato" da questi problemi, si stanno già raggiungendo dei risultati sostanziali È dunque crescente il riconoscimento della necessità di dare voce e dimensione politica alle difficoltà degli oppressi, costringendo la società ad affrontare il problema e a predisporre rimedi adeguati. È interessante notare che ora è anche in corso un vivace dibattito nel Parlamento indiano riguardo alla necessita` di riservare un terzo dei seggi parlamentari alle donne e, che tale emendamento alla Costituzione venga o meno approvato, il fatto stesso di avviare una discussione partecipata su quest’argomento costituisce un segno di cambiamento della temperie morale e politica.

 

Le disuguaglianze nel sistema sanitario degli Stati Uniti

Ulteriori esempi possono essere tratti dall’esperienza di altri Paesi. Gli Stati Uniti possiedono forse le strutture mediche più progredite del mondo, e tuttavia più di 30 milioni di persone sono del tutto sprovviste di assicurazione medica e sono, in larga misura, escluse dall’accesso alle strutture sanitarie. Nel tentativo di cambiare questa situazione, l’amministrazione Clinton elaborò, qualche tempo fa, un progetto il cui insuccesso è di natura prettamente politica. Durante quella campagna, il governo non fece mai richiamo alla necessità che i cittadini americani contribuissero con un sacrificio individuale all’eliminazione di uno scandalo di simili dimensioni. L’accento era invece posto sul risparmio di cui avrebbero beneficiato tutti i cittadini per effetto della riforma del sistema sanitario ; fu solennemente promesso che nessuno avrebbe visto aumentare la propria spesa sanitaria e che il Presidente non stava chiedendo ad alcuno di sacrificare alcunché, poiché tutti avrebbero tratto vantaggio dal cambiamento proposto. Non si trattava di una prospettiva realistica, come i critici della proposta governativa di riforma - i repubblicani ed altri - furono facilmente in grado di dimostrare. Si può quindi affermare che il progetto non ebbe corso per la mancanza di una leadership morale in grado di richiedere con forza la correzione urgente di una tremenda disuguaglianza sociale nel Paese.

Talvolta si pensa che, nonostante la mancanza di un’assicurazione medica per molti milioni di persone, la popolazione degli Stati Uniti goda di condizioni di vita migliori rispetto al resto del mondo. Non è così: non solo i tassi di mortalità nelle varie fasce di età sono più alti in USA che in Europa occidentale, ma alcuni gruppi di età sono in condizioni assai peggiori delle corrispondenti popolazioni di alcuni Paesi molto poveri. Per esempio, come ho dimostrato in un articolo su Scientific American quattro anni fa, gli Afroamericani - ovvero i neri d’America - hanno, in media, una probabilità inferiore di raggiungere l’età matura rispetto alla popolazione della Cina o dello stato indiano di Kerala, Paesi che sono forse venti o trenta volte più poveri in termini di reddito pro-capite, ma che possono vantare un sistema ragionevole di assistenza sanitaria universale. È possibile concludere che nella situazione degli Stati Uniti c’è certamente una necessità di leadership morale che non è stata ancora soddisfatta.

 

La disoccupazione in Europa e l’etica sociale

Per il mio ultimo esempio mi rivolgo all’Europa occidentale ed ovviamente al problema della disoccupazione, i cui livelli straordinariamente alti sollevano ulteriori ed interessanti quesiti di carattere politico. Come le vittime delle carestie in Africa o Asia o gli individui privi di assistenza medica in USA, i disoccupati in Europa rappresentano una minoranza il cui potere politico dipende necessariamente dall’atteggiamento altrui verso la loro forma di deprivazione.

Per gli europei è difficile capire come l’etica sociale americana possa tollerare che esista un così gran numero di persone prive di copertura sanitaria, cosa che sarebbe piuttosto inaccettabile, dal punto di vista politico, in Germania, Italia, Francia, Inghilterra o in qualsiasi altro Paese di quest’area. In Europa occidentale ciò può essere letto - ed in effetti questa è un’interpretazione ricorrente - come un riflesso della preferenza americana per la cultura dell’individualismo rispetto a quella del sostegno e della solidarietà sociale. Si tratta di un’osservazione in gran parte fondata che contribuisce effettivamente a spiegare perché l’Europa si trovi in una situazione migliore per ciò che concerne l’assistenza sanitaria.

Ma, d’altra parte, la stessa etica sociale americana troverebbe presumibilmente intollerabili i livelli di disoccupazione a doppia cifra comuni in Europa: tassi di disoccupazione di simile entità si farebbero beffe della capacità delle persone di provvedere a se stesse, un concetto che è effettivamente centrale nel sistema dei valori americano. Credo che nessun governo degli Stati Uniti potrebbe uscire indenne da un raddoppiamento dell’attuale livello di disoccupazione, che pur manterrebbe il tasso di disoccupazione degli USA ben al di sotto di quello attuale dell’Italia, della Francia e della Germania (per non parlare della Spagna). D’altra parte, l’Europa ha continuato ad accettare la mancanza di lavoro e la tendenza all’aumento della disoccupazione con notevole serenità.

Si osserva talvolta che la situazione dei disoccupati europei è resa molto meno grave dalle misure predisposte a loro favore dai sistemi di sicurezza sociale. Se la disoccupazione comportasse solo una mancanza o una diminuzione di reddito questo ragionamento potrebbe anche essere fondato, anche se il costo, in termini fiscali, dei rimedi pubblici alla disoccupazione potrebbe renderli insostenibili nel lungo periodo. Ma la disoccupazione impone all’individuo una serie di deprivazioni di tipo affatto diverso, che vanno dalla depressione psicologica all’esclusione sociale sotto diverse forme. Inoltre, essa rende le istituzioni sociali molto meno flessibili e adattabili in quanto genera la paura di entrare a far parte in modo definitivo della folta schiera dei senza lavoro perdendo così ogni speranza per il futuro. Sono questi costi sociali della disoccupazione ad essere sistematicamente sottostimati nei dibattiti europei sul tema. (*)

Alla base di queste differenze tra Europa ed America si pone la diversità degli atteggiamenti verso le responsabilità dell’individuo e della società nei due contesti; è la natura stessa degli obblighi della politica, e quella dei suoi fallimenti, a differire profondamente. Per porre rimedio ai problemi generati da un determinato atteggiamento senza cadere nella trappola in cui si dibatte l’altro è necessario che Europa ed America rielaborino il patrimonio dei propri obblighi sociali alla luce di quelli vigenti nell’altro. Questo è un passaggio indispensabile perché si organizzi, in America, un’assistenza medica universale e perché, in Europa, gli individui disoccupati siano in grado di aiutare se stessi, così da mantenere un sistema dove sono molte le opportunità di lavoro e basso il tasso di disoccupazione. Un simile processo di apprendimento dai reciproci successi ed errori può contribuire in modo determinante alla formazione di una leadership che sia in grado di eliminare le rispettive forme di deprivazione: su questa strada c’è ancora molto da fare.

 

(*) Ho discusso queste problematiche nel mio Working Paper "Penalties of Unemployment", Banca d’Italia, 1997.

 

Articoli collegati
Il saggio/Moralità politica e leadership
Il filosofo che ha coniugato Etica ed Economia

 

Vi e' piaciuto questo articolo? Avete dei commenti da fare? Scriveteci il vostro punto di vista cliccando qui

Archivio attualità

 


homearchivio sezionearchivio
Copyright © Caffe' Europa 1999

Home | Rassegna italiana | Rassegna estera | Editoriale | Attualita' | Dossier |Reset Online |Libri |Cinema | Costume | Posta del cuore | Immagini | Nuovi media |Archivi | A domicilio | Scriveteci | Chi siamo