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Il filosofo che ha coniugato Etica ed Economia

Armando Massarenti

 


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Quello che segue e' l'editoriale del primo numero di "Etica ed economia" (http://www.symbolic.pr.it/bertolin/etiecon.htm), la rivista diretta da Armando Massarenti

 

Questo primo numero di "Etica ed economia" esce nel momento in cui il mondo intero si compiace della recente assegnazione del Premio Nobel ad Amartya Sen, l'economista che più di ogni altro si è impegnato nella ridefinizione del binomio cui è intitolata questa rivista Da più di dieci anni egli copre a Harvard la prima cattedra congiunta di filosofia morale ed economia (On Ethics and Economics è anche il titolo di un suo libro, tradotto in italiano in Etica ed economia, Laterza) e non l'ha abbandonata quando, circa un anno fa, ha assunto il ruolo di Master al Trinity College di Cambridge. Questi due mondi, tra i quali abitualmente si muove - l'Europa e l'America - certo possono essere fieri di questo Nobel. Ma ancora di più lo sono forse i Paesi nei quali Sen ha deciso di recarsi, permanendovi a lungo, nei mesi immediatamente successivi alla cerimonia di Stoccolma: l'India, il Paese di origine del quale ha orgogliosamente mantenuto la cittadinanza, il Bangladesh, la Corea, con puntate qua e là a Londra, a Cambridge, e anche in Italia.

Oggi si parla tanto di globalizzazione dei mercati, ma Sen, nel suo girovagare cosmopolita, insiste anche su un altro tipo di globalizzazione: quella del valori. Anzi, ad essere più esatti: sul contributo che valori appartenenti a diverse culture possono dare all'umanità in generale, ai "valori universali" di cui, in maniera complessa e per niente univoca - democrazie e mercati, soprattutto quando riescono ad andare di pari passo, sì fanno portatori nel mondo. A spiegare il successo di molte economie, secondo Sen, sono proprio gli assetti morali e politici che informano le istituzioni di un certo Paese o gruppo di Paesi, il loro grado di democrazia, il rispetto dei diritti umani, il livello di acculturazione della popolazione, lo sviluppo dei sistemi sanitari, ecc. La grande crescita delle economie del Sud-Est asiatico, e oggi il loro grado di resistenza alla crisi finanziaria che le investe, ad esempio, possono essere spiegate puntando l'attenzione all'impulso che quei Paesi diedero ai sistemi educativi negli anni 60, e non a una presunta predisposizione al dispotismo; e le difficoltà di crescita dell'India, analogamente, sono strettamente legate al persistere di tassi altissimi di analfabetismo. Sen però rifiuta l'etichetta di economista del Terzo Mondo, anche se egli è noto per i suoi studi di economia dello sviluppo e, per le sue analisi delle carestie, su cui pure si sofferma nel saggio che pubblichiamo in questo primo numero della rivista. Lo abbiamo scelto proprio per la varietà dei suoi argomenti. Senza indulgere in tecnicismi, egli passa da una situazione a un'altra, cogliendo pregi e difetti dei diversi sistemi e Paesi.

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Gli Stati Uniti, per fare solo un esempio, hanno un sistema sanitario insoddisfacente e avrebbero molto da imparare da quello inglese; ma al tempo stesso giudicherebbero intollerabili, e decisamente immorali, i tassi di disoccupazione europei: senza dogmatismi e senza partiti presi, Sen ci dice dunque che su questo punto è l'Europa a dover imparare dall'America Questo antidogmatismo e questa apertura mentale, caratteristici dei migliori economisti e filosofi del nostro tempo, vorremmo fossero la caratteristica costante di questa nuova rivista. Sia per quel che concerne gli aspetti pratici sia per quelli teorici, nel duplice senso del termine 'economia': l'economia concreta per esempio di un Paese (l'economia italiana, europea, statunitense) o di un settore particolare (l'economia sanitaria, scolastica, ecc.) da un lato, e l'economia intesa, appunto come "teoria" o "scienza" economica Anche in questo, Sen ci è utile per spiegare le nostre intenzioni. Egli è stato tra l'altro uno dei principali critici, e insieme innovatori, della cosiddetta Welfare Economics. Questo imponente edificio teorico poggia - secondo Sen - su una base morale e motivazionale fragile e inadeguata, tipica dell'"homo oeconomicus", basata interamente sull'idea della massimizzazione dell'interesse individuale. Senza rinunciare alla centralità dell'individuo (né alla componente autointeressata del comportamento umano), Sen ritiene che questa visione non sia sufficiente: essa trascura elementi importantissimi nella definizione di valori, scopi e desideri, come i diritti sociali e civili, la partecipazione alla vita pubblica, ma anche il perseguimento della conoscenza o il godimento delle arti. Tutte cose che, oltre a essere importanti in sé, disegnano un universo di valori, finali e strumentali, che Sen considera tutt'altro che irrilevanti per l'economista e per la definizione delle politiche pubbliche. Di qui le sue critiche all'idea di benessere definito in termini utilitaristici (anche se egli è, da buon economista, un conseguenzialista), e la definizione - attraverso la sua teoria delle capacità e dei funzionamenti - di un'idea di benessere e di felicità vicina all'"eudernonia" aristotelica, in cui la fioritura delle capacità umane assume un carattere fortemente pluralistico.

Parlare di "Etica ed economia" significa addentrarsi in argomenti come questi. Ma se abbiamo scelto di partire da Sen è solo perché egli effettivamente ne sfiora un numero molto elevato, semplificandoci il nostro compito introduttivo, e non certo perché intendiamo sposare il suo piuttosto che un altro approccio. Ugualmente efficace probabilmente sarebbe stato partire da Kenneth J. Arrow, James M. Buchanan, Merton H. Miller, Douglass C. North, John C. Harsanyi, per citare alcuni dei grandi economisti presenti nel comitato scientifico della rivista, tutti accomunati dall'interesse per i rapporti tra etica ed economia, cui hanno dato apporti fondamentali che vanno in diverse direzioni. Harsanyl, ad esempio, (premio Nobel per l'Economia 1994 per i suoi contributi matematici alla teoria dei giochi) è il più importante esponente dell'utilitarismo contemporaneo. Il saggio con cui apriamo il numero potrà aiutarci a eliminare per sempre una serie di pregiudizi - tuttora vivissimi tra i moralisti del nostro Paese - sull'utilitarismo, che in realtà è una delle teorie morali più nobili e altruistiche che siano mai state elaborate. Su questo, sia detto per inciso, anche l'antiutilitarista Seri sarebbe d'accordo, mettendo tuttavia in discussione la capacità di raggiungere pienamente quei nobili ideali. North (Nobel 1993) è invece noto per aver introdotto e analizzato il concetto di "costi di transazione", sul quale sì sofferma nel saggio qui ospitato. I saggi di Deepak Lal (un economista indiano come Sen, ma molto più liberista di lui) e dell'epistemologo Angelo M. Petroni, che affrontano il rapporto tra economia, valori e mondo della comunicazione sono frutto di una rielaborazione degli interventi tenuti dai due studiosi durante uno dei convegni annuali organizzati da Nemetria a partire dal 1991 su "Etica ed economia".

L'esperienza accumulata in questi anni, con la pluralità di voci proposte nel dibattito italiano e la progressiva chiarificazione degli obiettivi di ricerca, è l'oggetto del saggio di Paolo Savona, Presidente del Comitato scientifico di Nemetria, che insieme al Presidente Giuseppe De Rita e al segretario generale Leonello Radi, ha promosso impostato e organizzato i diversi incontri e ora ha manifestato l'esigenza di uno strumento insieme rigoroso e aperto quale si propone di essere questa rivista. Le sue riflessioni valgano come una indicazione chiara del cammino che rivista e incontri annuali, in una logica di reciproco sostegno, sono chiamati a percorrere nel prossimo futuro, soprattutto in relazione al tema delle scelte pubbliche e dei processi democratici. Chiudono il numero gli interventi di Mario Unnia, pioniere della business ethics italiana, che definisce il "profilo etico del city manager" così come egli intende formarlo nel corso di un Master che ha da poco organizzato a Milano, e di Sylvie Coyaud su Muhammad Yunus, fondatore di una banca che offre microcrediti ai diseredati del Bangladesh, innescando meccanismi di crescita e di fiducia e ottenendo la restituzione del 98 per cento dei prestiti: un caso davvero formidabile, capace di scardinare i nostri più radicati pregiudizi sull'uomo e sulla natura dello scambio economico.

 

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