Che cosa vuol dire Emily? Nuove regole e più
donne
Isabella Angius
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"La Emily's List è una rete di sostegno politico e finanziario
per le donne progressiste che vogliono fare politica, nata negli Stati Uniti nell'85,
esportata poi in Inghilterra e in Australia e tradotta ora anche in Italia con la nascita
della associazione Emily in Italia". Così spiega Stella Bianchi nel libro, da lei
curato per Reset e che e allegato alla rivista in questi giorni nelle edicole e
nelle librerie. Il volume raccoglie una serie di interventi di donne italiane e inglesi
vicine all'esperienza di Emily. Non pochi sono i risultati dell'associazione che in Gran
Bretagna si sviluppa tra le file del partito laburista, lo stesso che oggi guida il paese.
Uomini e dirigenti politici come Tony Blair, hanno sostenuto con forza
l'idea di rinnovamento del Labour, credendo fino in fondo che non sarebbe stato possibile
conquistare la fiducia e dunque i voti del paese senza il sostegno e il contributo della
forza femminile. Quello che Elena Montecchi chiama il vantaggio di avere più donne in
politica. Viene sottolineato da Joni Lovenduski che quando le donne ingaggiarono la loro
battaglia per il diritto di voto, credettero che con il voto sarebbe venuta anche la
rappresentanza femminile. Così non è avvenuto. Sappiamo però che le forze che hanno
favorito l'ingresso delle donne in parlamento sono state quelle che hanno voluto chiarezza
delle regole nella scelta delle candidature. Le donne di Emily hanno speso molte energie
nel tentativo attuare norme come il gemellaggio, che hanno reso possibile l'elezione, ma
prima di tutto la candidatura, di altre donne. Gemellaggio vuol dire candidature equamente
suddivise tra uomini e donne; questo sistema è stato adottato in Scozia e in Galles,
regione nella quale tante dirigenti hanno dovuto confrontarsi con una politica, tutta
maschile, indifferente e spesso assolutamente contraria all'introduzione delle quote.
La proposta avanzata dalle donne scozzesi era quella di
"gemellare" i collegi elettorali secondo criteri di prossimità geografica e di
probabilità di vittoria. In questo modo dice Meg Russel ex responsabile nazionale delle
donne, i tesserati al partito in due collegi vicini votano insieme per scegliere i due
candidati, uno dei quali deve essere una donna. Questo sistema avrebbe poi permesso che
circa la metà dei rappresentanti laburisti nei nuovi organismi fosse stata di sesso
femminile. In questo modo, l'uomo e la donna che avessero raccolto il maggior numero dei
voti sarebbero divenuti i candidati del partito nei due collegi in questione.
Ciò che molte relatrici hanno sostenuto è che in molti casi le donne
anche se hanno un forte interesse per la politica, sono disincentivate o addirittura
ostacolate nel presentarsi in prima persona. Maria Eagle racconta che molti uomini
asseriscono spesso che le donne non ambiscono a sedere in Parlamento, e che quando questo
avviene vengono considerate delle intruse. Il lavoro delle donne inglesi, infatti non è
solo quello di Emily. Il Labour Women's Network testimonia Valerie Price è stato creato
nel 1988 per incoraggiare le donne a proporsi come aspiranti deputate. Entrambe queste
organizzazioni sono finalizzate a fornire alle donne gli strumenti per competere.
Pensare di importare questo sistema in Italia è forse illusorio, come
rilevano Tana de Zulueta e Franca Chiaromonte nella relazione e nella prefazione del
libro, fondamentalmente perché non si è ancora sviluppata una maturità politica che
imponga sistemi chiari per scegliere le candidature. Un handicap del nostro paese è
quello di avere sistemi elettorali diversi, per le circoscrizioni, per i comuni più
piccoli, per i comuni più grandi, per le provincie, per le regioni, per la Camera dei
deputati, per il Senato della Repubblica, per il parlamento europeo. Quando ancora vigeva
il sistema proporzionale, un partito importante come il PCI avvertì l'esigenza e
introdusse il principio delle quote femminili, ma poi ce stato un
arretramento, analizzato da Miriam Mafai, anche come conseguenza del passaggio dal
proporzionale al maggioritario che non consente di scegliere per chi votare non avendo a
disposizione una lista di candidati. Si vota per il candidato scelto dalla coalizione,
come spiega polemica l'on. Claudia Mancina anche lei fondatrice di Emily Italia, in una
specie di contrattazione da mercato, a Roma e non direttamente nei collegi. Le donne di
Emily certo non rimpiangono il sistema proporzionale, ma cercano nuovi strumenti per
democratizzare il sistema elettorale.
La foto del governo Blair e quella delle 101 elette a Westminster
costituiscono un segno importante per le donne europee. Anche da noi il premier D'Alema
non nasconde l'orgoglio di avere accanto a sé sei donne ministre, il numero più alto mai
raggiunto nella storia italiana. Giustamente soddisfatte, le donne di Emily Italia non si
nascondono però dietro questo importante risultato, che cela un altro dato più
preoccupante, quello del calo del numero delle parlamentari in questa legislatura. Calo
delle elette vuol dire calo delle candidate. In vista delle elezioni europee Emily cerca
di sostenere le donne in diversi modi: raccogliendo finanziamenti per le campagne
elettorali, spingendo le donne elettrici a votare per altre donne come loro. Negli anni è
stata spesso sottovalutata l'importanza e la necessità delle donne nei luoghi di potere,
è stata ignorata quella che Marina Calloni definisce "la politica della
presenza" delle donne, per poter incidere direttamente nelle decisioni di governo
come nel lavoro delle commissioni parlamentari. Essere protagoniste significa anche, come
spiega Laura Pennacchi, includere le donne nel sistema di protezione sociale ma includerle
non solo marginalmente e di "riflesso", in quanto mogli o vedove, ma appunto
come protagoniste.
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