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Perche’ i curdi meritano uno Stato

 

Michael Walzer intervistato da Giancarlo Bosetti

 

 

Dei curdi e del leader del Pkk Apo Ocalan Caffe' Europa si e' occupata diffusamente.

 

"Ask the Kurds! Chiedete ai Curdi". Ricordo che già diversi anni fa, quando ancora nessuno a Milano o a New York sapeva chi fosse Abdullah Ocalan, detto Apo, Michael Walzer replicó cosi’ a chi gli esponeva la tesi che lo stato nazionale era al tramonto, che era una forma superata di organizzazione della vita dei popoli, che altro ci voleva. Il filosofo della politica di Princeton, l’autore di "Sfere di giustizia", "Esodo e rivoluzione", "Tolleranza", ha sempre posto grande attenzione alle ragioni della storia, alle radici che le idee politiche e le istituzioni hanno nella gente, nella lingua, nella tradizione, nella comune appartenenza a una nazione. Temi che Walzer ha approfondito nell’indagine sull’identità americana e sul terribile puzzle medioorientale, al quale lo lega la sua identità di ebreo-americano, con quel trattino tra "ebreo" e "americano", di cui ci ha spiegato tante volte la grande importanza. I Curdi oggi non hanno nè "trattino" nè stato in una zona del mondo afflitta da irrisolti problemi di appartenenza e di disegno dei confini. La loro "fame" di statualità gli è sempre stata chiara, forse anche perchè conosce da vicino quella di Israele e dei Palestinesi. Lo abbiamo raggiunto a Gerusalemme dove ha trasferito il suo lavoro accademico per qualche mese.

 

Professor Walzer, i Curdi sono 25 milioni. Sono un caso di dimensioni eccezionali: la piú grande nazione del mondo senza stato. La sua celebre battuta "Chiedete ai Curdi!" che cosa significa davvero?

Significa che gli intellettuali di sinistra, stando comodamente seduti in stati-nazione ben equipaggiati possono discettare sul carattere anacronistico della sovranità statale e sul fatto che la ricerca con tutti gli sforzi della liberazione nazionale (invece che di qualche altro genere di liberazione) implica una dose di egoismo collettivo. A loro mi rivolgevo e mi rivolgo quando li invito a chiamare a consulto i Curdi. Ma questo non significa che la sinistra debba cedere in ogni caso, e neppure nel caso dei Curdi, alle richieste nazionaliste. Semplicemente c’è una lezione da imparare da loro circa il valore della statualità. È un valore precedente a quello della democrazia ed esiste anche se lo stato cui si aspira ha poche probabilità di essere democratico. Perchè anche un tale stato puó difendere la sopravvivenza fisica di una nazione (questa è la giustificazione hobbesiana originale del potere sovrano) o tenere aperta la possibilità della sua riproduzione culturale.

 

Ma creare uno stato curdo oggi, coinvolgendo quattro stati dell’area, non sarebbe fonte di disordine e violenza senza fine?

I Curdi dovrebbero avere uno stato; essi ne hanno lo stesso diritto che ne avevano i norvegesi all’inizio del ventesimo secolo (per prendere un esempio relativamente recente e non questionabile); hanno diritto alla sovranità su un territorio in cui essi costituiscono la schiacciante maggioranza, in cui si parla la loro lingua ed al quale sono legati da secoli. Ma qui, come la sua domanda suggerisce, la prudenza si erge di fronte alla giustizia in un modo molto radicale. Questa aspirazione curda non è indirizzata a un vecchio potere imperiale ma a quattro stati moderni ed è improbabile che possa essere soddisfatta nel senso piú forte. Il suo perseguimento è destinato a produrre sicuramente, sta già producendo, violenza su larga scala.

 

Alternative piú moderate?

Bisogna cercare vie alternative per garantire la sicurezza fisica e la continuità culturale del popolo curdo. Ma se facciamo questo e se premiamo perchè i Curdi accettino le alternative, dobbiamo avere la cortesia di riconoscere che questi arrangiamenti sono, nel mondo come lo conosciamo, un second best, che dà ai Curdi meno di quello che altre nazioni hanno avuto.

 

Si puó paragonare la questione curda a quella palestinese o a quella ebraica prima della nascita dello stato di Israele?

Letteralmente potrei rispondere: si’, questi confronti sono possibili, ma non sono sicuro che siano i confronti piú utili, dal momento che la storia degli ebrei e dei palestinesi è ancora incompiuta e il racconto di questa storia è duramente contestato.

 

Ma ci provi lo stesso, a fare il paragone.

In sintesi, in comune con i Curdi, gli ebrei e i palestinesi hanno il fatto di essere stati o di essere senza stato; si sono battuti per la liberazione nazionale, hanno prodotto un movimento che era diviso al suo interno e nel quale alcuni membri hanno optato per il terrorismo. Ed è ancora materia di contesa in entrambe le nazioni se il terrorismo abbia aiutato o danneggiato la lotta. Ma nel caso di Israele abbiamo a disposizione un periodo di tempo piú lungo per la valutazione: le forze politiche che in Israele sostengono il processo di pace di Oslo ed accettano la prospettiva di una statualità palestinese sono gli eredi di coloro che negli anni Quaranta si battevano contro il terrorismo; le forze che si oppongono alla pace e sostengono l’idea di una Grande Israele discendono direttamente dai vecchi gruppi terroristi.

 

C’è una linea di confine precisa tra terrorismo e azione militare nelle situazioni in cui si rivendica l’autonomia territoriale e il diritto di autodeterminazione? In Italia abbiamo piazze e monumenti dedicati ad eroi nazionali che nei libri di storia austriaci sono considerati terroristi e traditori.

È possibile riconoscere il terrorismo ed è moralmente e politicamente necessario opporvisi. Naturalmente il termine viene usato polemicamente come accade tante altre parole utili nel nostro linguaggio politico: aggressione, innocenza, pace, democrazia, liberalismo, diritti e cosi’ via. Non possiamo smettere di usare queste parole. Il terrorismo è prendere deliberatamente a bersaglio gente innocente, civili, non combattenti, uomini e donne che non sono agenti di violenza. Terrorismo è una pratica sia degli stati che dei movimenti politici, ma quando studiamo la sua storia troviamo sempre che c’erano discussioni intorno al suo impiego e che c’era gente che vi si opponeva. Per quanto mi riguarda è tra loro che io cerco i miei eroi.

 

C’è un perverso equilibrio morale tra il trattamento turco dei Curdi ed il terrorismo curdo?

Perverso equilibrio morale? Vogliamo dire equilibrio immorale? Forse un tale equilibrio esiste ma non è rilevante nella discussione morale o politica. Se uno è turco deve opporsi al terrorismo turco, e se uno è curdo deve opporsi al terrorismo curdo. E quelli come noi che possono guardare le cose da distante devono opporsi a entrambi e fare del loro meglio per sostenere le opposizioni interne dalle due parti.

 

Ma è possibile una soluzione stabile del problema curdo senza uno stato curdo?

Non sono sicuro che lo sia, ma non vedo altra scelta che quella di cercare di renderla possibile. Questo significa cercare forme di autonomia per ciascuna delle regioni curde, in Turchia, Siria, Irak e Iran. Ma significa anche cercare qualcosa che al momento sembra non esistere: un movimento politico curdo pronto e capace di gestire l’autonomia. Nel Nord dell’Irak proprio adesso il piú grande ostacolo all’autonomia curda è la divisione, una divisione violenta e omicida, tra i Curdi stessi. Mi dispiace che ci siano piú esempi di questo genere di cose. E non c’è dubbio che parte della spiegazione di questo sta nel carattere estremo della situazione curda. Ma nessun amico dei Curdi dovrebbe scordarsi di dir loro che hanno bisogno di formare qualcosa come un Congresso mondiale curdo in cui tutti i gruppi rivali facciano valere i loro argomenti senza armi in mano ed imparino ad accettare la regola della maggioranza.

 

L’Economist scrive che, dopo la cattura di Ocalan, è necessario e possibile per entrambe le parti adottare una linea piú moderata. Che cosa ne pensa? E il rischio della condanna a morte? E il ruolo dell’Europa e degli Stati Uniti?

Mi sento meno a mio agio nel rispondere a domande sulla cattura di Ocalan, in parte perchè non ho informazioni dettagliate, in parte perchè ho a disposizione le risposte standard di un liberal di sinistra, quale sono, e nello stesso tempo ne sento la inadeguatezza. Si’, i turchi dovrebbero essere generosi nella vittoria, ma non ci sono segni di questo, vedo solo un estremo e sgradevole trionfalismo. Si’, gli attivisti Curdi dovrebbero cogliere il momento per difendere una politica piú moderata e realistica, ma, anche qui, non ci sono segni di questo, vedo solo uno stringersi intorno alla causa del Pkk. Si’ gli Stati Uniti e l’Europa dovrebero chiedere un equo processo per Ocalan ed insistere perchè il govenro turco desista dal perseguire la pena di morte. Ma mi sembra ugualmente improbabile che la domanda venga fatta con molta forza o che venga presa in considerazione. Io penso che la cosa piú importante sia premere sui turchi perchè stupiscano il mondo e adottino non solo nel caso di Ocalan, ma in tutta la regione curda, una politica che possiamo riconoscere come stato di diritto.

 

Che effetto farà questa bufera sui Curdi e la loro vita.

I Curdi hanno una grande diaspora e in questo senso, sono, di nuovo, come gli ebrei e i palestinesi (sebbene la proporzione tra Curdi della diaspora e Curdi in patria sia molto minore che negli altri casi). Perció la questione è: puó la diaspora portare alla salvezza di una nazione oppressa? In questo momento i Curdi della diaspora sembrano i seguaci piuttosto che i leader, e seguono i gruppi piú estremi. Ma nello stesso tempo hanno, almeno allo stadio iniziale, una vita politica e culturale che si è organizzata all’interno della società civile occidentale. Questa è, o puó essere, una risorsa criticamente importante: non solo di ricchezza e potere, ma anche di competenza ed impegno democratico, cose che è improbabile si sviluppino in Irak, Iran o Siria e che hanno avuto uno sviluppo molto debole, finora, in Turchia. Puó la sinistra europea trovare alleati nella diaspora curda? Forse sono possibili alleanze che possono avere conseguenze non subito, nel lungo periodo…



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