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Tv digitale/Canal Plus contro News Corp., ovvero Trampoliere contro Tiranno

Giancarlo Mola

 

 

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C’è già, come in ogni guerra che si rispetti, il buono e il cattivo. Basta guardare i nomignoli che i due condottieri si portano dietro. Pierre Lescure, 53 anni, presidente di Canal Plus, per gli amici è "Kamichi", il Trampoliere, volatile agile e aggraziato. Rupert Murdoch, 67 anni, padre padrone di News Corporation, per i nemici è invece semplicemente il Tiranno. Al primo piace piacere, il secondo ama essere odiato e temuto. Lescure è figlio dell’autunno caldo francese: famiglia comunista, padre giornalista de l’Humanité, infanzia nella banlieu parigina di Choisy-le-roy, gioventù trascorsa in mezzo al popolo dei concerti rock. Murdoch è invece incarnazione della voglia di sprovincializzarsi dell'Australia: studi a Oxford, subito nel business con il piccolo giornale di Adelaide ereditato dal padre nel 1952. L’uno è cresciuto nella covata di François Mitterand ed è amico di Walter Veltroni, l’altro è esploso in Europa con Margareth Thacher e ha deciso di conquistare l’Italia al fianco di donna Letizia Moratti.

La guerra che i due stanno combattendo è nota: la posta in palio è il dominio nella tv digitale, affare succoso e miliardario. In Europa, ma soprattutto in Italia. Nel Belpaese infatti Murdoch e Lescure sono i capofila delle due piattaforme digitali in competizione. E hanno festeggiato il Natale accapigliandosi per arruolare le truppe e stringere alleanze per la campagna d’Italia. I primi a organizzarsi sono stati quelli di Canal Plus. Il 16 dicembre Pierre Lescure e Roberto Zaccaria, presidente della Rai, si sono stretti la mano e hanno siglato l’accordo che prevede che nel giro di cinque anni l’emittente pubblica possa controllare il dieci per cento di Telepiù, braccio italiano di Canal Plus. I francesi, secondo l’intesa, metteranno a disposizione la tecnologia, il servizio pubblico dovrebbe conferire sei canali tematici entro il Duemila e altri cinque negli anni successivi. Con una via d’uscita: se l’affare dovesse risultare sconveniente la Rai, fra tre anni, avrebbe la possibilità di tornare sui propri passi. Ricevendo un indennizzo di 90 miliardi per ogni canale ceduto.

Dentro Telepiù c’è poi il principale rivale della Rai, la Fininvest di Silvio Berlusconi che, almeno fino al prossimo giugno, manterrà un altro dieci per cento. Il restante 80 per cento resta per ora in mano francese. Ma entro marzo – data in cui il memorandum sottoscritto diventerà un contratto definitivo - Canal Plus dovrà cedere almeno il 35 per cento a società italiane. Trattative febbrili sono in corso da tempo. Appare quasi certo ormai l’ingresso come partner tecnologico di Wind, il terzo gestore della telefonia mobile, controllato dall’Enel di Chicco Testa, da France Telecom e Deutsche Telecom. Ma non si esclude anche l’interessamento della Banca commerciale italiana.

Sul fronte opposto, il Tiranno ha dovuto sudare ben più del previsto per convincere i partner della sua piattaforma. Le trattative con Telecom sono andate avanti molto a rilento prima dell’annuncio dell’intesa, il giorno della vigilia di Natale. E l’accordo di principio portato a casa non è certo quello che Murdoch si aspettava. La compagnia telefonica di Franco Bernabè ha accettato sì di entrare nell’affare della tv numerica, ma in punta di piedi. La contrattazione si è conclusa infatti con il sostanziale disimpegno da Stream. Se l’ipotesi di partenza prevedeva Telecom al 51 per cento e News Corp al 39 (con il rimanente dieci ai francesi di Tf1), il patto sottoscritto ha ribaltato la prospettiva: la società di Bernabè al 20, Tf1 al 10 e Murdoch al 70. Con un problema: liberarsi subito della maggioranza del capitale a favore di gruppi italiani, conditio sine qua non posta dal governo per l’ingresso nel mercato italiano. Murdoch e Letizia Moratti sono quindi in cerca di soci. Con tante possibilità fra le mani: il gruppo Rizzoli-Corriere della Sera di un Cesare Romiti smanioso di conquistare il terreno quasi vergine della tv a pagamento, o Luca Montrone, patron della pugliese TeleNorba e di una miriade di tv locali, detto appunto il Berlusconi del Sud. O ancora Vittorio Cecchi Gori: la sua Telemontacarlo fa gola. Perché è l’unica tv nazionale in chiaro a non essere scesa in campo nel digitale. Ma anche perché il pacchetto di film da lui detenuto sarebbe il carburante ideale per la piattaforma di Murdoch.

Una volta stipulati gli accordi, infatti, la battaglia si giocherà sui contenuti. Che in primo luogo significano film. Canal Plus è in netto vantaggio: Telepiù detiene i diritti delle principali majors di hollywood (compresa incredibilmente la Fox di cui Murdoch è proprietario) e di gran parte delle produzioni europee. Nel paniere di Stream c’è adesso invece la sola Universal. Ovvio che il magnate anglo-australiano voglia recuperare terreno, e che lo faccia marcando stretto Cecchi Gori.

Ma il core business di Rupert Murdoch è un altro: il calcio. Che lo sport sia la gallina dalle uova d’oro del Duemila il magnate lo ha capito da tempo. Ha speso cifre astronomiche per assicurarsi il controllo – e i relativi diritti – delle più importanti società sportive del mondo: i Los Angeles Doggers (baseball), i New York Knicks e i Los Angeles Lakers (basket), i New York Rangers e i Los Angeles Kings (hockey), il prestigiosissimo Manchester United (calcio). E sa che per convincere gli italiani a comprare il decoder e pagare per l’abbonamento, l’unico modo è promettere le partite della squadra del cuore. Allora Murdoch ha sparato col cannone, un po’ perché è nel suo stile, un po’ per vedere cosa succede: 4.200 miliardi di lire per tutto il calcio italiano fino al 2005. Che sia una boutade o meno importa poco. Perché testimonia l’autentico interesse di Murdoch per il football di casa nostra. Sono d’altronde i suoi avversari a riconoscerlo. "L’unica cosa che interessa Murdoch è comprare tutto il calcio italiano per venderlo in tutto il mondo. Se non lo avrà se ne andrà. Si comporta come uno che vuole giocare al lotto ma chiede l’assicurazione che vincerà", ha detto di lui Michel Toulouze, amministratore delegato di Telepiù, nei giorni della guerra per i diritti delle partite di serie A.

La questione calcio è molto complicata. Murdoch vuole tutto. I grossi club chiedono di poter gestire i propri diritti per poter tirare sul prezzo. I piccoli, intimoriti dall’idea di restare fuori dal giro, propongono che sia la Lega calcio a trattare per conto di tutti. La Lega, presieduta da Franco Carraro, sta al momento studiando una mediazione salomonica. Mano libera per le società per i prossimi sei anni, ma con i diritti formalmente in mano alla Lega. Che solo dopo questo periodo di transizione prenderà una vera decisione. In attesa del responso finale il Tiranno e il Trampoliere si stanno dando battaglia per assicurarsi i diritti sulla partite dei club più importanti. Telepiù ha già in tasca le intese con Milan, Inter, Juventus, Napoli, Cagliari, Bologna e Empoli. News Corp dovrebbe avere Roma, Lazio e Parma.

Governo permettendo. Sia il ministro delle Comunicazioni Salvatore Cardinale (Udr), sia i sottosegretari Vincenzo Vita (Ds) e Michele Lauria (Ppi) proprio non ne vogliono sapere di stare a guardare. E si stanno muovendo proprio in questi giorni per risolvere la questione con un decreto che fissi una norma antitrust per i diritti sul calcio: nessuno dei contendenti potrebbe comprare i diritti di trasmissione di più della metà dei club di serie A. Le televisioni sono sempre state, d’altronde, un interesse privilegiato dei politici italiani. E lo sono specialmente adesso che il mercato rischia di essere invaso dai tycoon stranieri. Che Murdoch sia mal visto non è un segreto per nessuno. Cardinale per primo ha gridato al rischio di "colonizzazione culturale". Ma anche Vita ha pronunciato parole dure: "Noi vogliamo tutelare la cultura italiana ed europea. Canal Plus oltre a fare pay tv investe nel nostro cinema. Murdoch invece rappresenta un gruppo che non solo ha spesso comportamenti di tipo monopolistico, ma ha soprattutto interessi che sono in prevalenza extraeuropei".

Non avrà vita facile, quindi, il Tiranno. Molto più facile invece che la strada sia in discesa per il Trampoliere. Quel che è certo è che nei mesi invernali la campagna si farà dura. E i due si fronteggeranno senza esclusione di colpi, ognuno dalle proprie postazioni. Anche perché è ormai naufragata definitivamente un’idea che il governo ha sostenuto fino all’ultimo: quella di una piattaforma unica, a lungo caldeggiata dal governo ma bocciata senza appello dall’antitrust europea e italiana esattamente quaindici mesi fa. Ci sarà concorrenza, quindi, fra due piattaforme. Con tutti i vantaggi sia sul fronte dei prezzi, che su quello della varietà e pluralismo della programmazione. Ma con un interrogativo, che sta molto a cuore agli utenti. Per accedere a entrambe le tecnologie digitali, si dovranno comprare due decoder, e quindi due antenne paraboliche? Non è detto. Dalle ceneri della piattaforma unica è nata infatti l’idea dell’unico decoder. I due contendenti – secondo la proposta del sottosegretario Vita – dovrebbero mettersi d’accordo sull’adozione del set top box. Dovrebbero cioè rendere compatibili le proprie emissioni via satellite. Dividendosi poi sul sistema di criptazione. E, naturalmente, su tutto il resto.


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