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Ocalan, il curdo che scotta

Antonio Carioti

 

 

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Il caso Ocalan, aperto dall'arrivo in Italia del leader guerrigliero curdo, si è rivelato ben presto, senza che nessuno l'avesse previsto, un'autentica grana per la diplomazia italiana. Non appena sbarcato a Fiumicino, il capo del Pkk è stato preso in consegna dalla polizia, poiché contro di lui c'erano due mandati di cattura, uno emesso dalla magistratura turca e l'altro da quella tedesca. Ma nel frattempo in Parlamento, soprattutto tra le file della maggioranza, si faceva strada la posizione favorevole a concedergli l'asilo politico. Del resto Ocalan era giunto in Italia in compagnia di un deputato di Rifondazione comunista, Ramon Mantovani, e aveva subito trovato come avvocati due parlamentari della sinistra, Giuliano Pisapia e Luigi Saraceni. Per una certa fase, anche sotto la spinta emotiva delle manifestazioni organizzate a Roma da militanti del Pkk giunti da tutta Europa, è parso che il nostro paese potesse farsi carico della causa curda e promuovere addirittura una conferenza internazionale sulla questione.

Poi sono arrivate le docce fredde. La Turchia, spalleggiata dagli Usa, ha reclamato l'immediata consegna di Ocalan, che dal suo punto di vista è un terrorista sanguinario. La Germania, al contrario, ha fatto capire di non tenere affatto a celebrare sul proprio territorio, dove gli emigrati curdi e turchi sono assai numerosi, un processo al leader del Pkk che avrebbe provocato tensioni molto gravi.

Ben presto il governo italiano si è trovato in un vicolo cieco. La magistratura ha rifiutato l'estradizione di Ocalan in Turchia, poiché essa era richiesta per reati puniti in quel paese con la pena di morte. Ma ciò ha guastato i rapporti con Ankara, determinando conseguenze negative in tutti i campi: da quello economico a quello calcistico (rinvio della partita Galatasaray-Juventus). Inoltre è servito a poco il giro delle capitali europee intrapreso dal presidente del Consiglio Massimo D'Alema, che sul caso Ocalan ha ottenuto solo una solidarietà verbale. Il governo tedesco, dal canto suo, ha ribadito di non avere alcuna intenzione di accollarsi una simile patata bollente.

Così, mentre Ocalan veniva messo in libertà, ha preso quota l'ipotesi di soluzione avanzata dal ministro degli Esteri Lamberto Dini, contrario alla concessione dell'asilo politico: o sottoporre il leader curdo a un processo internazionale per i numerosi delitti ascrittigli, o espellerlo verso un paese disposto ad accoglierlo. Poiché la prima strada si è rivelata ben presto impercorribile, non è restato che avviare contatti riservati per trovare una meta verso cui far partire Ocalan. Il 16 gennaio l'obiettivo è stato raggiunto e il capo del Pkk è partito per una repubblica ancora imprecisata dell'ex Unione Sovietica.


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