Sean Wilentz e' uno storico degli Stati Uniti. E' stato chiamato a deporre davanti alla Commissione giudiziaria della Camera, lo scorso 8 dicembre, sulla procedura di impeachment. Lo ha chiamato la Casa bianca come "perito di parte". A lui e' stato affidato il tema della applicabilita' della procedura di impeachment per lo scandalo Clinton-Lewinsky. Titolare a Princeton della cattedra di American Studies, Wilentz e' anche una delle firme piu' prestigiose di "The New Republic".
Ha spiegato la sua tesi sui "misdeeds", sui "misfatti" che Clinton ha confessato. La Costituzione americana non e' "difettosa", non prevede affatto la messa in stato di accusa del presidente per fatti di questa natura, al di sotto della linea dei "gravi crimini contro lo stato". Sono i Repubblicani che ne danno una interpretazione distorta e che hanno messo la politica contro la Costituzione.
Nella sua deposizione, professor Wilentz, lei ha sostenuto che l'impeachment di Clinton sarebbe un atto che contraddice la lettera e lo spirito della Costituzione. Come dimostra questa tesi?
Il mio argomento principale e' che nella Convenzione del 1787 i costituenti resero esplicito il principio che offese alla legge passibili di impeachment riguardano gravi crimini contro lo stato, nient'altro che questo e niente meno di questo. Percio' accettando le attuali accuse contro Clinton la commissione giudiziaria e la Camera hanno implicitamente abbassato la soglia dell'impeachment e di conseguenza anche leso la Costituzione.
Dal punto di vista europeo questo ragionamento appare del tutto logico. Si tratta di fatti che non sono collocabili come crimini contro lo stato. Come mai invece in America non e' altrettanto evidente?
A mio avviso e' evidente anche per il popolo americano, che mostra chiaramente, in base ai sondaggi, di rifiutare il processo di impeachment, nel senso che non ne accetta la legittimita'. Non e' invece evidente per i Repubblicani del Congresso.
Nella sua deposizione lei ha fatto una distinzione tra "rule of law" (norma di legge, stato di diritto) e "rule of politics" (norma della politica). Non sembra venirne fuori una bella idea di "politica".
Mi sembra che nel nome dello "stato di diritto" (rule of law) i Repubblicani hanno perseguito gli obbiettivi della loro aggressiva agenda politica e hanno piegato la Costituzione ai loro fini politici come se le trasgressioni di Clinton fossero in qualche cosa vicine per gravita' a quelle di cui avevano bisogno per raggiungere i loro obbiettivi politici. E' il caso di ricordare che questi Repubblicani (peraltro non tutti ma i piu' conservatori tra loro) non sono in grado di mandare avanti la loro agenda parlamentare, non sono in grado di disfare la legislazione sull'aborto, non possono far passare le loro misure antiambientaliste, non riescono ad attaccare le leggi sul lavoro piu' di quanto non abbiano gia' fatto. L'unica cosa che era rimasta loro da fare era quella di individuare un misfatto di Clinton. E' quello che hanno cercato di fare distorcendo la Costituzione.

Qualcuno osserva che a questo punto i Repubblicani sono comunque prigionieri del meccanismo che hanno messo in moto. Hanno secondo lei qualche via di uscita?
Non so quale potrebbe essere. Mi sembra pensino che se spingeranno avanti il procedimento con durezza il popolo americano finira' con l'approvare, ma credo che qui ci sia un grave fraintendimento nato dalle loro convinzioni ideologiche. Certo i Repubblicani sono persone di grandi principi, hanno grandi principi. Il problema e' che il loro attaccamento ai principi ha fatto loro perdere il contatto con il popolo americano e con la Costituzione degli Stati Uniti. In politica accade che l'unica spiegazione di un errore sia un eccesso ideologico. Non so se saranno capaci di fermarsi, a meno che semplicemente chiudano il processo, di colpo. Sarebbe forse la cosa migliore per loro, ma in quel caso non avrebbero comunque ottenuto nulla, solo la vergogna di Clinton, che peraltro e' stata provocata prima e indipendentemente dal processo per l'impeachment.
Lei e' stato chiamato a testimoniare in qualita' di esperto di storia americana. Supponiamo che adesso lei diventi consigliere del presidente: che cosa gli suggerirebbe?
Il primo consiglio sarebbe questo: non dimettersi. Lasciare l'incarico in questa situazione sarebbe precisamente quello che vogliono i Repubblicani, non tanto per sostituirlo con Gore quanto per dimostrare la forza della loro volonta' politica. Non ci sono ciscostanze che giustifichino la cacciata del presidente e se lui se ne andasse via darebbe un terribile esempio per il futuro. Il secondo consiglio sarebbe quello di resistere nel nome della grande maggioranza del popolo americano. Se lasciasse sarebbe come se li abbandonasse. In questo momento la nazione politica e' con la Casa Bianca non con un Congresso che e' sotto accusa. Clinton deve resistere e schierarsi con questa maggioranza contro la maggioranza di destra del Congresso e soprattutto contro la destra conservatrice cristiana che e' stata finora la forza propulsiva dello schieramento per l'impeachment.
Tutti i progressisti americani sono di questa medesima opinione?
Non tutti. Ci sono alcuni a sinistra che sono cosi' arrabbiati con Clinton che non hanno piu' voglia di preoccuparsi della sua sorte. Io per esempio sono stato attaccato sia da destra che da sinistra. Possiamo dire che la sinistra americana su questo e' divisa. La cosa mi preoccupa, in quanto "liberal", anche se non sono cosi' a sinistra come altri. E' una brutta cosa che la sinistra, i progressisti, impieghino tanto tempo a svegliarsi e a rendersi conto di quello che sta accadendo. Fino all'ultimo minuto nessuno ha mosso un dito, nonostante alcuni di noi da molto tempo si siano messi a urlare. L'opinione dei progressisti e' molto lenta da mettere in moto.
In Europa molti ritengono che, anche se non sara' comunque possibile per i Repubblicani ottenere l'impeachment con i due terzi dei voti del Senato, in ogni caso il presidente sara' troppo debole per continuare a reggere la Casa Bianca.
Non sono d'accordo. Assolutamente non e' cosi'. Prima di tutto nella politica estera lungo tutto quest'anno, nonostante ogni genere di guai, Clinton non ha mostrato alcuna debolezza nei rapporti con i leader stranieri. La vicenda dello scandalo sessuale non lo ha toccato come uomo di stato che si occupa delle questioni del mondo e che parla con forza a nome degli Stati Uniti. Sul fronte interno penso che in nessun caso il completamento o meno del mandato avra' molte conseguenze in termini strettamente legislativi. Nelle condizioni date e' un fatto che potrebbe lasciarci indifferenti. Ma sarebbe piu' pericoloso per lui andarsene che rimanere.

In che senso?
Nel senso che se rimane puo' continuare a parlare di quei temi e di quelle scelte, come la sicurezza sociale, la riforma sanitaria, le iniziative per la scuola, tutte cose per le quali, se non puo' realizzare risultati in termini legislativi, puo' pero' mandare avanti un processo politico molto importante per questo paese. Il compito principale di Clinton oggi e' quello di resistere per il bene del suo paese contro la destra. E se qualcosa ha prodotto tutta questa storia e' la dimostrazione che quella di Clinton e' la figura di un politico che ha mostrato di sapersi oppore a questa destra.
Supponiamo che finisca come suggerisce lei, che Clinton rimanga e che l'impeachment venga accantonato. Pensa che nel sistema costituzionale americano si aggiungera' qualcosa che prevenga altri episodi come questo.
Qualche volta penso che sarebbe necessario, poi ci ripenso: sarebbe pericoloso. Io credo che l'impeachment e' stato chiamato in causa prima di tutto in violazione dei principi costituzionali. Ora e' possibile che qualche parlamentare cerchi di definire il dettato costituzionale in modo da fissare in modo indiscutibilmente chiaro quali atti sono passibili di impeachment e quali no. Ma non nutro molte speranze in questo genere di riforma perche' quello in corso e' essenzialmente un conflitto, come si dice, del "politico" contro il "costituzionale".