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        | Letti per voi/Ma il futuro è nel giornale di
        carta    
         
        Mario Lenzi, presidente de «l'Unità» 
         
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        Questo articolo è stato pubblicato su L'Unità
          del 23 giugno 
         
        Molti, anche i benevoli, pensano che la crisi de l'Unità dipenda da motivi ideologici e
        politici. L'Unità, si dice, è un residuo del passato, un oggetto d'antiquariato. Tutto
        vero, anche se parlare di residui nel nostro Paese, non è poi un evento così raro ed
        esecrando. Anche ai giovani non manca la memoria. Ma l'Unità è qualcosa di più e di
        diverso. E comunque la crisi del giornale - può essere sorprendente dirlo ma è
        dimostrabile - ha soprattutto motivi tecnici. 
         
        L'Unità non è un peso da sopportare ma un patrimonio da gestire. Intanto ben pochi sanno
        che i lettori, quelli presenti e quelli potenziali, sono valutabili, ora, in circa mezzo
        milione, con quasi centomila copie di vendita. Il giornale ne copre a fatica la metà.
        Dunque, se questo è vero e lo è, non c'è, in questa crisi, una ragione di mercato
        editoriale. Ci sono invece, con evidenza, problemi di gestione. L'Unità è stata
        amministrata per più di mezzo secolo con criteri religiosi. Un temporale si è addensato
        per oltre cinquant'anni e ora c'è chi si stupisce per il colpo di fulmine (intendiamoci,
        non sottovaluto la grande efficacia dei mezzi religiosi, per i quali 2+2 può anche fare
        14. Però questi mezzi reclamano i tempi idonei dei miti e della fede). 
         
        In un mondo laico l'Unità può arrivare al pareggio e all'utile. Se ha risorse adeguate
        per il rilancio. Pagati i suoi debiti e osservando le corrette regole nella gestione e nei
        rapporti aziendali, il giornale ha bisogno di tranquillità per mettere a punto i
        contenuti, la grafica, la diffusione, la pubblicità. Giornalisti e poligrafici possono
        garantire senza proclami, senza autoesaltazioni e senza piangersi addosso, l'indipendenza
        della testata, nell'unico modo che è possibile, l'equilibrio fra le entrate e le uscite. 
         
        Ma perché amici o estranei dovrebbero investire denaro in un quotidiano di carta invece
        che in Borsa o in qualche altra proficua impresa? E perché proprio ne l'Unità, che
        sembra (ma non lo è affatto) il quotidiano perdente? Si fa un gran parlare, tra le quinte
        della new economy, della scomparsa imminente del giornale di carta, sostituito da quello
        in rete. È una previsione alla moda ed è sbagliata. Il giornale di carta vivrà a lungo,
        anche grazie alla diffusione della telematica e per virtù di contrasto. Anzi, in un mondo
        sempre più allagato dall'informazione, reso frenetico dai nuovi media, il giornale di
        carta apparirà come un tranquillo spazio di riflessione, una voce autorevole, in
        definitiva una merce pregiata. Niente risulterà, col tempo, più semplice nell'uso, meno
        costoso, ovunque utilizzabile, comunque disponibile, e dunque così tecnicamente avanzato
        come il giornale di carta. 
         
        D'altra parte un giornale di carta è complemento indispensabile per una iniziativa in
        rete. Ma c'è, fra i due mezzi, una differenza sostanziale: si può dire, un po'
        schematicamente, che il giornale in rete opera nel settore dell'informazione, quello di
        carta nel settore della conoscenza. Passata la moda per il sensazionalismo del «tempo
        reale» e per l'informazione in bytes sarà il vecchio quotidiano il depositario della
        credibilità: una macchina per pensare. «L'Unità», dal canto suo, non è soltanto un
        residuo del passato. È anche il legame con una tradizione che nel bene e nel male fa
        parte della storia. Si può comprarne una copia per rispetto. Oppure per protesta contro
        una società che copre, talora con ipocrita dolcezza, terribili violenze. O anche perché
        sembrano sempre meno credibili quei quotidiani che stanno adattandosi con grande rapidità
        alle piccole miserie e ai grandi egoismi individuali e di gruppo, in tempi nei quali
        prevalgono nettamente gli interessi sulle idee. Per alcuni di essi, il gadget nato come
        accessorio del prodotto è diventato l'oggetto dell'acquisto e il giornale il suo
        accessorio. Informazione e pubblicità sono ormai naturalmente commiste; fra pochi anni,
        parole come «notizia», «opinione», «cronaca», «servizio» avranno cambiato su quei
        quotidiani il loro stesso significato. 
         
        Si discute se questa profonda mutazione in atto nell'editoria sia o no irreversibile.
        Comunque vada, si aprono per «l'Unità» l'una o l'altra delle due strade: se, con il
        trionfo dell'on line, del direct marketing e della pubblicità, l'editoria tradizionale è
        morta, resterà pur sempre una nicchia per una iniziativa che risponda con la sola forza
        editoriale del prodotto a una limitata motivazione d'acquisto. Se l'editoria tradizionale
        non è morta, questo è il momento di fare un giornale capace di ristabilire l'antico
        rapporto di fiducia che una volta legava ogni quotidiano ai suoi lettori. 
         
        Negli Stati Uniti, che si sono spinti molto prima di noi sulla strada della
        commercializzazione, ora si sta tornando a una giusta valutazione economica del peso delle
        idee; e di conseguenza i gruppi editoriali cercano di riconquistare un legame ideologico
        coi loro sostenitori, tornando a considerarli «lettori» dopo averli valutati, per un
        certo periodo, solo come «contatti». Ora, tutti gli esperti editoriali ritengono che sia
        essenziale per il quotidiano di carta il contenuto. Insostituibile, in questo senso,
        risulta il ruolo del giornalista. Secondo gli esperti di marketing, il giornalista deve
        acquisire anche la caratteristica di intermediario fra l'inserzionista e il lettore, nel
        senso che su un giornale di buon livello ogni messaggio è più convincente. Più il
        giornalista manifesta la sua indipendenza di giudizio, più l'inserzione pubblicitaria è
        efficace. 
         
        Con grande sorpresa di molti che, anche recentemente, avevano dato la carta stampata per
        spacciata, gli utili dei grandi gruppi editoriali americani, che erano da tempo in
        declino, hanno ricominciato a crescere in modo prepotente nel '99, ma soprattutto nel
        primo quadrimestre di quest'anno. La pubblicità è aumentata assai più sulla carta
        stampata che sui media on line (anzi i media on line sono costretti a fare inserzioni sui
        mezzi tradizionali per farsi conoscere) e gran parte degli analisti di Wall Street hanno
        affermato che sarà la carta stampata e non l'informazione elettronica il grande affare
        per gli investitori del Duemila. E le iniziative in rete dei gruppi editoriali
        tradizionali hanno molto più successo delle imprese di produzione telematica nate senza
        il retroterra di un quotidiano. Molte «start up» si sono gonfiate in Borsa ma questa
        performance è avvertita più come un pericolo di bolle speculative che come una garanzia
        per il futuro. 
         
        In Italia, almeno per ora, molte imprese che investono nella telematica sembrano
        intenzionate a seguire la corsa della corrente senza valutare la necessità di dare
        contenuti adeguati al prodotto. Nei casi migliori ci si limita a privilegiare i dati di
        ricerca e le informazioni di servizio, ma non ci si preoccupa troppo della loro scrupolosa
        esattezza. Si trova del tutto naturale assumere - per farli lavorare al desk - non
        giornalisti professionisti esperti ma giovani appena laureati. Perché questi sono
        freschi, dinamici, «naturalmente portati» alla navigazione in rete. E soprattutto
        perché costano poco. E in effetti è non poco oneroso assumere giornalisti
        professionisti. Nessuno dei nuovi imprenditori sembra valutare le prospettive di una
        informazione che sia anche conoscenza . I giovani web manager o content provider hanno
        bisogno di molto studio e di molta esperienza prima di imparare come e che cosa devono
        mettere in rete. Nessuno glielo insegna. 
         
        Avviene così che in rete l'informazione risulta spesso superficiale e imprecisa, anzi
        gravida di errori che denunciano dilaganti lacune culturali. E se si guarda alla brusca
        svolta della esperienza americana, non sembra che le imprese entrate in rete coi metodi
        accennati possano fare molta strada. Non è un buon affare affidare il compito di
        informare ai disinformati. La mutazione epocale dell'editoria offre grandi possibilità a
        «l'Unità». In ogni caso suggerisce, se non impone, un nuovo modello di quotidiano. Qui
        si prova la capacità per la sinistra di affermarsi come protagonista di un rinnovamento
        culturale. 
         
        Non si tratta però di fare il giornale ideale in assoluto, come se si partisse dalla
        tabula rasa sognata dal filosofo, ma un giornale che sia relativo al suo target, presente
        e potenziale. Il progetto del giornale di carta può essere esaltato se avviene nel
        contesto di una iniziativa nel campo della produzione telematica, da un minimo (la
        versione on line) a un massimo (il portale della sinistra, dei contenuti, delle idee, dei
        servizi, dell'economia, della creatività e della memoria). Marchio forte, struttura
        leggera, target certo: è questo che può rendere immediatamente appetibile «l'Unità» a
        chiunque voglia investire nel settore. Senza contare poi la dotazione di un archivio che
        può avere una forte valutazione in termini commerciali e non solo perché da qui è
        passata la storia del Paese.  
         
        «L'Unità» può aumentare copie tra i vecchi lettori, se riacquista il rapporto di
        fiducia perduto. Questa è certamente, come tutte le altre nel tempo, una strada destinata
        ad estinguersi, però non condividiamo l'infatuazione di quanti ritengono da privilegiare
        come target esclusivo il solito pubblico «giovane» e «dinamico». In realtà contro
        ogni luogo comune e senza ironia, il futuro de «l'Unità», almeno nel medio termine, sta
        nei pensionati, che fra l'altro son quelli che leggono di più, pensano di più. Solo
        quando il vecchio target è consolidato si può avere la forza per allargarlo al nuovo.
        «L'Unità» può diffondere copie anche fra i nuovi lettori, se risponde, con un forte
        rilancio, come giornale di servizio, a reali motivazioni d'acquisto nei segmenti di target
        emergenti; e se dimostra pienamente, come giornale d'opinione, una propria autonomia di
        giudizio, avendo come riferimento i Ds e registrando con obbiettività le loro varie
        anime. Il target è in generale il popolo della sinistra, ma in particolare quel vasto
        strato di lettori che non condividono o rifiutano la spettacolarizzazione
        dell'informazione, la commercializzazione della stampa, la deformazione dei cittadini in
        sudditi della pubblicità. 
         
        Ripudiare il passato è una operazione di basso livello culturale e dimostra una
        preoccupante ignoranza della vita e della storia. Perfino un vecchio adagio contadino ci
        insegna che chi taglia le radici uccide l'albero. Non si possono offendere i nostri vecchi
        lettori, che troppe volte leggendo «l'Unità» si sentono umiliati e traditi. È anche un
        problema di linguaggio: quando ci si riferisce alla nostra storia, e ai grandi personaggi
        che la percorrono, spesso su «l'Unità» si importano con disinvoltura vocaboli e
        locuzioni che fanno parte, da molti anni e, bisogna riconoscerlo, con più originalità,
        del gergo comune agli altri giornali. Pensiamo agli immigrati che stanno diventando
        cittadini - un universo inesplorato e vilipeso -, quando si sa che gran parte parte di
        coloro che si integrano, e che mandano a scuola i loro bambini, sono di cultura media
        superiore e costituiscono oltre tutto un settore di consumatori in forte espansione. E poi
        possono acquistare copie anche coloro che non ci amano, ma ci rispettano; o comunque
        quanti sentono il bisogno di sapere che cosa di preciso pensano i giornalisti de
        «l'Unità» su quanto li tocca da vicino, da un fatto di attualità a uno spettacolo, a
        un provvedimento amministrativo, alla bioetica. Se questo bisogno non lo sentono, dipende
        anche da noi.  
         
         
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