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Letti per voi/La febbre dell'oro


Federico Rampini

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Questo articolo è apparso su la Repubblica   del 4 aprile

La "febbre dell'oro" sulle azioni Internet lascia il posto alla disillusione. Il caso-Microsoft, la regina di Wall Street da un milione di miliardi attaccata dall'antitrust, ha colpito e affondato molte Borse, soprattutto i titoli tecnologici che erano stati premiati a dismisura nella fase dell'euforia. Nell'èra dell'azionariato popolare, milioni di piccoli risparmiatori inquieti si chiedono: è già in crisi la New Economy? Fin dove scenderanno le Borse?

Sulla Microsoft la prima reazione degli investitori è più emotiva che razionale. L'offensiva dell'antitrust contro il monopolista Bill Gates favorisce i suoi concorrenti e agevola il pluralismo delle tecnologie informatiche: sarà benefica per l'industria del settore. Inoltre è rassicurante vedere l'economia americana in buone mani. Il regolatore fa il suo mestiere, reprimendo la prevaricazione e la tendenza alla concentrazione del potere che insidia da sempre il capitalismo. Nel lungo periodo l'attacco a Microsoft potrebbe essere una manna per i suoi azionisti.

Quando l'antitrust smantellò il monopolio telefonico dell'AT&T, l'8 gennaio 1982, diede il via alla più gigantesca rivoluzione tecnologica nelle telecomunicazioni. Da allora le aziende nate dallo "spezzatino" AT&T hanno visto le loro azioni salire del 1300%: dieci volte la rivalutazione dell'Ibm nello stesso periodo. In quanto ai titoli Internet, dopo l'accaparramento indiscriminato era inevitabile una correzione al ribasso. I segnali premonitori non mentivano.

Due settimane fa il tribunale di San José in California ha registrato per la prima volta nella storia la bancarotta di un sito online, la Cook Express. Dopo la fase dei pionieri "tutti geniali", è iniziata la selezione darwiniana della specie. Negli stessi giorni una società olandese stabiliva un altro primato negativo: il portale World Online di Amsterdam è stata la prima impresa-Internet le cui azioni sono crollate subito dopo l'ingresso in Borsa. Al fiasco del collocamento si è aggiunto uno scandalo di insider trading: la presidente-fondatrice dell'azienda aveva venduto un grosso pacchetto di azioni poco prima di quotarsi. Anche sul Vecchio continente, dopo la baldanza pionieristica è tempo di dare un'occhiata alle regole.

L'ondata di collocamenti di imprese neonate contribuisce ai ribassi perché riduce quella scarsità di azioni-New Economy che aveva alimentato gli eccessi speculativi. Nonostante gli ultimi cali, il prezzo medio dei titoli tecnologici europei resta più alto rispetto ai rivali americani, già penalizzati da molte settimane. L' indice europeo del settore Tmt (tecnologie, media, telecomunicazioni) rivela quotazioni che valgono quasi 60 volte gli utili delle imprese, contro 40 volte gli utili per le società Usa. La nostra New Economy è ancora piccola e cara.

L'euforia finanziaria che ha accompagnato la fase nascente della New Economy non è un caso raro nella storia. Anzi, ogni grande rivoluzione industriale è stata accompagnata ai suoi albori da una bolla speculativa. Nel 1840-1850 accadde in America con la corsa ai titoli delle società ferroviarie; nel 1920 la febbre speculativa si rivolse alle compagnie aeree (molte delle quali non avevano mai fatto volare un apparecchio). Anche quando esagerano, i mercati svolgono un ruolo prezioso. Il Nasdaq, la Borsa americana specializzata nelle imprese tecnologiche, con il suo rialzo dell' 800% negli anni Novanta ha intuito le potenzialità della New Economy, le ha fornito il carburante dei capitali, ha alimentato la crescita economica e la creazione di milioni di posti di lavoro.

Il riequilibrio in corso, con il deflusso di investimenti dal Nasdaq verso il Dow Jones e quindi il ritorno alle azioni dell'industria classica, è altrettanto fisiologico. Nel momento di massima esaltazione per Internet si era sfiorato il pericolo di dissanguare la Old Economy. I capitali e gli uomini migliori abbandonavano molte aziende tradizionali. Una emorragia inarrestabile avrebbe messo in crisi settori pur sempre vitali dell'economia. Ora il ribasso del Nasdaq consente alle aziende antiche di comprarsi le più giovani, come ha appena fatto AT&T acquistando Excite, la più grossa società Usa che fornisce accesso a Internet sulle linee ad alta potenza. Comincia l' innesto fecondo dello spirito innovativo e della cultura-Internet nel corpo della grande industria.

L'errore è credere che la Borsa possa distruggere la New Economy. Il crack di Wall Street nel 1929 chiuse un decennio in cui si era speculato molto sulla neonata industria dell'automobile. Ma neanche la Grande Depressione potè interrompere la rivoluzione industriale trainata dall' auto, che continuò ad esercitare un'influenza decisiva sulle tecnologie produttive, sull'organizzazione del lavoro, sulla classe operaia, sulla mobilità geografica e perfino sul costume sociale di un secolo.

Come per l'auto, anche la rivoluzione della New Economy non è nata né morirà in Borsa. Le Cassandre consigliano di rileggere due testi classici del grande economista John Kenneth Galbraith, "Il grande crollo del '29" e "Breve storia dell' euforia finanziaria". Hanno ragione, ma omettono un dettaglio significativo. In America quei due bei saggi sono da tempo introvabili nelle librerie. Ormai c'è un solo modo per procurarseli. Ordinarli su Internet.


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