Contro la lettura come surrogato
Cesare Garboli con Paolo Marcesini
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Dice Harold Bloom nel suo Canone Occidentale: "Ritengo che lio, nella sua
aspirazione ad essere libero e solitario, in fin dei conti legga con un unico scopo:
trovarsi faccia a faccia con la grandezza". Parole sacrosante, che ci servono a
celebrare degnamente i settantanni del Premio Viareggio: una celebrazione che arriva
quando i premi sono pesantemente messi sotto accusa a causa della superficialità (anche
manageriale) delle nostre case editrici e dalla povertà di anima e contenuti di chi i
libri li scrive. Invece raccontiamo un premio di grande tradizione, dalla nascita e dallo
sviluppo spontanei, senza intenzioni nascoste.
Nessuno lo ha premeditato, nessuno è mai riuscito a programmarlo. Ce ne parla con
orgoglio e passione Cesare Garboli, che del Premio Viareggio è da alcuni anni presidente
"Lidea di un premio letterario in Versilia venne ad alcuni letterati che erano
qui in vacanza quando questa era ancora una cittadina balneare di grandissima risonanza
nazionale. E nato sulla spiaggia, sotto gli ombrelloni, al sole. Volevano un premio
letterario che fosse alternativo al Bagutta che è a Milano al chiuso, dove piove sempre,
e lo volevano allaria aperta, dove leggere è ancora un piacere e non solo un
dovere".
Nasce quasi per caso, ma si capisce subito che non è solo un colpo di sole. Anzi, si
caratterizza subito per la sua serietà accademica e un certo rigore morale e politico.
"In tutti gli anni anteguerra il premio si è barcamentato sotto il fascismo per
conservare una certa libertà. A partire dal dopoguerra è diventato un premio rosso, di
sinistra. Le lettere di Gramsci è il primo libro premiato dopo la liberazione, nel 1947.
Ci fu una grande discussione tra destra e sinistra e il premio a Gramsci dette
unimpronta politica indelebile alla storia del premio. Ma più che unimpronta
di sinistra la definirei ribellione, provocazione, originalità. Qui si è sempre
respirata unaria diversa, lontana dalle pressioni degli editori, dalle consorterie
letterarie e dal conformismo di mercato, da cui è immune perchè nelle sue giurie ci sono
sempre state persone libere che decidono in base al loro giudizio estetico e basta".

Il Viareggio, come del resto tutti i premi letterari, è stato attraversato da
polemiche feroci, anche durate gli anni della sua presidenza.
"Certamente, perché discutere e tavolta litigare fa parte del lavoro, serio, di
una giuria. Lo scorso anno, ad esempio, Raboni si è dimesso dalla mia giuria ma ha
giustificato la sua scelta dicendo che non aveva più voglia di leggere i libri degli
altri perché voleva scrivere le sue poesie. Sono state dimissioni civili, che ho capito e
archivito con rammarico e tranquillità. Ricordo che nel 1963 la giuria si divise tra i
sostenitori di un libraccio di Piovene, La coda di paglia, denso di giornalismo
antisemita, di lega infinitamente bassa e feroce, e coloro che volevano dare il premio
postumo ad un narratore molto eccentrico, sensibile e incapace di sottomettersi al
conformismo come Antonio Delfino. La discussione fu aspra, poi, per precisa volontà di
Pier Paolo Pasolini , il premio fu dato a Delfino perchè qui a Viareggio oltre alla
letteratura conta la coerenza, la trasparenza e, usando una parola ormai fuori moda,
limpegno".
A proposito di impegno questanno il riconoscimento internazionale è andato a
Emergency di Gino Strada, un medico che gira il mondo a curare i bambini colpiti dalle
mine antiuomo, i cosiddetti pappagalli verdi.
"Dare il premio a Strada ha voluto dire non sottomettersi al ricatto essere
costretti a scegliere tra barbarie diverse perché noi non siamo a favore dei
bombardamenti intelligenti e nemmeno alla pulizia etnica della polizia nazista. Significa
scegliere una cultura di pace che non è originata da sotterranei obiettivi politici, una
cultura che tutti definiscono ovvia ma che non trova rappresentanza. Con il riconoscimento
internazionale non premiamo chi scrive libri di pace, ma chi vive intere vite a favore
della pace ".
Si lamentava dei troppi libri che arrivano sul tavolo di lavoro di un giurato. Di
lettori invece ce ne sono sempre meno. Nel rapporto tra chi legge e chi scrive è evidente
che cè qualcosa che non va. I pochissimi che leggono cosa vogliono dai libri che
acquistano? E gli altri, la maggioranza degli italiani, perchè non leggono?
Gli italiani non hanno il piacere della lettura, non sentono il bisogno di leggere, ma
di informarsi. Se il leggere non è funzionale a sapere come funziona un
videoregistratore, diventa unoperazione in perdita, noiosa, che non ha scopo. E poi
leggere significa approfondire ciò che già si conosce, è un'attività estranea a tutto
ciò che ci accade intorno. Agli italiani piace invece sentirsi al centro del mondo, è
per questo che accendono la televisione, e sanno tutto di Vieri e la Marini, di Irvine e
la Ferrari. Non si legge ma in compenso si scrive moltissimo. Questo accade perchè come
ha scritto Milan Kundera in un suo romanzo gli uomini cercano limmortalità. E poi
la vita ormai regala molto poco, i piaceri consumistici non soddisfano appieno, per questo
masse di italiani scrivono, perchè cercano di evadere la noia. Se è utile allo scopo,
fanno bene a farlo: limportante e non farsi pubblicare e per questo costringere
qualcuno a leggerti per forza. Altrimenti, tutto, dalla lettura alla scrittura, si
trasforma in un surrogato".
E le colpe degli editori?
Gli editori non hanno anima, cercano e sperano solo nel best seller capace di vendere
milioni di copie. Vengono stampati molti brutti libri ma esiste anche una morale pubblica
culturalmente mafiosa che li accetta. Poi ho scoperto che i giovani sono spariti dalle
cronache e dalle statistiche, non votano più, non fanno figli, ma una cosa continuano a
farla: scrivono libri. Sono in tanti, e in troppi riescono persino a farsi pubblicare. I
giovani scrittori non costano nulla agli editori, vengono spremuti, poi se non vanno
vengono subito dimenticati. Lobiezione naturale a questo stato di cose è la
seguente: che fine ha fatto il valore estetico di unopera letteraria, come facciamo
a distinguere un buon libro da un cattivo libro? La mia risposta a queste domande è
semplice e dolorosa al tempo stesso: purtroppo il valore e la qualità non sono più merci
ambite".
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