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Noi, masochisti della lettura



Annie Francois



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Quella che segue è un estratto dell'intervento di Annie Francois al diciottesimo corso seminariale di perfezionamento indetto dalla Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri che si è svolto presso la Fondazione Cini a Venezia dal 21 al 26 gennaio.

Sono qui davanti a voi tutti, alla scuola per librai Umberto ed Elisabetta Mauri, una scuola che forma i miei futuri “spacciatori” perché, per quanto mi riguarda, i libri sono una specie di droga. Non è né una chimera né una facilità di eloquio: sono stata invitata dal professor Lejoyeux a un simposio di psichiatria avente per tema “Dalla passione alla dipendenza”: in breve, la lettura come psicopatologia.

Ho scritto La lettrice che è uscito in Italia per Guanda. Si tratta di un libro che parla dei libri; una specie di “fuori testo” non sul contenuto ma sul contenente; meno sul soggetto che sull’oggetto; non sulla materia intellettuale, il modo di scrivere (vale a dire lo stile) ma sul suo supporto materiale, la materia di cui sono fatti i libri (la carta, il cartone, i caratteri di scrittura, il peso, la “mano”, ecc. ecc.); sui modi di lettura (da seduti, da sdraiati, in piedi); sulle età della lettura (l’infanzia, l’adolescenza, la vecchiaia); sui tempi della lettura (di giorno, di notte, durante le vacanze ecc. ecc.); sui comportamenti maniacali legati al libro (i segnalibri, l’abitudine alla sottolineatura e altri tic).

Nell’edizione francese c’è un sottotitolo che lo definisce “autobiobibliografia”. Si tratta di un approccio molto personale che mi ha fatto pervenire molta posta che poteva riassumersi, nella sostanza, con “anch’io - anche a me” (anch’io leggo soprattutto di notte; anche a me non riesce di sbarazzarmi di un libro ecc. ecc.). Così ne ho dedotto, abusivamente, che avevo scritto il primo libro-di-carta interattivo o quanto meno consensuale.

Non mi fido del consensus (il mio prossimo libro tratterà della sigaretta e sono sicura che mi farò dei nemici). Tranne qualche piccolo dettaglio, molto aneddotico, del tipo fare le orecchie alle pagine o non farle, per esempio, i lettori condividono le stesse delizie e gli stessi supplizi. Ritengo del tutto demagogico (e perciò inutile) appesantire il mio intervento sulle delizie del libro qui, davanti a voi. Preferisco parlare dei supplizi non tanto per esibire il mio masochismo - accertato - quanto per fare l’avvocato del diavolo nella misura in cui l’E-book sarà eventualmente in grado di risolvere questi problemi.

L’E-book, per definizione, dovrebbe abolire la rusticità della carta, le volgarità della copertina, il peso del libro, l’esiguità dei caratteri di scrittura, il cattivo odore della colla, l’ingombro di spazio delle biblioteche private, degli appartamenti, l’anarchia della classificazione, la polvere, l’indiscrezione delle annotazioni. L’E-book regola gli strazianti problemi legati al prestare e prendere in prestito i libri, abolisce una volta per tutte quegli assurdi questionari che ci chiedono quale libro sceglieremmo da portare su un’isola deserta, come se esistesse ancora una sola isola deserta.

Può sembrare un paradosso, ma sono gli individui che si suppone debbano essere culturalmente più affezionati al libro - vale a dire gli anziani - che dovrebbero interessarsi maggiormente all’E-book per ragioni di pura praticità. Avendo io stessa superato il mezzo secolo posso dire effettivamente di aver provato quasi tutto ciò che la tirannia del libro mi ha costretta a fare. Ho scelto un settore professionale - quello dell’editoria - poco remunerativo semplicemente per avere delle riduzioni sui libri. Sono stata costretta a fare traslochi in case sempre più grandi e quindi, per forza di cose, sempre più periferiche e sempre più lontane dalle librerie. Ho dovuto rinforzare i pavimenti per sostenere il peso delle nostre biblioteche. Ho dovuto vivere perennemente nella polvere e in mezzo al disordine. Ho dovuto por rimedio al crollo di pile di libri. Ho conosciuto la frustrazione che mi procurano quei libri che ho letto ma che non riesco a ritrovare soprattutto quando li desidero. Provo anche un dispiacere costante quando scopro libri scritti da autori che magari avevano qualche anno più di me e sono già morti; quando vedo gli stessi autori ancora in vita, intervistati dai media. Mi ritrovo a contare tutte le opere immortali che non farò a tempo a leggere prima di mancare io stessa.


Il dispotismo del libro mi ha anche costretto a scontri coniugali causati dalla lettura a letto, dall’invasione dei libri del compagno, dalla divisione dei libri che ci vengono regalati in quanto coppia. Fuori dalle mura domestiche mi ha costretto a dispute pseudo-amichevoli a proposito di libri dati o presi in prestito, o di un’opinione sui libri stessi.

Il libro mi ha fatto anche soffrire fisicamente, mi ha fatto consumare la vista su caratteri ridicolmente piccoli; mi ha causato delle lombalgie a forza di spostarli da una parte e dall’altra, di manipolarli (il tutto accentuato dalla mia passione, è il caso di dirlo, per i grossi volumi); mi ha procurato frequenti insonnie dovute al forte coinvolgimento per un testo; ho dovuto sopportare vampate di delirio quando sono rimasta senza niente da leggere; sono stata esposta a attacchi d’angoscia davanti a vuoti di memoria che riguardano alternativamente - o anche in contemporanea - il nome dell’autore, il titolo o il tema del libro; ho sofferto di piccole crisi d’asma causate sia dalla polvere dei libri che dal mio tabagismo. Quindi dolori fisici e spese mediche. Da qui l’enorme buco della Mutua in Francia.

Nell’insieme, una gran quantità di malanni. Buona parte di queste seccature è destinata a scomparire il giorno in cui il libro sarà smaterializzato. Sapendo che durante la mia vecchiaia andrò incontro a una riduzione molto realistica delle mie facoltà mentali, fisiche, economiche e spaziali, dovrei rallegrarmi di poter disporre di questo miracoloso apparecchio che mi consentirà di riporre, mettere in ordine e trasportare una biblioteca in un piccolo parallelepipedo, di reperire immediatamente, digitando “ricerca” un testo integrale, una referenza, una citazione con l'aiuto di una parola chiave.

Grazie a questo stupefacente sistema, il mio compagno e io potremo sbarazzarci di 10000 volumi, traslocare finalmente in due locali, nel pieno centro di Parigi, lungo la Senna, fare finalmente del turismo in tutta leggerezza, senza portarci appresso chili di bagagli come adesso. Vale a dire un miglioramento quotidiano, settimanale e stagionale notevole delle nostre condizioni di vita.

Ma io sto sognando perché l’E-book perfetto è un’utopia. Soprattutto, lo scorrere dei titoli su uno schermo non mi darà mai la felicità (accompagnata dal torcicollo) di esplorare scaffali riempiti di volumi pieni di polvere, sfioriti, stanchi. La possibilità di richiamare tutti i testi esistenti al mondo non riuscirà mai a sostituirsi al piacere di ricercare un titolo e di comprarne poi un altro in libreria. Non riuscirò mai a provare una deliziosa angoscia nel prestare un libro virtuale.

Poiché anch’io so, come tutti i lettori, che parte della mia dipendenza dalla lettura è supportata dal libro stesso che sollecita tutti i nostri sensi: la vista, l’udito, l’olfatto, il tatto e perfino il gusto perché si dice: “Ho divorato tutto il suo libro. E’ gustoso come una leccornia”. Il libro ti dà un piacere fisico anche se si tratta di un’edizione da niente. Lo possiamo manipolare, riempire di foglietti, di annotazioni, farci le orecchie, lo possiamo accatastare, possiamo prestarlo, prenderlo in prestito, perderlo, cercarlo. E’ lo stesso piacere che ci procura il cucinare, malgrado i surgelati e il microonde, quando facciamo un disordine spaventoso nell’angolo di cottura per il piacere di sbucciare, affettare, tagliare, mescolare, infornare, odorare, assaggiare, condire.

Il libro è un supporto sensuale. Se confrontato col mondo moderno, agli occhi di certuni, può sembrare arcaico ma, secondo me, continuerà a vivere finché coesisteranno - generalmente per motivi puramente economici che hanno a che fare con le leggi della domanda e dell’offerta -comodità di natura diversa. Così come la candela è sopravvissuta all’elettricità, il treno all’aereo, il bottone alla cerniera lampo, il legno alla plastica, il macinino del pepe al pepe in polvere. E, volendo calcare ancora di più la mano, vi posso ricordare il ritorno in grande stile del monopattino che ha conosciuto un’eclissi durata una cinquantina d’anni. C’è quindi speranza per i retrogradi, per gli amanti in assoluto del libro.

Ogni volta che lo acquistiamo, ogni volta che lo prendiamo a prestito, il libro sa offrirci un’avventura singolare, che si rinnova a ogni nuovo titolo. E questa storia è racchiusa nelle sue pagine. Il libro è investito del proprio valore cui si aggiungono mille piccole cose che fanno sì che mai un libro nuovo possa rimpiazzare l’esemplare che ci ha fatto scoprire un testo. In origine c’è magari una conversazione fra amici, un articolo letto su un quotidiano, una trasmissione televisiva, una referenza scoperta in un altro libro. Abbiamo preso nota, su un pezzetto di carta, del titolo e del nome dell’autore.

Poi abbiamo perso il foglietto, ci sono restati solo dei frammenti approssimativi di informazione che ci rendono quasi ridicoli. Allora entriamo in libreria, giriamo lentamente attorno ai tavoli delle novità accarezzando col dito le copertine. Prendiamo in mano un libro, lo palpiamo per sentire come ci sta in mano, ne leggiamo il risvolto, guardiamo la foto dell’autore, l’apriamo, ci mettiamo discretamente dentro il naso per sentire se ha o no un buon odore. Siamo entrati alla ricerca di un libro e ne desideriamo altri dieci. Nel migliore dei casi ne compriamo almeno due oltre a quello che stavamo cercando. Vanno a raggiungere il libro che stiamo leggendo all’interno della nostra borsa. Allorché rientriamo a casa e c’è sempre qualcuno cui poter dire: “Guarda, hai comprato X ma già l’avevamo” oppure “C’è stata una trasmissione di pensiero, l’ho comprato io oggi”. E i tre libri vanno ad aggiungersi al mucchio dei libri “da leggere”. Una pila immensa.

Dopo qualche giorno o qualche settimana o qualche mese il libro viene riesumato, rimanipolato, valutato. Inizia il lento processo dell’appropriazione. Inizia allora la vita in comune, breve o lunga a seconda che il testo sia lungo o corto, denso o leggero, fondamentale o superficiale. Può anche accadere che un libro breve, leggero, superficiale resti con noi fino alla morte, per ragioni estranee al testo stesso. Possiamo perfino dimenticarci del suo esatto contenuto, del nome dell’eroe, ma ricordarci invece d’averlo letto in una certa circostanza; d’averlo divorato nel corso di una notte nella stanza da bagno di un albergo per non disturbare il nostro compagno; d’averlo assaporato durante un piovoso fine settimana autunnale, in una casa non riscaldata; d’essercelo portato dietro di città in città per tutta l’Andalusia. L’umidità o la secchezza avranno modificato la struttura delle pagine, la resistenza della colla, avranno fatto “sbucciare” la copertina.

Durante due ore o durante tutto un mese, il libro ci ha accompagnato ovunque: a letto, nella vasca da bagno, nel metro, nei caffè, al ristorante, dagli amici, nei parchi pubblici. Ha affrontato i nostri stati d’animo, buoni o esecrabili che fossero, ha subìto i nostri cattivi trattamenti. Ne conserva le tracce: una goccia di caffè, delle scalfitture, dei grani di sabbia, delle briciole di pane. Testimonia le nostre riflessioni, il nostro rimuginare, le nostre esaltazioni, le esasperazioni, le contestazioni, le evidenziature, le sottolineature e le unghiate discrete. Anche se restano indenni, muti, i libri ci restituiscono dei ricordi. Anche se non ci ricordano niente, sarebbe strano non riuscire a trovarci un segno enigmatico che ci lascia perplessi e che ci racconta una storia. E’ per questo che li conserviamo.

E’ questa la ragione per la quale le nostre biblioteche sono invase di libri che non rileggeremo mai ma che ci trasciniamo di trasloco in trasloco: tutta una collezione di romanzi fantascientifici che ci hanno incantato durante la nostra infanzia, manuali di scuola, un atlante antidiluviano, delle vecchie edizioni di libri tascabili ormai in uno stato pietoso, dei libri che detestiamo ma che ci sono stati regalati da amici che amiamo; libri di autori di cui conosciamo tutte le debolezze. Possiamo rinnegare il nostro passato, ma ci sarà sempre un libro che ci tradirà.

Tanto per ridere, ho immaginato un romanzo poliziesco in cui il solo indizio lasciato dall’assassino accanto alla vittima è un libro. La polizia decide quindi di affidare l’inchiesta a un ispettore bibliomane (ne esistono), un uomo di 37 anni, sposato ma senza figli, perché i figli scarabocchiano i libri. E’ in eterno battibecco con sua moglie per il rumore che fa quando sfoglia i giornali, i settimanali e le riviste scientifiche mentre lui sfoglia le pagine con un dito di velluto. Ma si tratta del solo conflitto che esiste fra loro. E’ molto apprezzato dai suoi colleghi perché preferisce leggere Suetone piuttosto che le riviste porno e i vecchi gialli che circolano al commissariato.

Nessuno meglio di lui sa che i libri “parlano”. Al di là del volgare “Dimmi cosa leggi e ti dirò che sei” (come se in qualità di lettore non si avesse diritto all’eclettismo) esiste una quantità incredibile di indizi in un libro: piccoli scarabocchi cabalistici che il libraio fa sulle edizioni che hanno più di dieci anni, il codice a barre, le microspie. Tutte le tracce di cui ho già parlato (là si tratterà di un po’ di cenere di sigaretta, di un ricordo lasciata da un insetto o un biglietto di cinema) ma anche un segnalibro pubblicitario, delle righe sottolineate. E, evidentemente, le impronte sulla copertina delle quali è stata verificata la non appartenenza alla vittima. L’assassino naturalmente appartiene a quella categoria di lettori che bagnano il dito per girare le pagine - pratica sulla quale mi astengo dall’esprimere un’opinione - e quindi avremo a disposizione anche il suo DNA, anche se troppo tardi.

Non c’è niente di più facile quindi per l’inquirente-lettore del tracciare l’identikit di un criminale che legge Il nome della rosa in edizione corrente, fuma, impiega abbastanza tempo a decifrare il latino da consentire a un insetto di posarsi fra le due pagine, ecc. ecc. L’inchiesta è ancora più facilitata da fatto che si tratta di un libro ponderoso e ingombrante e che ha suscitato molta attenzione. Un testimone ricorda molto bene di aver pensato: “E’ proprio ora di scoprire Il nome della rosa e individuare l’energumeno”. Descrive con molta precisione una signora minuta, bruna, di circa sessant’anni, con un cappotto blu tagliato a sbieco, che beveva un thé al buffet della stazione di Venezia fumando nervosamente delle Craven senza filtro. Questa cosa crea notevole imbarazzo al poliziotto perché la vittima, un autista di taxi del peso di 96 chili, è stato strangolato con il filo del telefono, cosa che implica una notevole forza. Arriva quindi alla deduzione che il libro è stato preso in prestito e ricomincia la sua inchiesta a partire da questa base.

Il mio poliziotto è un tipo metodico e redige un elenco di tutte le manie, delle preferenze, delle avversioni in fatto di libri riguardanti le copertine con rivestimento trasparente, le microspie, i codici a barre, i segnalibri, le fodere, le copertine rivestite, le sovraccopertine, le fascette che annunciano un premio letterario (tutte cose che personalmente lui detesta). Fa l’inventario anche di tutte le persone che amano la carta ordinaria, il carattere Garamont, i libri dalle pagine non rifinite (e in questo caso anche il loro tagliacarte preferito), i libroni, gli ex-libris, il rumore di un libro sfogliato, le dediche da parte dei donatori, le edizioni strane (tutte cose che personalmente lui adora).

Prova una connivenza colpevole nei confronti di quelli che rompono il dorso del libro per poterlo leggere più comodamente, quelli che ricoprono - provvisoriamente - i loro libri per mascherarne il titolo. Nutre una repulsione del tutto irragionevole per chi fa le orecchie alle pagine, per tutti quelli che leggono da dietro le nostre spalle.

Osserva nelle librerie il comportamento degli acquirenti: furtivi o invadenti; decisi o indecisi; sobri o compulsivi; autistici o ciarlieri; fiduciosi o segreti. Nella sua piccola agenda di pegamoide prende nota anche del comportamento dei librai: discreti o tirannici; diffidenti o distratti; settari o ecumenici; rozzi o affabili. Osserva i lettori per la strada, sul metro, nei caffè, sui treni, sugli aerei, nelle macchine della polizia, nei parchi, alla posta (dietro gli sportelli), nelle sale d’attesa degli ospedali. Gli è persino riuscito di vedere un uomo che leggeva un libro al vespasiano.

Scopre delle manie incongrue, specialmente quelle dei collezionisti di refusi tipografici (che segnala alla Buoncostume). Prende nota del fatto che i nani leggono grossi volumi mentre i giganti leggono gli opuscoli. E viceversa.

Vede lettori ovunque. Pensa di essere sul punto di impazzire. Scruta anche i non-lettori, ma solo sotto l’aspetto della lettura. Si tratta di lettori potenziali, di lettori occasionali, di lettori rimasti in panne di libri, di nemici della lettura, di dissimulatori, di analfabeti, di gente troppo educata (non si mangia, non si fuma non si legge in pubblico?).

Grazie a una sofisticatissima rete, il commissario - è diventato commissario - viene a sapere che la copia di Il nome della rosa è stata acquistata il 24 luglio 1999 alla libreria Dante di Palermo assieme a La cognizione del dolore di Gadda, Palomar di Calvino e Se questo è un uomo di Primo Levi. L’acquisto è stato pagato con una carta di credito che scade nel marzo 2000 e che appartiene a Giorgio Carpaccio, domiciliato a Milano, il quale, secondo il venditore, ha comperato questi libri per la nipotina Laura che festeggiava i suoi quindici anni. Ahimé! Giorgio Carpaccio è deceduto il 4 agosto, a casa sua, per una prevedibilissima crisi cardiaca. I suoi averi sono stati spartiti fra i familiari ma i libri, fra i quali quelli acquistati a Palermo, che Laura aveva qualificato “biblioteca del vecchio dinosauro”, sono andati dispersi.

Il nostro commissario orienta a questo punto la sua inchiesta verso i rivenditori, le bancarelle di libri. Queste indagini in un mondo che ama l’incanterebbero se, all’improvviso, non avesse molta fretta. Un macellaio di Siena è stato ucciso a colpi d’ascia. Accanto al cadavere è stata trovata una copia di Palomar di Calvino. A questo punto mi consentirete di ritirarmi per scrivere la fine della mia storia che avrà per titolo Il lettore. Se sarà pubblicata, la dedicherò alla vostra Scuola per Librai.

(traduzione di Franca Crespi)

Annie François è nata nel 1944, lavora in una casa editrice parigina. Ha pubblicato un libricino di cucina dal titolo “Fanes, épluchures et trognos” presso Zouave nel 2000.

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