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Ottone Rosai ad Arezzo



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Riceviamo e pubblichiamo:


Arezzo accoglie nella Galleria Comunale d’Arte Contemporanea un’ampia mostra antologica dedicata al grande maestro che del popolo e della terra di Toscana è stato inimitabile "cantore". Dal 10 novembre 2001 al 20 gennaio 2002 sarà infatti possibile ammirare dipinti e disegni, tra cui molti inediti.

La mostra è curata da Luigi Cavallo in collaborazione con Giovanni Faccenda, direttore artistico della Galleria Comunale d’Arte Contemporanea di Arezzo. Patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, del Ministero per gli Affari Esteri e della Regione Toscana. E’ posta sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica.

 

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La mostra

L’esposizione presenta quaranta oli e quaranta disegni dal 1913 al 1954; selezione che permette di ripercorrere l’itinerario di uno dei più interessanti e originali maestri del novecento storico. La rassegna monografica, prestigiosa per la qualità dei dipinti e dei disegni, molti dei quali mai esposti prima, provenienti da musei e collezioni private, ha quale filo conduttore l’umanità e il suo mistero partecipato da Rosai con sguardo commosso: "Voglio scoprire l’anima della mia creatura, il suo viso interno, voglio trovare il suo dramma (…). La mia vita e la mia arte sono corse avanti con me, io credo alla strada, ai fatti della strada, alla vita vivente e mutevole, all’umanità cui piace stare in piedi e mordere il vento e l’azzurro delle salite".

Lo spettatore viene immerso in questa realtà umana e drammatica in cui aleggia un senso di smarrimento di fronte agli eventi. Come Luigi Cavallo sottolinea in catalogo "non siamo soltanto in una mostra di quadri, ma nell’esposizione di una coscienza e di un cuore". Ecco i temi a Rosai più cari, le vie, le case, i caffè, dove la gente si incontra, cammina, si ferma; luoghi da lui frequentati e perciò fissi nella sua memoria, luoghi ora chiusi e illuminati artificialmente, ora aperti e immersi in una luce naturale e carezzevole (Interno di caffè, Chiacchiere in Via Toscanella, Carabinieri, Suonatori ambulanti, Uomo sulla panchina, I pretini).

Ecco gli aperti spazi della campagna toscana con paesaggi dalle vegetazioni odorose, dolcemente rischiarati dal tepore della luce solare che riportano l’uomo a riscoprire la natura in momenti di abbandono di fronte a tanta bellezza (Colline fiorentine, Il cancelletto rosso, Via Santa Margherita a Montici). Luoghi che raccontano storie, stati d’animo di ansia e solitudine, ma anche di serenità nel contatto diretto con la natura.

"I disegni di Rosai fanno vedere il fondo più schietto della sua tecnica pittorica. Sono violenti, affondati in un segno denso, energico, che rivela a meraviglia quale aspra e ruvida violenza costruttiva, che non elide il più fine senso pittorico, viva e palpiti sotto le apparenze ingenue e popolaresche della tecnica pittorica di Rosai e, come in un primitivo del Duecento, sia la profonda e nobile ragione della sua arte e delle sue creazioni" (Mario Sironi). Importante la sezione dedicata ai disegni, molti provenienti dalle carte private di Rosai. Si tratta di disegni che l’artista tracciava rapidamente sulle lettere che gli rimanevano in tasca o sui foglietti che usava per scrivere nei caffè da lui frequentati; disegni che come tasselli ricompongono la biografia della sua anima, il suo essere inquieto.

Pagine espressive e potenti nella loro essenzialità, toccanti e incisive nel cogliere sguardi, atteggiamenti di persone sedute al bar (Donne sedute, Uomini al caffè, Volto di uomo, Omino seduto col bicchiere, Omino seduto che fuma) o incontrate per strada (Mina, Ritratto di Dino, Omino seduto) in cui traspare, accanto a una malinconica rassegnazione, un senso di orgoglio.

L’opera

Pittore di respiro europeo, Rosai si fa interprete sensibile dell’esistenza umana, scandita da volti, gesti, atteggiamenti dei suoi personaggi in cui appaiono tormenti, disagi, ma anche bagliori di speranza. Sentimenti della gente povera, quella ai margini della vita.

Firenze, sua città natale, e la Toscana diventano specchio di un viaggio interiore di cui Rosai si fa interprete e protagonista, scavando con tocchi decisi e corposi nelle pieghe di una realtà sofferta, abbandonata a se stessa, ma pronta al riscatto della propria dignità.

Protagonisti della sua pittura sono popolani, contadini, venditori ambulanti, cantastorie, artigiani, gente di strada; individui incontrati, inseguiti e spiati lungo i vicoli dell’Oltrarno, nei caffè, nelle osterie, nelle piazze. Con essi l’autore ama identificarsi, proiettandovi certi suoi stati d’animo, difetti e passioni.

E’ l’esperienza di guerra e dopoguerra a orientare talvolta il senso della sua arte: arte che parla all’uomo dell’uomo, che diventa testamento spirituale di quell’eterno conflitto fra disperazione e speranza, angoscia e serenità.

Accanto a questa sofferta analisi sull’esistenza e sul destino dell’uomo si fa strada l’interesse di Rosai per la natura, osservata anch’essa nei diversi volti: paesaggi, vedute, orizzonti di cieli che si scorgono attraverso caseggiati e vicoli aprono a una dimensione interiore in cui ripensare se stessi e il proprio rapporto con l’universo. A dare forma e anima a questi paesaggi, come ai suoi popolani è il colore denso, pastoso, in una parola corposo, materico, ed è qui che può scorgersi "l’umanità" della tecnica. Anche la luce gioca un ruolo incisivo nei vari scenari chiusi o all’aperto: luce carezzevole e languida, ma anche drammatica.

Da questo male di vivere emerge una profonda solitudine che accompagna come un’ombra i suoi protagonisti.

A dare forza e incisività a un universo che racconta diverse storie, accomunate da un medesimo malessere di fondo, è un’arte capace di modulare il proprio linguaggio in sintonia con le esigenze espressive dell’autore e con i fenomeni storico-sociali. Prima il suo incontro con i futuristi e il suo attingere con curiosità a quei nuovi dettami che Rosai riesamina con varianti cubiste secondo la lezione di Soffici, suo vero maestro. Poi un interesse verso poetiche, fra primitivismo e metafisica, da cui trae un percorso tutto suo, originale e individuale. Nel pieno della maturità nascono composizioni di forte effetto plastico in cui figure, forme e strutture acquistano consistenza di grande modernità vivendo nel pieno della luce.

La vita

Terzo di quattro figli, Ottone Rosai nasce a Firenze il 28 aprile del 1895. Mostrata spiccata attitudine per l’arte fin dalle scuole elementari, è iscritto all’Istituto di Arti Decorative di Piazza Santa Croce per studiare disegno ornato e successivamente nel 1908 all’Istituto di Belle Arti che lascia nel 1913 insofferente alla disciplina della vita scolastica. Si distingue per il temperamento impulsivo e irrequieto che lo porta a preferire al chiuso delle aule il contatto diretto con le strade e gli artigiani che frequentano la bottega del padre intagliatore e falegname.

Nel 1913 partecipa alla mostra di incisioni degli allievi che si tiene nell’Istituto di Belle Arti di Firenze e nello stesso anno viene a contatto con il movimento futurista da cui trae ispirazione, diventando amico di alcuni esponenti del gruppo, Soffici, Carrà, Severini; partecipa ad alcune serate futuriste e all’ "Esposizione libera futurista" che si tiene a Roma nel 1914.

Dopo aver partecipato con cinque opere all’"Esposizione Nazionale Futurista", 1919, dagli anni Venti si orienta verso un linguaggio espressivo che ha come punto di riferimento la realtà e l’uomo; in questo senso guarda al passato, al primo Rinascimento e in particolare ai grandi maestri fiorentini Giotto, Beato Angelico, Masaccio.

La morte del padre nel 1922 lo segna profondamente, mettendolo di fronte alla difficile situazione economica creatasi per i debiti famigliari.

Inizia a esporre con continuità in diverse città italiane: Firenze, Roma, Milano, Venezia dove partecipa a varie Biennali, giungendo al successo tanto atteso nel 1932 con una personale presso la Galleria di Palazzo Ferroni a Firenze. L’anno seguente, 1933, Rosai firma il "Manifesto Realista" insieme ad Alberto Luchini, Gioacchino Contri, Romano Bilenchi, Alfio Del Guercio, manifesto che esalta la cultura fascista, definita realista in contrapposizione all’idealismo gentiliano.

Continua a esporre - Firenze, Venezia, Genova -, partecipa alle Quadriennali di Roma; nel 1939 diventa professore di figura disegnata presso il Liceo Artistico di Firenze e nel 1942 gli viene assegnata la cattedra di pittura all’Accademia fiorentina.

La sua attività espositiva si fa più intensa, come la sua pittura che lo assorbe completamente, a partire dal 1950 si fa conoscere in ambito internazionale, partecipando a rassegne artistiche a Zurigo, Parigi, Londra, Monaco di Baviera.

Il 13 maggio del 1957, a Ivrea per curare l’allestimento di una sua personale, Rosai viene colto da infarto e muore a 62 anni.

Ottone Rosai Umanità: immagine e segno
Arezzo - Galleria Comunale di Arte Contemporanea
Sala Sant’Ignazio, Via Carducci 7 (ingresso Via Cesalpino, 15)
Sabato 10 novembre 2001 - Domenica 20 gennaio 2002
Catalogo: Il catalogo contiene saggi di Luigi Cavallo e Giovanni Faccenda, direttore artistico della Galleria Comunale di Arte Contemporanea di Arezzo. Biografia e bibliografia a cura di Oretta Nicolini. La traduzione in inglese dei testi è di Simon Turner.
Masso delle Fate Edizioni; pp. 280; L. 50.000.
Orario: feriali 10.00-13.00; 16.00-20.00; festivi: 10.00-20.00; chiuso il lunedì
Costo del biglietto: L.10.000 intero; L.5.000 ridotto per gruppi fino a 25 persone e per i giovani fino a 18 anni. Gratuito per i visitatori oltre i 65 anni (escluso i festivi) e sotto i 14 anni.
Per informazioni: tel.0575/377507

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