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Non basta navigare a vista

Giancarlo Bosetti


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"Questo articolo e' anche la risposta che il direttore di Caffe' Europa ha inviato alla rivista 'Il Ponte', che ha chiesto a lui e ad altri di tentare un bilancio di questi anni di governo del centrosinistra italiano"

Giancarlo BosettiLe difficolta’ di un bilancio del centrosinistra italiano cominciano dal fatto che è difficile mettersi d’accordo su che cosa è. Come tutti sanno la coalizione che ha vinto le elezioni politiche del 1996 era l’Ulivo, nato dalla confluenza dei Ds con il Partito popolare, i Verdi, la lista Dini e con gli accordi di desistenza pattuiti con Rifondazione comunista. Con la caduta del governo Prodi-Veltroni, ad opera di Bertinotti, il soggetto che gli elettori avevano scelto si è incrinato, nel senso che veniva meno un sostegno esterno, ma che era parte del gioco fin dall’inizio, e nel senso che non aveva piu’ i voti per continuare a governare.

L’entrata in scena dei voti parlamentari di Cossiga e Mastella ha cambiato la natura del soggetto. La legittimita’, e forse anche la opportunita’, delle manovre di recupero che hanno portato al governo D’Alema, non toglie che la continuita’ di quel soggetto, l’Ulivo, è stata interrotta. La sua identita’ non è stata sconvolta, ma certamente modificata. E in politica le questioni di identita’ contano, perche’ mettono in dubbio il "chi?", un "chi?" in Italia gia’ straordinariamente complicato dalla necessita’, per tentare di governare nelle condizioni date, di mettere insieme coalizioni comunque poco omogenee sia a sinistra che a destra.

Si puo’ dunque fare un bilancio sia del governo Prodi che del governo D’Alema, ma una lista delle realizzazioni, che vede in primo piano l’unita’ monetaria europea per il primo e la salda conduzione della guerra del Kosovo per il secondo, piu’ una decorosa gestione generale della cosa pubblica in un mare di difficolta’ da parte di entrambi, non risolve il problema fondamentale: i bilanci di questo genere servono per definire il cammino politico presente e futuro. E qui il "chi?" è lo scoglio che puo’ provocare il naufragio. Se invece il centrosinistra (continuiamo a chiamarlo cosi’ per comodita’ di riferimento, lasciando impregiudicata, per il momento, la soluzione dell’enigma della sua identita’) riuscira’ ad aggirare quello scoglio, è possibile invece non solo evitare il naufragio, ma ritrovare una rotta ben definita.

Non si tratta solo di chiarire in tempi ragionevoli, ben prima delle elezioni, e con determinazione, chi sara’ il candidato premier della coalizione, si tratta di definire con certezza la natura stessa della coalizione (chi ne fa parte e chi no) ed i suoi progetti. E si dovra’ evitare la tentazione, molto forte con il sistema elettorale tuttora in vigore, di giocare la carta dell’indeterminazione confidando di trarne un beneficio in voti. Il che non vuol dire fare una campagna elettorale da fessi, programmando la propria sconfitta nel nome della chiarezza, ma spostare decisamente l’attenzione sul contenuto del dialogo tra leadership politica e opinione pubblica, proprio quel contenuto che in questi anni è passato inesorabilmente in secondo piano, scalzato dai conflitti politici interni alle coalizioni (il che vale anche per il centrodestra, naturalmente) e dagli innegabili ostacoli istituzionali (legge elettorale).

Lo sforzo che fece l’Ulivo nel 1996 andava in questa direzione e infatti fu premiato. La maggioranza che ha appoggiato D’Alema, per ragioni strutturali, non poteva certo fare della chiarezza progettuale un suo punto di forza. La navigazione a vista è stata necessitata dalla comprensibile priorita’ che si è data a una relativa continuita’ dell’azione di governo: impedire agli avversari di governare con i mezzi consentiti dalla legalita’ democratica è una aspirazione giustificata e condivisibile; è parte vitale del gioco stesso della democrazia. Ma è evidente che questo carattere "negativo" della politica democratica – che ne è, insisto, un tratto essenziale e niente affatto esecrabile – non è piu’ sufficiente ad alimentare una vita politica normalmente sana.

Una larga parte della opinione pubblica vede come un pericolo un governo Berlusconi, ma questo consenso in negativo ("Vi accettiamo in quanto riuscite a sbarrare la strada agli altri") non basta piu’ ad arginare il crescente distacco dalla politica, il fastidio verso una classe dirigente che non riesca piu’ a far coincidere pienamente le proprie sorti con un disegno limpido di modernizzazione e incivilimento del paese.

C’è un deficit del discorso pubblico italiano, appesantito dal blocco istituzionale e reso ancora piu’ acuto dalla crisi, avvenuta in tempi rapidissimi, dei partiti di massa, che alimentavano la vita politica in una grande varieta’ di modi: selezione dei dirigenti, formazione, mediazione e rielaborazione delle spinte corporative e settoriali. In questo vuoto la comunicazione si è quasi interamente trasferita nei mass-media, che per la loro stessa natura comportano semplificazione, impoverimento dei temi, esaltazione dei conflitti, personalizzazione (una personalizzazione in Italia molto frammentata dalla moltiplicazione dei partiti e dunque piu’ debole e litigiosa che nei sistemi saldamente bipolari o bipartitici), offuscamento dei contenuti essenziali della politica interna ed internazionale.

Quel deficit è spaventosamente complicato dai disturbi cronici del paesaggio mediatico italiano, soprattutto di quello televisivo: sul lato privato perdura una condizione di monopolio dominata dal capo dell’opposizione in conflitto di interesse (e non sto qui dicendo che la rimozione di questa condizione debba essere preliminare a una normalizzazione del dialogo politico nazionale, sto solo descrivendo le cause della sua poverta’), sul lato pubblico perdura la ingombrante estensione di una entita’ come la Rai, che esalta gli appetiti di occupazione dei partiti.

In queste condizioni ai leaders del centrosinistra si richiede uno sforzo eccezionale per raddrizzare e rimettere in cammino il soggetto politico e di governo per la prossima stagione. L’obbiettivo dell’impresa deve essere quello di ristabilire una comunicazione pubblica, di quello che sara’ il nuovo Ulivo o comunque si chiami, basata su una idea del paese e della sua modernizzazione, nel nome dei valori chiave della legalita’, della giustizia sociale, della qualita’ dell’ambiente e della vita che vi conduciamo. Se non si rovescia una situazione che, implacabilmente, ripropone in primo piano il tema delle sorti degli esponenti della classe politica, il logoramento della partecipazione democratica e della stessa partecipazione al voto proseguira’ aprendo spazi sconfinati all’astensionismo, al qualunquismo e al populismo.

I processi degenerativi sono accelerati anche da un altro fenomeno. Le tendenze dell’economia internazionale, la spinta verso una competizione sempre piu’ aperta, le necessarie riforme che muovono in direzione di una maggiore mobilita’ e flessibilita’ del lavoro, la tragedia della disoccupazione giovanile fanno comunque pensare a un futuro carico di incertezze e rischi che non potranno piu’ essere affrontati a piene mani con i vecchi strumenti assistenziali, piu’ o meno ortodossi. Agli individui si chiede continuamente una maggiore responsabilita’, devono fare affidamento di piu’ su se stessi e di meno sulla protezione dello Stato (questa è in sostanza la corrente principale che trascina tutte le acque a valle). Il punto focale di tutte le politiche riformatrici non puo’ che essere rivolto a curare la dotazione fondamentale di questi individui in termini di formazione, di capacita’ di innovazione e di adattamento al nuovo.

Le politiche dell’istruzione – è ovvio – devono essere e saranno a lungo il cuore delle politiche dei governi di centrosinistra in tutta Europa. Nessuna maggiore responsabilita’ degli individui verso se stessi e verso la societa’ sara’ possibile senza una loro crescita culturale. E qui il ruolo dello Stato puo’ essere integrato dall’iniziativa privata ma è assolutamente insostituibile. Bisogna pero’ aggiungere che questa crescente, indispensabile, responsabilita’ degli individui di un paese in cammino verso una maggiore civilta’ comporta una conseguenza cruciale sul modo in cui si fa politica, sulla sostanza dell’attivita’ politica e sullo stile dei politici.

"Reset" ha dedicato a questo tema, l’"anima" della politica, una serie di dossier negli ultimi mesi, con contributi di Amato, Veltroni, Cofferati, Blair, Giddens, Christie, De Foucauld e del sottoscritto. E ad essi rimando. Individui piu’ soli e piu’ esposti alle incertezze, individui cui si chiede di piu’ di fronte alla crisi delle vecchie istituzioni protettive, sono anche individui che esigono di piu’ dalla politica e dai suoi leaders: una comunicazione piu’ sobria ed essenziale, comportamenti esemplari, un dialogo meno ossessionato da dichiarazioni quotidiane sulle geometrie partitiche e piu’ ricco di motivazioni di fondo, di preoccupazione per le sorti della gente comune, di visione di lungo periodo. E persino, se se ne è capaci, di una ispirazione morale. La quale, ultima, è buona, sia detto per inciso, solo quando è autentica. Non spaventi la parola "morale".

La sinistra italiana disponeva di un capitale di quella natura. Non sarebbe affatto un male se si riuscisse a salvarne una parte e, se possibile, a rigenerare il patrimonio e a rimetterlo a frutto. Solo un terribile malinteso puo’ confondere la liberazione dalle vecchie dottrine, salutare e irreversibile, con la liquidazione di quel patrimonio.


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