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Per non rassegnarsi all'abisso fra politica e felicitą

Giancarlo Bosetti


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Giancarlo BosettiAllora, nel 1968, quando Herbert Marcuse era l'anima, lo spirito, le idee della rivolta giovanile nel mondo, la filosofia si occupava di felicita', cercava con un ardimento oggi sconosciuto quella sintesi di eros e logos, di desiderio e ragione, di liberta', gioco, sensualita', tolleranza che da Platone in poi ha tenuto impegnati i professionisti dell'indagine sul mistero della condizione umana. Allora si cercava una "quadratura del cerchio", forse piu' vaga di quella dei parametri di Maastricht, forse meno rigorosa di quella che chiede oggi Dahrendorf (liberta', benessere, coesione sociale), ma straordinariamente ambiziosa, seducente, trascinante per milioni di ragazzi: combinare liberazione e istinti in una rivoluzione che, se proprio non si poteva fare, si poteva almeno immaginare.

Immaginarla, almeno, la rivoluzione: come Halprin, la ragazza di "Zabriskie Point" (il prodotto piu' marcusiano del cinema contemporaneo) immagina l'esplosione finale della villa dello speculatore, la gioia festosa della distruzione dei simboli della societa' repressiva, una gioia che si ripete e si dilata infinita come un abbraccio d'amore. I titoli di Marcuse erano in bocca a tutti 'Ragione e rivoluzione', 'Eros e civilta', 'L'uomo a una dimensione', anche a quelli che ne avevano visto solo le copertine (come sempre, la maggioranza), erano un "passi" per arrivare al cuore delle ragazze e dei ragazzi. Nei campus di Berkeley come a Parigi, Milano, ma anche a Belgrado e a Budapest, davanti a una birra si cominciava a chiacchierare di "Es", di energia libidica, alienazione e si finiva per progettare manifesti, cortei, rivolte, fidanzamenti, magari tutto insieme: la quadratura del cerchio, contestatori e felici.

Oggi che la felicita' (e ancora piu' di lei la rivoluzione) e' cosi' lontana dalla conversazione politica pubblica, oggi che abbiamo imparato (in verita' l'aveva gia' spiegato a chiare lettere Kant) da buoni liberali a non farci gli affari degli altri, a lasciare che ciascuno si occupi della sua propria felicita', del suo progetto di vita, secondo i gusti piu' disparati, oggi le pagine di Marcuse sembrano venire da un'epoca lontana e strana quando l'utopia si mescolava alla vita di tutti i giorni. Che farsene oggi del pensiero di Marcuse? Rileggiamolo almeno per una ragione: per domandarci se l'eliminazione totale dal discorso sui pubblici affari del tema della vita buona e felice non sia un errore, per domandarci se l'abisso che si e' aperto tra la politica e la vita non debba essere scrutato con preoccupazione e se quella distanza (politica ridotta a mediazione di interessi di qua, vita piena di gioie e ansie escluse dal discorso pubblico di la') non possa essere ridotta con qualche strumento sofisticato e leggero, che non ci riproponga le vecchie ideologie, ma non ci lasci neppure a secco di umanita', appena usciamo da casa.

Ah l'Aufhebung hegeliana! Mitica parola che ci insegue da duecento anni, da quando Hegel la impiego' per descrivere il modo in cui lo spirito (che vuol dire la coscienza, il mondo, tutto) cammina. Vuol dire "superamento", un "superamento" che va al di la' della stazione precedente ma che, andando al di la', insieme supera e conserva: il risultato finale sara' nuovo e diverso ma portera' le tracce, le cicatrici, del percorso. Marcuse nella Aufhebung vede soprattutto il segno dell'eccedenza della condizione umana, la stessa filosofia e' un eccedere, un uscir fuori dalla condizione data, il pensiero, la ragione non si fermano mai, non si appagano, cercano la stazione successiva.

Il motore di questo procedere e' il desiderio, sono le pulsioni che spingono fuori dalla nicchia precedente a cercarne una nuova, piu' grande e piu' bella, il motore e' la vita che si fa critica del presente, rifiuto, negazione, avanzamento, il motore e' la critica, la fatica instancabile del negativo. Siamo sempre "di piu'" di quello che abbiamo fatto e facciamo. Tra la realta' che abbiamo conquistato e la possibilita' che ci balena davanti la tensione si riapre continuamente, ogni volta. Tra l'essere e il poter essere scocca una nuova scintilla. E lo spirito va. E con lui avanza il mondo.

Nella potenza del negativo sta per Marcuse l'essenza dell'hegelismo, vale a dire del pensiero che prepara il terreno al marxismo. Ma non e' quel genere di rivoluzione, quella socialista, che interessa Marcuse (che critica il dogmatismo comunista in Marxismo sovietico, nel 1958), neppure gli interessa il riformismo della Seconda Internazionale. Altro va cercando il nostro, la sua ispirazione rivoluzionaria, la sua potenza del negativo puntano in direzione del problema della felicita' nella societa' del Novecento.

La psicanalisi freudiana fornisce la conoscenza delle energie e delle pulsioni che dominano l'io e mostra come il desiderio, la sensualita' e il gioco abbiano un potenziale di emancipazione per gli individui. Ma per Marcuse il progetto di gioiosa liberazione personale incontra ostacoli insidiosi e sottili: la societa' contemporanea e' solo apparentemente permissiva, in realta' reprime e schiaccia l'autodeterminazione, costringe a comportamenti uniformi, scatena forme illusorie di liberazione, che spesso si riducono alla scelta della marca dei gadget messi a disposizione nei supermercati.

Non solo, la stessa psicanalisi e' uno strumento a doppio taglio. Se impugnata dal lato del potere repressivo, fa diventare il "principio di realta'" un modo per imbrigliare le pulsioni e spegnere liberta' e felicita'. In quel caso la psicanalisi rinuncia alla propria potenza del negativo e si riduce a una terapia per adattare gli individui alle condizioni che trovano, quali che siano. E' un processo che Marcuse chiama di "desublimazione repressiva", di "blocco sociale della coscienza".

Altro che felicita' creativa e giocosa sull'onda di una libido in festa! Tutti sotto il giogo di una condizione repressa e costretti dall'organizzazione sociale e dalla tecnica a piegare i desideri alle necessita' di un lavoro alienato. E solo una rivoluzione potrebbe in effetti mettere fine, secondo Marcuse, come secondo Marx, a questa alienazione. Ma c'e' un problema: come e' tipico di Marcuse e di una gran parte dei movimenti studenteschi la classe operaia e' vista come un partner desiderato per la rivoluzione ma anche molto temuto per la sua tendenza a farsi assimilare dal sistema capitalistico.

Piu' che un progetto politico di rivoluzione quello di Marcuse e' un tentativo filosofico di superare Freud e Marx utilizzando tutti i loro strumenti psicologici e sociali per decifrare la condizione umana nella nostra epoca. Se lo consideriamo portatore di un disegno politico, Marcuse appare come un assoluto pessimista, sempre alla ricerca di soggetti che sostengano l'utopia emancipatrice: gli studenti, gli intellettuali, gli emarginati, i poveri del mondo, ma sempre anche piuttosto convinto che questi soggetti non ce la faranno a rovesciare l'equilibrio della societa' repressiva sia perche' troppo deboli, sia perche', soprattutto, la macchina capitalistica e' congegnata in modo, agli occhi di Marcuse, da "integrare" sistematicamente i portatori di alternative, a cominciare da quella classe operaia alla quale il marxismo attribuiva una funzione salvifica.

La societa' industriale avanzata, il modello americano, sembrano costruiti in modo da vanificare ogni ipotesi di rottura. Uniformita', omogeneita', integrazione, l'uomo a una dimensione non e' capace di opposizione. Una societa' che opprime attraverso il comfort, che mantiene il suo potere neocoloniale sul Sud del mondo, che offre con la pornografia una soluzione commerciale alle pulsioni sessuali, che costringe a una uniforme "neolingua" di tipo orwelliano (quello che oggi l'estrema sinistra chiama il "pensiero unico"), che tende a una forma di totalitarismo mascherato non avrebbe vie d'uscita se non fosse per qualche sprazzo di rivolta: gli studenti, il Vietnam.

Ma per lo piu' Marcuse vede crescere frustrazione e aggressivita' nelle societa' contemporanee, non rivoluzioni. L'uomo a una dimensione ha perso l'autonomia della sua personalita', non ha piu' umanesimo, non conosce valori ideali e romantici. E tuttavia non e' escluso (qualche volta Marcuse mostra di crederlo) che una esplosione gli faccia ritrovare la sua multidimensionalita'.

Ma non si leggera' oggi Marcuse per rimettere insieme i cocci di un progetto antagonistico per la sinistra. E' piu' probabile che le sue pagine tornino ad esercitare un fascino filosofico come una delle parti piu' brillanti di una tradizione critica che ha mescolato, e sviluppato, il marxismo in forme del tutto eterodosse con la critica heideggeriana della tecnica e con la critica freudiana della repressione degli istinti. E lo si leggera' anche per la qualita' della sua interpretazione di Hegel e della Fenomenologia dello spirito, un luogo di passaggio obbligato per tutto il pensiero del Novecento.

Marcuse intendeva soprattutto sottrarre Hegel dalle accuse che lo volevano precursore del fascismo e del nazismo. Voleva infatti preservare quella idea di "filosofia negativa", che ha nella dialettica il motore del progresso, da ogni contaminazione con i regimi totalitari e tendeva ad attribuire quel genere di guasti alle "filosofie positive" (positivistiche e scientiste) con gli eccessi della razionalizzazione e della tecnocrazia che ne vedeva scaturire. Uno dei passi piu' belli di "Ragione e rivoluzione" e' quello in cui Marcuse ci fornisce la sua interpretazione della dialettica tra signoria e servitu', dalla scoperta che "l'individuo puo' diventare cio' che e' solo attraverso un altro individuo", che la sua stessa esistenza consiste nel suo 'essere per un altro' fino alla lotta per la vita e per la morte e all'emergere del lavoro come costitutivo della stessa realta' e come luogo di origine della liberta'.

Una delle accuse a carico della societa' capitalistica contemporanea, da parte di Marcuse, e' proprio quella di avere annichilito questo potenziale di liberta'. L'incubo che i fondatori del comunismo avevano fatto fin dall'origine del loro "socialismo scientifico" (quello che i proletari invece di associarsi in un progetto comune tentassero individualmente la via della fuga e della promozione sociale) si era in gran parte compiuto dopo la meta' di questo secolo. Non bastava piu' allora proseguire un cammino emancipatorio ormai inquinato e deviato, bisognava fare appello ad altre forze.

"L'uomo a una dimensione" propone di riunire ai lavoratori gli intellettuali in un Grande Rifiuto. Se la "negazione determinata" di hegeliana memoria non bastava piu' si doveva procedere alla "negazione indeterminata", cioe' alla negazione totale. E se le condizioni di un'esplosione comunque non si creano, mettiamoci almeno in condizione di immaginarla, come l'eroina di Antonioni. Per Marcuse e' un atto di liberta' che rompe la gabbia della societa' a una dimensione e ci rimette a contatto con l'energia vitale del desiderio, da dove tutto ricomincia.


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