Immaginarla, almeno,
la rivoluzione: come Halprin, la ragazza di "Zabriskie Point" (il prodotto piu'
marcusiano del cinema contemporaneo) immagina l'esplosione finale della villa dello
speculatore, la gioia festosa della distruzione dei simboli della societa' repressiva, una
gioia che si ripete e si dilata infinita come un abbraccio d'amore. I titoli di Marcuse
erano in bocca a tutti 'Ragione e rivoluzione', 'Eros e civilta', 'L'uomo a una
dimensione', anche a quelli che ne avevano visto solo le copertine (come sempre, la
maggioranza), erano un "passi" per arrivare al cuore delle ragazze e dei
ragazzi. Nei campus di Berkeley come a Parigi, Milano, ma anche a Belgrado e a Budapest,
davanti a una birra si cominciava a chiacchierare di "Es", di energia libidica,
alienazione e si finiva per progettare manifesti, cortei, rivolte, fidanzamenti, magari
tutto insieme: la quadratura del cerchio, contestatori e felici.
Oggi che la felicita' (e ancora piu' di lei la rivoluzione) e' cosi'
lontana dalla conversazione politica pubblica, oggi che abbiamo imparato (in verita'
l'aveva gia' spiegato a chiare lettere Kant) da buoni liberali a non farci gli affari
degli altri, a lasciare che ciascuno si occupi della sua propria felicita', del suo
progetto di vita, secondo i gusti piu' disparati, oggi le pagine di Marcuse sembrano
venire da un'epoca lontana e strana quando l'utopia si mescolava alla vita di tutti i
giorni. Che farsene oggi del pensiero di Marcuse? Rileggiamolo almeno per una ragione: per
domandarci se l'eliminazione totale dal discorso sui pubblici affari del tema della vita
buona e felice non sia un errore, per domandarci se l'abisso che si e' aperto tra la
politica e la vita non debba essere scrutato con preoccupazione e se quella distanza
(politica ridotta a mediazione di interessi di qua, vita piena di gioie e ansie escluse
dal discorso pubblico di la') non possa essere ridotta con qualche strumento sofisticato e
leggero, che non ci riproponga le vecchie ideologie, ma non ci lasci neppure a secco di
umanita', appena usciamo da casa.
Ah l'Aufhebung hegeliana! Mitica parola che ci insegue da duecento
anni, da quando Hegel la impiego' per descrivere il modo in cui lo spirito (che vuol dire
la coscienza, il mondo, tutto) cammina. Vuol dire "superamento", un
"superamento" che va al di la' della stazione precedente ma che, andando al di
la', insieme supera e conserva: il risultato finale sara' nuovo e diverso ma portera' le
tracce, le cicatrici, del percorso. Marcuse nella Aufhebung vede soprattutto il segno
dell'eccedenza della condizione umana, la stessa filosofia e' un eccedere, un uscir fuori
dalla condizione data, il pensiero, la ragione non si fermano mai, non si appagano,
cercano la stazione successiva.
Il motore di questo procedere e' il desiderio, sono le pulsioni che
spingono fuori dalla nicchia precedente a cercarne una nuova, piu' grande e piu' bella, il
motore e' la vita che si fa critica del presente, rifiuto, negazione, avanzamento, il
motore e' la critica, la fatica instancabile del negativo. Siamo sempre "di
piu'" di quello che abbiamo fatto e facciamo. Tra la realta' che abbiamo conquistato
e la possibilita' che ci balena davanti la tensione si riapre continuamente, ogni volta.
Tra l'essere e il poter essere scocca una nuova scintilla. E lo spirito va. E con lui
avanza il mondo.
Nella potenza del negativo sta per Marcuse l'essenza dell'hegelismo,
vale a dire del pensiero che prepara il terreno al marxismo. Ma non e' quel genere di
rivoluzione, quella socialista, che interessa Marcuse (che critica il dogmatismo comunista
in Marxismo sovietico, nel 1958), neppure gli interessa il riformismo della Seconda
Internazionale. Altro va cercando il nostro, la sua ispirazione rivoluzionaria, la sua
potenza del negativo puntano in direzione del problema della felicita' nella societa' del
Novecento.
La psicanalisi freudiana fornisce la conoscenza delle energie e delle
pulsioni che dominano l'io e mostra come il desiderio, la sensualita' e il gioco abbiano
un potenziale di emancipazione per gli individui. Ma per Marcuse il progetto di gioiosa
liberazione personale incontra ostacoli insidiosi e sottili: la societa' contemporanea e'
solo apparentemente permissiva, in realta' reprime e schiaccia l'autodeterminazione,
costringe a comportamenti uniformi, scatena forme illusorie di liberazione, che spesso si
riducono alla scelta della marca dei gadget messi a disposizione nei supermercati.
Non solo, la stessa psicanalisi e' uno strumento a doppio taglio. Se
impugnata dal lato del potere repressivo, fa diventare il "principio di realta'"
un modo per imbrigliare le pulsioni e spegnere liberta' e felicita'. In quel caso la
psicanalisi rinuncia alla propria potenza del negativo e si riduce a una terapia per
adattare gli individui alle condizioni che trovano, quali che siano. E' un processo che
Marcuse chiama di "desublimazione repressiva", di "blocco sociale della
coscienza".
Altro che felicita' creativa e giocosa sull'onda di una libido in
festa! Tutti sotto il giogo di una condizione repressa e costretti dall'organizzazione
sociale e dalla tecnica a piegare i desideri alle necessita' di un lavoro alienato. E solo
una rivoluzione potrebbe in effetti mettere fine, secondo Marcuse, come secondo Marx, a
questa alienazione. Ma c'e' un problema: come e' tipico di Marcuse e di una gran parte dei
movimenti studenteschi la classe operaia e' vista come un partner desiderato per la
rivoluzione ma anche molto temuto per la sua tendenza a farsi assimilare dal sistema
capitalistico.
Piu' che un progetto politico di rivoluzione quello di Marcuse e' un
tentativo filosofico di superare Freud e Marx utilizzando tutti i loro strumenti
psicologici e sociali per decifrare la condizione umana nella nostra epoca. Se lo
consideriamo portatore di un disegno politico, Marcuse appare come un assoluto pessimista,
sempre alla ricerca di soggetti che sostengano l'utopia emancipatrice: gli studenti, gli
intellettuali, gli emarginati, i poveri del mondo, ma sempre anche piuttosto convinto che
questi soggetti non ce la faranno a rovesciare l'equilibrio della societa' repressiva sia
perche' troppo deboli, sia perche', soprattutto, la macchina capitalistica e' congegnata
in modo, agli occhi di Marcuse, da "integrare" sistematicamente i portatori di
alternative, a cominciare da quella classe operaia alla quale il marxismo attribuiva una
funzione salvifica.
La societa' industriale avanzata, il modello americano, sembrano
costruiti in modo da vanificare ogni ipotesi di rottura. Uniformita', omogeneita',
integrazione, l'uomo a una dimensione non e' capace di opposizione. Una societa' che
opprime attraverso il comfort, che mantiene il suo potere neocoloniale sul Sud del mondo,
che offre con la pornografia una soluzione commerciale alle pulsioni sessuali, che
costringe a una uniforme "neolingua" di tipo orwelliano (quello che oggi
l'estrema sinistra chiama il "pensiero unico"), che tende a una forma di
totalitarismo mascherato non avrebbe vie d'uscita se non fosse per qualche sprazzo di
rivolta: gli studenti, il Vietnam.
Ma per lo piu' Marcuse vede crescere frustrazione e aggressivita' nelle
societa' contemporanee, non rivoluzioni. L'uomo a una dimensione ha perso l'autonomia
della sua personalita', non ha piu' umanesimo, non conosce valori ideali e romantici. E
tuttavia non e' escluso (qualche volta Marcuse mostra di crederlo) che una esplosione gli
faccia ritrovare la sua multidimensionalita'.
Ma non si leggera' oggi Marcuse per rimettere insieme i cocci di un
progetto antagonistico per la sinistra. E' piu' probabile che le sue pagine tornino ad
esercitare un fascino filosofico come una delle parti piu' brillanti di una tradizione
critica che ha mescolato, e sviluppato, il marxismo in forme del tutto eterodosse con la
critica heideggeriana della tecnica e con la critica freudiana della repressione degli
istinti. E lo si leggera' anche per la qualita' della sua interpretazione di Hegel e della
Fenomenologia dello spirito, un luogo di passaggio obbligato per tutto il pensiero del
Novecento.
Marcuse intendeva soprattutto sottrarre Hegel dalle accuse che lo
volevano precursore del fascismo e del nazismo. Voleva infatti preservare quella idea di
"filosofia negativa", che ha nella dialettica il motore del progresso, da ogni
contaminazione con i regimi totalitari e tendeva ad attribuire quel genere di guasti alle
"filosofie positive" (positivistiche e scientiste) con gli eccessi della
razionalizzazione e della tecnocrazia che ne vedeva scaturire. Uno dei passi piu' belli di
"Ragione e rivoluzione" e' quello in cui Marcuse ci fornisce la sua
interpretazione della dialettica tra signoria e servitu', dalla scoperta che
"l'individuo puo' diventare cio' che e' solo attraverso un altro individuo", che
la sua stessa esistenza consiste nel suo 'essere per un altro' fino alla lotta per la vita
e per la morte e all'emergere del lavoro come costitutivo della stessa realta' e come
luogo di origine della liberta'.
Una delle accuse a carico della societa' capitalistica contemporanea,
da parte di Marcuse, e' proprio quella di avere annichilito questo potenziale di liberta'.
L'incubo che i fondatori del comunismo avevano fatto fin dall'origine del loro
"socialismo scientifico" (quello che i proletari invece di associarsi in un
progetto comune tentassero individualmente la via della fuga e della promozione sociale)
si era in gran parte compiuto dopo la meta' di questo secolo. Non bastava piu' allora
proseguire un cammino emancipatorio ormai inquinato e deviato, bisognava fare appello ad
altre forze.
"L'uomo a una dimensione" propone di riunire ai lavoratori
gli intellettuali in un Grande Rifiuto. Se la "negazione determinata" di
hegeliana memoria non bastava piu' si doveva procedere alla "negazione
indeterminata", cioe' alla negazione totale. E se le condizioni di un'esplosione
comunque non si creano, mettiamoci almeno in condizione di immaginarla, come l'eroina di
Antonioni. Per Marcuse e' un atto di liberta' che rompe la gabbia della societa' a una
dimensione e ci rimette a contatto con l'energia vitale del desiderio, da dove tutto
ricomincia.