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Questo articolo è apparso su la
Repubblica del 21 giugno
Arrivò come un fulmine in un cielo cinematografico tranquillo e schizofrenico, diviso tra
i film delle grandi produzioni e le escursioni nei cineclub. Era un film dello
stravagante, eccentrico, rivoluzionario Fassbinder, noto solo ai frequentatori di
cineblub.
Si chiamava Il matrimonio di Maria Braun, a Berlino era stata premiata l'interprete, Hanna
Schygulla. Era stato visto al mercato di Cannes da una bellissima signora padana che con
il cinema, per ragioni familiari, aveva dimestichezza e da suo marito, Manfredi Traxler.
Era stato comprato, per insistenza della signora, che se n' era innamorata e lo aveva
preferito a qualsiasi altro regalo, così che il film di Fassbinder, grazie a Manfredi e
Vania Traxler, era arrivato a passo di carica nei cinema italiani - mentre un celebre
pezzo di Natalia Aspesi, sotto l'occhiello "Belle e intelligenti", faceva la
cronaca di questo fortunato capriccio che avrebbe lanciato la neonata distribuzione
Traxler e un nuovo modo di scegliere e lanciare i film di qualità.
E ora che lui, l'anima discreta, tranquilla, riflessiva di un team di vita e lavoro in cui
Vania rappresentava invece la travolgente estroversione padana e la loro casa un luogo
accogliente in cui passavano i loro autori, ora che Manfredi Traxler se ne è andato dopo
una lunga malattia attraversata con grazia e dignità, lasciando negli amici e in chi lo
conosceva il ricordo di una signorilità e una cortesia come non se ne trovano più, vale
la pena di fissare in quell'anno, e in quel primo film di un catalogo importante qual è
diventato quello dell'Academy, l'inizio di una nuova stagione e di una nuova abitudine.
Perché con Maria Braun l'Academy ha aperto la strada alle distribuzioni di qualità - la
Bim, la Mikado, la Lucky Red, la K Films, quelle che sono resistite e quelle che si sono
perse per strada in un mercato spesso troppo competitivo e turbolento - e ha cominciato ad
offrire al pubblico italiano un cinema alternativo, più interessante e intelligente della
media offerta delle majors allora imperanti senza rivali.
Dopo Maria Braun, in un catalogo pieno di scoperte e di conferme, e tra varie avventure
organizzative e produttive (la creazione del cinema Alcazar a Roma, la joint venture con
il Luce, la produzione di Utz, dal romanzo di Chatwin) è arrivato Ti ricordi di Dolly
Bell?, il film che rivelò il talento di Kusturica, e poi il Mephisto di Szabo, il Peter
Greenaway dei Misteri del giardino di Compton House, Daunbailò di Jarmush, Senza tetto
né legge, Intervista di Fellini, Il cielo sopra Berlino, i film di Lelouch, a cui
l'Academy è sempre rimasta fedele, Iosseliani, Rohmer, Kieslowski, Saura, Resnais,
Güney, Tim Robbins, fino al recente successo, in questi ultimi mesi, di East is East.
Il pubblico italiano probabilmente non ci pensa. Ma è anche a Manfredi Traxler, a questo
signore elegante, discreto, gentile, alla passione per il cinema che ha condiviso con sua
moglie, all'esempio del loro successo che ha fatto scuola, se da vent'anni, sul grande
schermo, può vedere delle cose più belle.
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