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Recensione/Notting Hill

Paola Casella

 


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Notting Hill, diretto da Roger Michell, scritto da Richard Curtis, con Julia Roberts, Hugh Grant, Rhys Ifans, Richard McCabe, Gina McKee, Emma Chambers, Hugh Bonneville, Tim McInnerny, James Dreyfus

Perche' si va al cinema a vedere un film come Notting Hill? Per lo stesso motivo per cui si va al museo a guardare un quadro di Chagall, uno di quelli "ti mostrano come dovrebbe essere l'amore". Notting Hill fa del suo meglio per raccontarci la favola alla quale tutti vogliamo credere, e lo fa con molto senso commerciale e non poca ruffianeria.

Se la volonta' dichiarata di soddisfare questa specifica esigenza del pubblico e' cio' che ha fatto del film un successo al botteghino, quel che lo rende interessante e' la corrente dark che scorre sotterranea, malgrado lo sceneggiatore Richard Curtis, lo stesso di Quattro matrimoni e un funerale, abbia fatto del suo meglio per vendere la propria originalita' narrativa a Hollywood.

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Evidentemente (e per fortuna per noi) l'ha fatto in qualche modo controvoglia: ogni scena d'amore che comporti un minimo di dialogo e' infatti sabotata da almeno una battuta che lascia trapelare il fondamentale disincanto dell'autore. A cominciare dalla scena nella quale si parla di Chagall: quando il mite libraio William (Hugh Grant), davanti alla riproduzione di un quadro del pittore russo, ne decanta la romantica nozione che "l'amore dovrebbe essere come volare nell'azzurro del cielo" la star hollywoodiana Anna (Julia Roberts) lo riporta bruscamente a terra osservando che anche in quel contesto "ci vuole una capra che suona il violino".

Apparentemente, Notting Hill e' una commedia sulla nozione romantica che l'amore puo' superare ogni ostacolo. In realta', e' un film sulla paura di innamorarsi, perche' "le probabilita' sono sempre minuscole", e perche' "nessuno sa perche' certe cose vanno bene e perche' no". Fateci caso: Notting Hill e' costellato di falsi problemi e di veri interrogativi. Tanto la trama "visibile" e' rassicurante (e trita, scontata, prevedibile) tanto il sottotesto e' inquietante (e dark, e spiazzante, e potenzialmente coinvolgente).

I falsi problemi riguardano le possibilita' di riuscita della coppia Anna-William: OK, lei e' una star di Hollywood e lui un modesto libraio di Londra, lei e' seguita ovunque dai paparazzi e lui si crogiola nell'anonimato. Ma quale combinazione migliore? Vi immaginate il contrario, cioe' due star hollywoodiane insieme (chiedete a Bruce e Demi) o due tristissimi topi di biblioteca? Fin dalle prime scene e' evidente che William e Anna sono le due meta' della mela: lei ha un disperato bisogno di attenzione e lui non vede l'ora di dedicarsi a qualcun altro che se stesso; lei teme l'opinione del pubblico e lui non legge nemmeno i quotidiani, figurarsi i giornali scandalistici; lei vuole essere amata per la sua essenza, lui e' incapace di badare alle apparenze, tanto che divide il suo appartamento con una creatura subumana, Spike (Rhys Ifans), per il quale secondo lo stesso William "non ci sono scuse".

"Ci sono tanti motivi per cui non dovrei innamorarmi di te", dice William ad Anna. E invece non esiste un solo motivo concreto al mondo per cui questi due non dovrebbero stare insieme, tanto che lo sceneggiatore fa una gran fatica a inventarsi eventi esterni che li separino ripetutamente. L'unico elemento che divide veramente i due e' la paura di William di cedere all'amore: non e' un caso che sia Anna a bussare continuamente alla sua porta, mentre lui si defila con motivazioni sempre piu' improbabili.

Basta isolare alcune sue battute - quelle che sembrano fuori contesto, come se appartenessero a un altro film - e allinearle una dopo l'altra per rendersi conto che le resistenze di William son interiori e non oggettive: "Non me la sono mai presa comoda per nessuno" (paura del coinvolgimento); "Ho aperto il vaso di Pandora e dentro ci sono solo guai" (paura delle complicazioni); "Sono un tizio con un decente equilibrio" (paura di rimanere destabilizzato); "Che cosa ci faccio io con te?" (senso di inadeguatezza).

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Per contro Anna, così come tratteggiata dallo sceneggiatore, appare priva di autentiche motivazioni interne: le sue paure hanno effettivamente a che fare con le circostanze esterne (la fama, il pedinamento dei mass media) che lei subisce per lo più passivamente. Il risultato è che il suo personaggio appare vuoto e antipatico (nel senso che non consente empatia): anche la figura femminile principale di Quattro matrimoni e un funerale era un ologramma, ma in quel caso il protagonista della storia era dichiaratamente il personaggio maschile, e quindi era comprensibile, anzi faceva parte della storia, che il suo "love interest" ci venisse raccontato dal suo particolare punto di vista. Qui invece Anna, se non altro data la scelta di affidare i ruoli principali a due star di alto calibro, dovrebbe essere una vera comprimaria, non una semplice proiezione dell'alter ego dello sceneggiatore.

Nessuna delle preoccupazioni di William sopra elencate, nemmeno l'ultima, e' invece legata alla situazione contingente (lei e' una star del cinema, lui e' un oscuro libraio) ma e' intrinseca alla personalita' del protagonista, e lo sarebbe molto di piu' se il personaggio fosse stato pienamente sviluppato in questo senso, mentre il copione si ostina a dipingere William come un tenero piu' che come un tormentato. E' un peccato che Curtis non abbia voluto (o saputo?) seguire i suoi istinti narrativi, limitandosi a minare i dialoghi di William, come un guerrigliero. Tanto piu' che Roger Michell, il regista di Notting Hill, ha rivestito il copione di una glassa hollywoodiana talmente spessa che e' adesso quasi impossibile rintracciare la vera anima del film.

Il caso di Curtis e' quello classico dell'autore cinematografico europeo che si piega alle esigenze del cinema americano: il suo nome era legato al successo internazionale di Quattro matrimoni e un funerale, e dunque Curtis non ha fatto altro che ripetere quella formula, rendendola piu' commerciale. Cosi' abbiamo il protagonista indeciso (interpretato dallo stesso attore di Quattro matrimoni, che a sua volta fa del suo meglio per parodiare se stesso nel ruolo di Charles) circondato dal gruppetto di amici strambi che, nel caso dei personaggi femminili, ricalcano in pieno quelli di Quattro matrimoni (Honey, la sorella di William, interpretata da Emma Chambers, e' un clone dell'amica di Charles che sposava il texano, e Bella - nome chagalliano per eccellenza - l'amica paralizzata interpretata da Gina McKee, riprende il personaggio che in Quattro matrimoni spettava a Kristin Scott-Thomas).

Alcune concessioni hollywoodiane di Curtis sono davvero imperdonabili: i tre happy ending, compreso quello "istituzionale" del matrimonio in bianco (quando il bello di Quattro matrimoni era che l'happy ending evitava la canonizzazione di una relazione basata sulla natura precaria dell'amore), o il dialogo del "perdindirindina", evidentemente costruito per creare un "momento" cinematografico.

Ma la gran parte del pubblico non si accorgera' delle forzature della trama, conquistata dalla teoria che l'amore possa essere "un sogno di propria sceneggiatura". Come infatti e', basta ricordarsi di scriverla bene, la propria sceneggiatura, e di crederci fino in fondo.

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