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Abraham Yehoshua versus Roberto Faenza

Simona Ambrosio

 


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Recensione/L'amante perduto

E’ uscito in questi giorni nelle sale cinematografiche l’ultimo film di Roberto Faenza "L’amante perduto", tratto dal romanzo di Abraham B. Yehoshua "L’amante". Chi ama leggere, solitamente storce il naso alla notizia di un film tratto da un romanzo che ha amato. Soprattutto se il romanzo in questione è scritto con una tecnica particolare e ricercata: "L’amante" è infatti un racconto a più voci, costellato di monologhi e di salti nel tempo, una costruzione narrativa assai difficile da "rendere" cinematograficamente.

Abbiamo incontrato Yehoshua e Faenza, cercando di individuare le possibilità di incontro/scontro tra letteratura e cinema.

 

 

Abraham B. Yehoshua

 

Come è avvenuto l’incontro con Roberto Faenza?

Faenza mi ha chiamato un paio d’anni fa dicendo che voleva trarre un film dal mio libro "L’amante". Ho cercato di dissuaderlo. Gli ho detto di lavorare su un altro mio romanzo, "Un divorzio tardivo", perché in Israele già era stato fatto un film per la televisione da "L'amante". Faenza ha insistito e alla fine gli ho dato il permesso. Questo e’ il quinto film tratto da una mia opera letteraria.

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Lei utilizza spesso punti di vista diversi per raccontare le sue storie. Come trova la voce per scrivere un romanzo?

La voce narrante nasce con l’idea del libro. La tecnica non può essere alla base della costruzione letteraria. Ogni libro ha una missione; deve raccontare la psicologia dei personaggi con coerenza e serietà. Io voglio raccontare lo stato di Israele, e la polifonia dei miei romanzi rappresenta le molte voci di Israele.

E' una tecnica già usata da Faulkner; per me, era l’unico modo di esprimere quello che andava raccontato.

 

Ha partecipato alla sceneggiatura del film di Faenza?

Non entro mai nella sceneggiatura di un film tratto da un mio lavoro: mi dà proprio fastidio. Un romanzo è come un figlio; non vuoi vedere tuo figlio trasformato in qualcosa di diverso, lo ami per quello che è. E’ come se la sceneggiatura avesse preso degli elementi del mio bambino per comporli in un’altra maniera.

 

Era presente sul set del film?

No, no l'ho nemmeno visitato, perché in quel periodo non potevo recarmi a Gerusalemme. Recentemente sono stato invece sul set del film tratto da un altro mio testo, "Il signor Mani". Il regista era un amico, e gli che volevo assolutamente una parte nel film. Ho fatto la comparsa in una scena: ero un mercante arabo nella stazione di Beirut alla fine del Diciannovesimo secolo, vendevo caramelle. Mi dissero che ero un pessimo attore; gesticolavo troppo e non mi muovevo con disinvoltura.

 

Come possono la letteratura e il cinema prender parte ai conflitti morali e politici dei nostri giorni?

Solo tramite la letteratura è possibile comprendere cosa significhi vivere in un paese in guerra. La televisione e i giornali danno notizie incomplete; non possono trasmettere i sentimenti, il punto di vista di chi queste esperienze le vive sulla propria pelle. Anche il cinema, come forma artistica, dovrebbe affrontare il conflitto morale fra Bene e Male, ma penso che non lo faccia abbastanza. Il cinema di qualità dovrebbe fungere da laboratorio dove i problemi morali possano essere discussi, elaborati. Cinema, letteratura e teatro hanno il potere di raggiungere quantità enormi di persone. Non possono sprecare questa opportunità.

 

Che cosa pensa in generale della qualità dei film tratti da opere letterarie?

Si possono fare ottimi film da capolavori della letteratura: un esempio è "The dead" che Huston ha tratto da un racconto di James Joyce. A volte, i film migliorano la qualità del testo. Ci sono libri mediocri che hanno la potenzialità di diventare ottimi film, soprattutto se manca un’accurata introspezione psicologica ma c'è un forte intreccio narrativo. Credo che sia molto difficile raccontare attraverso immagini cinematografiche l'interiorità di personaggi che hanno una psicologia complessa.

 

Il cinema ha influenzato la sua scrittura?

Certamente. Dopo aver visto tre film indiani ho potuto scrivere "Ritorno dall’India", perchè mi ero fatto un’idea di cosa significasse vivere in quel paese. E’ il mio momento nell’industria cinematografica. Faenza ha appena terminato "L’amante perduto". Negli Stati Uniti stanno girando "Ritorno dall’India", rivisitato come una storia americana e, presto un giovane regista italiano, di cui non posso ancora rivelare il nome, inizierà a lavorare su "Viaggio alla fine del millennio".

Sono contento da un punto di vista finanziario, ma sono preoccupato da un punto di vista artistico: non so verso quali mete questo interesse del cinema nei miei confronti porterà la mia attività di scrittore. Cinema e letteratura devono continuare a dialogare influenzandosi a vicenda.  Come in tutte le relazioni ci sono momenti di amore e di odio, ma anche questi sono necessari alla crescita artistica di entrambi.

 

Roberto Faenza

 

Come è nata l’idea di fare un film dal romanzo di Yehoshua "L’amante" ?

E’ stato tutto molto casuale. Stavo leggendo le ultime pagine del romanzo quando mi è arrivato l’invito per presentare alcuni miei film al Festival del cinema di Haifa. Ero stato talmente folgorato dalla lettura che domandai alla direttrice del Festival se per caso conoscesse l’autore. Mi disse che era un suo caro amico e che mi avrebbe messo in contatto con lui. Dopo pochi minuti mi arrivò la telefonata di un’amica che mi consigliava la lettura de "L’amante". Mi sono sembrati tutti segni del destino e ho deciso di occuparmi della trasposizione cinematografica del romanzo.

Yehoshua aveva appena visto alcuni miei film ed era interessato a collaborare. Cercò però di convincermi a lavorare su "Un divorzio tardivo" perché riteneva che non potessi confrontarmi con una storia così complessa. Ma io ero deciso: "L’amante perduto" era il film da fare. Sono molto contento che Yehoshua non sia riuscito a dissuadermi.

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La particolarità del romanzo sta nella narrazione portata avanti da più punti di vista. Come ha influito questo aspetto sulla sceneggiatura?

Sandro Petraglia (il cosceneggiatore, ndr) e io siamo passati per varie fasi nella stesura. Inizialmente eravamo più vicini all’intreccio del racconto originale; i protagonisti, in prima persona, raccontavano brani della storia. Addentrandoci nel cuore dei personaggi ci siamo però allontanati dalla necessità di utilizzare l’io narrante. Le scene erano talmente forti che non era più necessaria un’introduzione verbale. Lo stesso Yehoshua si è rifatto al racconto di Faulkner "Mentre io morivo". Lì i personaggi, a un certo punto, cominciavano a raccontare se stessi e la loro storia per poi riunirsi in una voce unica. Ma ci sono volute ben quindici stesure per avvicinarci a una forma più cinematografica che letteraria.

 

Lei ha più volte rivendicato l’indipendenza dei suoi film rispetto ai racconti di origine.

Il rapporto tra un film e il libro a cui si ispira è lo stesso che c’è tra un film e la sua sceneggiatura. Nessuno si chiede mai cosa c’era nella sceneggiatura quando vede una determinata scena. Allora perché ci si chiede sempre cosa c’era nel libro? Il film è sempre un’altra cosa rispetto al romanzo, che costituisce semplicemente la fonte di ispirazione per generare un altro atto creativo. Il film, secondo me, è tanto più riuscito quanto più si allontana dal racconto di origine.

 

Quali sono gli elementi del romanzo che ha voluto portare con sé e quali invece, sono cresciuti tramutandosi in qualcosa di diverso?

Abbiamo mantenuto gli stessi personaggi, perché nel romanzo c’è un approfondimento tale da renderli stupefacenti. Però abbiamo cambiato molte cose. L’ambientazione temporale ad esempio è diversa: il romanzo ha luogo durante la guerra del Kippur; mentre noi abbiamo scelto di trasferire la storia ai giorni nostri. Na’im , il ragazzino arabo, ne "L’amante perduto" è un arabo palestinese e non un arabo israeliano. Quindi abbiamo girato molte scene in Palestina. Il finale è cambiato rispetto al romanzo ma anche alla sceneggiatura; abbiamo realizzato un finale aperto verso la necessità della coesistenza. Sono state scelte dettate dal trovarci in quel luogo, a lavorare insieme, fianco a fianco - una troupe costituita da musulmani, ebrei, palestinesi, israeliani e italiani.

 

Lei ha tratto parecchi film da opere letterarie. La letteratura è sempre stata fonte di ispirazione per il cinema. Crede che la relazione tra le due forme artistiche abbia subito dei mutamenti nel corso del tempo?

Credo che il cinema abbia tratto ispirazione dalla letteratura sino a quindici, vent'anni fa, ma che oggi sia più la letteratura a risentire del fascino del grande schermo. La generazione degli scrittori di oggi è cresciuta nelle sale cinematografiche, e ha mutuato dal cinema tutta una serie di tecniche, di modi di esprimersi, di "montare" le scene.

 

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